Intesa al G8 sui paradisi fiscali

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Intesa al G8 sui paradisi fiscali. Il vertice in Irlanda del Nord: nel documento finale lotta all’evasione, crescita e occupazione”. “Il governo ai giovani: contratti a termine più facili fino al 2015”. Il titolo di apertura vero e proprio è dedicato alla “svolta in Afghanistan”: “Si tratta con i talebani. I negoziati si terranno a Doha, in Qatar. Obama annuncia l’avvio di colloqui di pace”.

A centro pagina: “Decine di giovani dall’Italia alla Siria per combattere”. “Islamici o convertiti a fianco dei ribelli”.

La Repubblica: “’Siria, 50 italiani con i ribelli’. Ucciso in battaglia un ventenne genovese convertito all’Islam. Lo studente aveva cambiato il nome in Ibrahim, era indagato per terrorismo. Il padre: ‘Un eroe, sono orgoglioso di lui’”. E poi: “G8, lotta all’evasione e ai paradisi fiscali. Letta: priorità lavoro”. A centro pagina: “Afghanistan, svolta dei Taliban pronti a trattare la pace con gli Usa”.

La Stampa: “Usa-taleban, tavolo di pace. La guerra in Afghanistan verso una svolta: domani il via il negoziato in Qatar, coinvolto il governo di Karzai. Annuncio di Obama al G8: trattative con l’appoggio del mullah Omar”. E poi: “Intesa sul fisco: più trasparenza. Draghi: Bce pronta a nuove misure”. E poi il giovane jihadista genovese ucciso in Siria.

Il Sole 24 Ore: “G-8, offesniva globale sulla lotta all’evasione. Letta: rispettiamo gli impegni Ue, asse con Obama sul lavoro. Al vertice in Irlanda intesa internazionale sul fisco: via allo scambio di dati tra nazioni”.

L’Unità: “G8, promesse ma pochi fatti. Intesa su evasione e paradisi fiscali. Ma su sviluppo e lavoro ancora parola. Letta incassa l’apprezzamento di Obama e polemizza con Berlusconi: ‘Gli impegni vanno mantenuti’”.

Il Giornale: “Tasse, si apre un varco. La ricetta di Berlusconi fa breccia anche tra i suoi nemici europei”. E poi: “Tensione per la sentenza di oggi sul caso Mediaset”.

Libero: “La ministra furbetta sull’Imu. L’ex olimpionica ha barato per anni con le case e ha dovuto correre ai ripari. Sospetti di abusi. Scandalo a luci rosse a Firenze: l’assessore di Renzi aveva assunto la escort ‘regina’”.

Il Fatto: “Così smantellano la Rai. Oggi Catricalà e Zanonato presentano la riforma del governo: stop al canone automatico per viale Mazzini, in ballo quasi 2 miliardi. I paletti per avere la nuova concessione dallo Stato. Mediobanca: l’opzione privatizzazione vale 2,6 miliardi. In vigilanza berluscones in agguato”. A centro pagina: “L’ala dura dei 5 Stelle ora dice: ‘Troppi giochi, espelliamoli tutti’. Un dossier sui dissidenti nelle mani del capogruppo alla Camera Nuti”.

Talebani

Al G8 irlandese il presidente Usa Obama ha annunciato che da ieri le forze regolari afghane hanno preso il controllo di tutto il territorio nazionale, e che da domani una squadra di negoziatori americani sarà a Doha: “Barack Obama chiude il G8 con un colpo di scena”, scrive l’inviato de La Stampa in Irlanda raccontando come durante l’ultima seduta dei lavori il Presidente abbia chiesto la parola per fare un annuncio che rivoluziona l’agenda e riconsegna l’iniziativa politica agli Stati Uniti dicendo: “Inizia il processo di pace in Afghanistan”. In tempo reale arrivano conferme da Doha e da Kabul, perché il Qatar fa sapere che dopo due anni di tentativi i talebani aprono un ufficio di rappresentanza a Doha, e il presidente afghano Karzai annuncia l’invio di una delegazione dell’Alto consiglio per la pace in Afghanistan, per “guidare i negoziati diretti con i talebani”. E il portavoce della guerriglia, Zabihullah Mujhaid conferma: “i taleban sostengono la soluzione politica del conflitto per ripristinare la pace. Vogliamo rapporti con la comunità internazionale”. In una conference call da Washington e dall’Irlanda due alti funzionari americani fanno sapere: “tra 48 ore una delegazione Usa sarà in Qatar per organizzare il primo incontro con i taleban, finalizzato innanzitutto allo scambio di prigionieri”. A guidare la delegazione Usa sarà James Dobbins, inviato speciale in Afghanistan e Pakistan, mentre per i taleban vi sarà tra gli altri Tayyab Agha, consigliere del Mullah Omar. Fonti diplomatiche Usa hanno spiegato che l’interlocutore di Kabul e Washington è la “commissione politica dei taleban” che include i rappresentanti di tutti i gruppi e le fazioni.

A dare il via libera ai taleban sarebbe stato lo stesso Mullah Omar. Il network di Aqqani, la più feroce espressione dei taleban, non sarà direttamente presente, ma gli americani sottolineano che è rappresentato dalla Commissione dei taleban.

Fonti della delegazione Usa hanno spiegato che i taleban “si sono impegnati per iscritto” ad evitare che in futuro l’Afghanistan possa essere usato per lanciare attacchi contro altri Paesi e a sostenere le iniziative di pace e “questa è stata la premessa per arrivare all’apertura dell’ufficio a Doha, con l’avallo ufficiale dell’emiro Sheik Hamad Bin Khalifa Al Thani, che rafforza così il prestigio personale. Spiegano ancora fonti americane che l’obiettivo dei negoziati è “arrivare alla accettazione da parte dei taleban della rottura con Al Qaeda” della rinuncia alla violenza, del riconoscimento della Costituzione, e della protezione dei diritti di donne e minoranze. Il quotidiano intervista l’analista Ahmed Rashid, grande conoscitore della galassia talebana. Spiega che la svolta “arriva dopo sei mesi di intensi negoziati tra la Casa Bianca, il governo afghano, quello pakistano, i taliban, con una mediazione anche da parte araba”. Spiega anche che è stato molto complicato ma “questa volta sono colloqui veri, non come quelli tentati nel 2010”. “Tutte le fazioni sono state coinvolte, non sono i taleban definiti ‘moderati’, ma anche i duri che finora si erano rifiutati di trattare”. Che ruolo ha giocato il Mullah Omar? “Non parteciperà direttamente alle delegazioni, ma alla fine ha dato il suo assenso. Ha un ruolo ancora molto importante, nel senso che sarà consultato a ogni passo decisivo”. E i gruppi che non fanno direttamente parte del fronte taliban, come il network Aqqani? “Aqqani fa parte della galassia taliban ed è stato sicuramente consultato, ed ha dato il suo assenso alle trattative, altrimenti non saremmo arrivati a questo accordo”. La Stampa fa notare che in Afghanistan operano però anche gruppi pakistani, come Terek e-Taliban, e Rashid risponde: “Il governo pakistano, e in particolare i militari, hanno spinto moltissimo per questo accordo. Terranno sotto controllo le loro parti”. Su Il Sole 24 Ore l’analisi di Alberto Negri evidenzia come il comandante americano della missione Isaf in Afghanistan dubiti che le rete di Haqqani, pur rappresentata a Doha, abbia voglia di stipulare un accordo, “condizionata dai suoi potenti sponsor, i servizi segreti militari pakistani dell’Isi”.

Siria e G8

Per riassumere il risultato del vertice G8 in relazione alla situazione in Siria, prendiamo il titolo de La Repubblica: “Siria, Putin impone la sua linea al G8, nel documento niente bando ad Assad”. Erano in sette contro uno, ma non sono riusciti a prevalere, spiega il quotidiano: il vincitore morale del G8, almeno sulla Siria, è Vladimir Putin. Nonostante ripetute pressioni, in particolare da parte di Obama e del padrone di casa Cameron, il Presidente russo ha ottenuto un comunicato finale che non fa alcun cenno all’esigenza che Bashar Al Assad lasci il potere. Il summit ha prodotto un appello ad una conferenza di pace da tenersi a Ginevra, senza fissarne la data, cui dovranno partecipare sia i partecipanti dei ribelli sia quelli del regime di Damasco. Il comunicato condanna poi l’uso delle armi chimiche in Siria, ma non accusa il regime di averle usate. Anche perché secondo Mosca è falso che le abbia usate, e le accuse sarebbero una invenzione dei servizi segreti occidentali. Sull’invio delle armi ai ribelli il ministro degli esteri russo Lavrov ha ammonito: le armi potrebbero finire in mano ad Al Qaeda ed essere usate contro l’Europa. Pensateci bene prima di dargliele.

Il Giornale scrive che dietro il documento firmato ieri da tutti i leader del G8 c’è uno scontro ormai aperto tra Obama e Putin, che ieri sarebbero arrivati ai ferri corti, con tanto di urla in pieno summit. Il quotidiano sottolinea che il documento riflette le divisioni internazionali sulla crisi, non parla di una uscita di scena di Assad, perché la Russia ha rifiutato qualsiasi accenno alla questione. Cameron ha però detto che è “impensabile” che Assad faccia parte della transizione perché “ha le mani sporche di sangue”.

Giuliano-Ibrahim

L’Unità scrive che sarebbero tra i 600 e gli 800 i giovani europei partiti per la Siria, per combattere contro il regime di Assad. Si ritiene che Gran Bretagna, Irlanda e Francia siano i Paesi della Ue con il maggior numero di combattenti in Siria. Ed ora in prima fila ci sarebbero anche gli ‘italiani’. Secondo quanto spiegato dal presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, sulla base di fonti siriane – tra le quali anche quelle che simpatizzano per il governo di Damasco – dall’inizio del conflitto tra le centinaia di persone partite dall’Europa per combattere al fianco dei ribelli ci sarebbero anche “45-50 partiti dall’Italia, soprattutto dal centro-nord ma anche da Roma. In Siria questi gruppi sarebbero concentrati ‘in gran parte nella zona di Dayr Az Zor e Aleppo’, dove tra gli altri si troverebbero anche ‘tre donne, una italiana, una spagnola e probabilmente una cecena’, ha ancora riferito Aodi. Lì le donne, secondo quanto riferito alla Comai, ‘svolgerebbero compiti di assistenza’ ai ribelli”.

La Stampa riferisce il commento del Ministro degli esteri Emma Bonino: “Non credo proprio si sia di fronte a una ondata di terroristi islamici in partenza dall’Italia”, e anche i nostri servizi segreti restano scettici: “In Italia – ha spiegato il direttore del Dis Giampiero Massolo – non c’è un bacino di reclutamento ma solo delle individualità che entrano in comunicazione con le cellule jiahdiste attraverso il web”. E malgrado Massolo pensi questo, in ogni caso sottolinea che “il fai da te è sicuramente un pericolo, e il web è una potente forma di autoaddestramento e auto-reclutamento. E’ chiaro che la situazione in generale non ci fa stare tranquilli e necessita di essere monitorata, perché in questo contesto il pericolo maggiore deriva dai potenziali ‘solitari’, i cosiddetti ‘self starters’”.

Restando proprio a La Stampa, l’inviato a Genova, che è la città di Giuliano Delnevo, diventato poi Ibrahim, racconta il percorso di vita di questo giovane, che ora è al centro di una indagine della Procura del capoluogo ligure. Il fascicolo è in realtà un ramo di una inchiesta più ampia in corso da almeno un anno, perché Ibrahim era monitorato da mesi. Era stato spesso in Marocco, dove si era sposato con rito islamico. Durante un viaggio in Cecenia aveva conosciuto un gruppo di guerriglieri ed aveva evidentemente deciso di passare all’azione: il simbolo del Kavkaz Center, agenzia di informazione dei ceceni fondamentalisti, appare infatti sulla sua ‘Liguristan tv’. Fino al 2010 abitava con la famiglia nell’elegante quartiere di Castelletto, tre anni fa si era iscritto all’università scegliendo storia ma senza sostenere alcun esame. Nel frattempo aveva avviato la sua trasformazione, e un vicino di casa ricorda: ha cominciato prima con i vestivi, la tunica bianca, il copricapo. Poi si è fatto crescere anche la barba. Al gelataio sotto casa aveva iniziato a chiedere di eliminare i gusti alcolici. Ma pare che non avesse frequentazione con i fratelli di religione, neppure in moschea: “Non è mai stato visto nei luoghi di preghiera di Genova”, dice Ezzedine, presidente dell’Ucoi ed imam di Firenze. Lo stesso Ezzadine, per quel che riguarda la professione religiosa del ragazzo genovese, rimanda al sito internet: “Mi sembra che si sia sviluppata soprattutto attraverso internet”, dice. La Repubblica intervista il padre: “Non sono musulmano, anzi sono un cattolico praticante, ho cercato di capire, di convincerlo a tornare indietro”. Spiega che Ibrahim era andato in Siria perché “difendere l’aggressione contro le donne e i bambini era una missione”. “E’ partito più di sei mesi fa senza avvertirmi”. Ricorda di avergli parlato poche ore prima che morisse: “Lui era lì a dire papà io mi sento realizzato qui, ma ti devo lasciare perché i nemici sono a pochi metri”. Perchè si è convertito? “In Italia ha avuto poche chance, non aveva voglia di studiare, fallì in un concorso per carpentiere”. Il padre racconta anche che Giuliano-Ibrahim si era sposato con una marocchina conosciuta via internet “e si erano sposati in Marocco. Io avevo passato lunghi periodi con loro”. Su questo quotidiano è Gabriele Romagnoli a tentare di spiegare il percorso che ha condotto Giuliano a diventare Ibrahim: si tratta della ricerca del senso di una vita, la propria, in un periodo in cui non ci sono “movimenti per cui palpitare”, e l’ultimo, nato proprio dalle sue parti, si è liquefatto istituzionalizzandosi prematuramente. Il libro che gli ha dato la soluzione è il Corano, dove “la complessità è ridotta al minimo”, nel senso che viene detto tutto, come vestirsi, quando lavarsi. “In una ricerca condotta in Inghilterra otto anni fa si appurò che una delle principali ragioni della conversione all’Islam era proprio questa semplificazione della vita quotidiana. Valeva soprattutto per le donne. Per gli uomini si aggiungeva una visione della vita più ardita”.

“Il convertito del Liguristan” è il titolo di uno degli editoriali de Il Foglio, che parla di “nichilismo jihadista senza ritorno”, per cui la “porta di ingresso è spesso internet”. Il quotidiano scrive che sarebbero più di mille, come lui, a combattere a fianco dei jihadisti in Siria. E ricorda che qualche giorno fa Haaretz parlava della internazionalizzazione della guerra contro Assad come della “versione islamica della guerra di Spagna”, che calamitò giovani di tutta la borghesia occidentale attratti dalla anarchia e radicalizzati dal mito della rivolta antifascista. “Ora vengono da Belgio, Francia, Inghilterra, capitali del multiculturalismo impazzito. Anche dall’Italia”.

Prism

Alla Commissione sicurezza del Congresso, spiega La Repubblica, hanno parlato il capo della National Security Agency, generale Keith Alexander, e Sean Joyce, numero 2 dell’FBI. Ha spiegato Alexander: “Anche noi, come americani, abbiamo a cuore la privacy, i diritti civili e la libertà. Prism e gli altri dispositivi non hanno mai messo in pericolo questi valori. Nessuno di noi ascolta le telefonate dei cittadini, e tra l’altro le informazioni vengono cancellate dopo cinque anni. Questi sistemi sono in funzione per proteggerci e hanno lavorato molto bene”. “Non possiamo rivelare tutti i dettagli, ma sono stati preziosissimi per mettere al sicuro noi e i nostri alleati”. Il vicecapo dell’FBI ha dato poi i dettagli sulle quattro occasioni in cui le minacce sarebbero state fermate: a Kansas City un marocchino che era in stretto contatto con un gruppo estremista yemenita viene arrestato dopo che i suoi dati finiscono dentro la rete della intelligence americana, il suo piano prevedeva esplosioni al New York Stock Exchange. Fermato prima che potesse agire anche un attentatore in collegamento con una cellula terroristica pakistana, che intendeva colpire a New York, per esempio. La difesa del generale Alexander ha evocato anche l’11 settembre: “Se questi sistemi fossero stati in vigore allora, avremmo potuto sapere che il futuro dirottatore Khalid Muhammad Abdallah Al Mindhar era a San Diego e mandava messaggi verso lo Yemen”, ovvero non sarebbe mai riuscito a schiantarsi sul Pentagono. Anche su La Stampa: “Datagate, la difesa della Casa Bianca: ‘Sventati oltre cinquanta attentati’”.

La Repubblica riproduce anche l’intervista della Pbs allo stesso Presidente Obama: “La Nsa fa il suo lavoro da molto tempo e punta a tenere al sicuro gli americani: posso assicurarvi che se siete americani, la Nsa non può ascoltare le vostre telefonate o spiare le vostre mail a meno che non ci sia un preciso ordine di un tribunale in questo senso”. Allora cosa succede? “Sono due i programmi svelati da Snowden: il primo prende dei dati grezzi, di fatto registra il mio telefono che si connette al tuo. Ma il database non ha contenuto: racconta solo quali chiamate avvengono e quanto durano. Non ci sono nomi. Ora se la Nsa, attraverso altre fonti come può essere l’Fbi, trova un numero che sospetta possa essere connesso a qualche attività terroristica straniera, cerca in quel database, produce un rapporto e lo passa all’Fbi. In nessuno di questi passaggi viene rivelato il contenuto delle chiamate, perché non è registrato”.

Turchia

La Stampa, ma anche La Repubblica e Il Fatto, raccontano “l’ultima sfida ad Erdogan”: è la protesta dell’uomo in piedi. Il Fatto spiega che il coreografo turco Erdem Gunduz ha realizzato una “performance” inedita quanto potente: “Duran Adam”, l’uomo che sta in piedi. In silenzio, immobile, Gunduz ha fissato per quasi otto ore l’enorme stendardo con il volto di Ataturk appeso alla facciata del Palazzo dell’Opera su piazza Taksim. Secondo La Stampa sarebbero state centinaia, soprattutto a Istanbul ma anche ad Ankara e in altre località del Paese, i cittadini che si sono trasformati in Duran Adam e Duran Kadim, ovvero uomo e donna che si fermano. Fino a pochi mesi fa il coreografo 34anni viveva a Cihangir, il quartiere bohémien di Istanbul per eccellenza. Poi gli affari hanno iniziato ad andare male, e si è trasferito nel ben più modesto quartiere di Tar Labasi. A Taksim è rimasto fino a notte inoltrata. Non ha parlato con nessuno, poi qualche parola alla BBC: “Non sono nessuno. E’ importante l’idea, ossia che la gente resista al governo. Loro non vogliono capire, non ci hanno nemmeno provato a capire la gente che è scesa in strada. Questa è una resistenza silenziosa. Spero si fermino in tanti e si chiedano cosa stia succedendo. Alle 19 a Taksim c’erano oltre 200 persone. Ferme. Anche La Repubblica scrive che la strana protesta si è diffusa in tante città turche. L’attrice Deniz Ozdogan, sullo stesso quotidiano, scrive di questo uomo che si è fermato a guardare: “Dopo tutti questi tempi di urla, canti, slogan, spari e morti, dopo tutto quello che in questi giorni è stato detto, ha taciuto. E’ rimasto fermo e zitto. Fermo e zitto come un albero”.

Brasile

La Stampa racconta che sarebbero circa 230mila gli ‘indignati’ brasiliani che due giorni fa sono scesi in piazza nel Paese. L’elemento scatenante della protesta, nel complesso pacifica, è stato l’aumento del prezzo dei biglietti di bus e metro. Solo 0.20 reais, meno di 10 centesimi di euro, ma molto se si considera il costo, arrivato così a 1,20 euro, perché chi usa i mezzi pubblici guadagna in media 350 euro al mese. Il Movimento Passe Livre, “passaggio libero”, che da anni si batte per il trasporto pubblico gratuito a San Paolo, ha acceso la protesta a inizio giugno: quella di lunedì scorso era la sesta e quelle precedenti erano andate semi-deserte. Ma lunedì qualcosa è cambiato perché il reparto anti-sommossa della polizia ha sparato indiscriminatamente contro chiunque si trovasse in strada. 15 giornalisti feriti, famiglie, lavoratori, bambini, colpiti dai proiettili di gomma grossi come limoni e sparati ad alzo zero, secondo La Stampa.

L’Unità, parlando della protesta, scrive che si tratta ormai delle più grandi manifestazioni viste negli ultimi venti anni in Brasile e che sotto accusa ci sono le spese per i mondiali di calcio del 2014 e quelle per le Olimpiadi del 2016. La madre di uno dei dimostranti dice alla BBC: “abbiamo bisogno di una migliore istruzione, di ospedali e sicurezza, non di miliardi spesi sulla coppa del Mondo”.

redazione grey-panthers:
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