La Stampa: “Berlusconi attacca Letta e la Ue. Il leader Pdl: il deficit del 3 per cento va sforato. Palazzo Chigi: rispetteremo gli impegni. Il presidente Usa in sintonia con il premier: ‘Lavoro e crescita sono temi centrali’”. A centro pagina, sotto la foto: “Obama-Putin, gelo sulla Siria. Mosca: le nostre posizioni non coincidono. I due d’accordo sullo stop all’uso di armi chimiche”.
Il Giornale: “Berlusconi rompe il tabù. Il Cavaliere suona la sveglia. ‘Letta deve avere il coraggio di sforare i patti UE’. Zanonato, il sabotatore del governo telecomandato da Bersani”.
Libero: “Silvio sfida l’Europa: ‘Che fai, ci cacci?’. Cavaliere scatenato: ‘Inaccettabile non trovare i fondi per l’Iva. Basta con il vincolo del 3 per cento, tanto non succede nulla. Letta in difficoltà al G8”. In prima anche un editoriale di Maurizio Belpietro, che commenta l’editoriale di ieri di Vittorio Feltri su Il Giornale, su Napolitano e il futuro del governo: “L’arma scarica di Napolitano”.
La Repubblica: “Obama-Europa: patto sul lavoro. I colloqui al G8 in vista della trattativa sul commercio. Faccia a faccia tra Letta e il presidente Usa. Assad minaccia: se armate i ribelli la pagherete”. E poi: “Berlusconi attacca: violiamo i limiti Ue, tanto non ci cacciano”. Un richiamo in prima pagina per una notizia che viene da un giornale irlandese: “’Fisco, il Cavaliere indagato in Irlanda: evasione e riciclaggio’”. A centro pagina: “M5S, Gambaro espulsa. ‘Ma ora decida la rete’. Drammatico processo alla ‘dissidente’ che ha osato criticare il capo. 79 i sì alla epurazione, 42 i contrari”.
L’Unità: “Berlusconi sfasciacarrozze. Nel giorno del G8 invita a sforare il patto Ue. Dura nota del governo. Il Cav indagato in Irlanda”.
La notizia costituisce il titolo di apertura de Il Fatto quotidiano: “Riciclaggio e patti violati. E’ il caimano di governo. L’Irish Sunn di Dublino scrive che Berlusconi è indagato in Irlanda: operazioni sospette per 500 milioni di euro nel periodo 2007-2007. Ma l’ex premier non batte ciglio e chiede a Enrico Letta di fregarsene dei vincoli di bilancio europei. ‘Sforiamo il 3 per cento, tanto nessuno ci caccia’. Bruxelles protesta, sempre a rischio la credibilità dell’Italia”. Sotto, sul M5S: “’Gambaro via dai 5 Stelle’: 79 sì, 42 no, 9 astenuti”.
Il Sole 24 Ore: “Tobin tax, si paga a ottobre. Nel Dl sviluppo slitta la tassa sulla finanza”. E poi: “Berlusconi-Letta: duello sul 3 per cento. Il leader Pdl: superiamo i limiti Ue. Il premier: non si cambia”.
Ue-Usa.
Al vertice G8 in Irlanda del nord, scrive Il Sole 24 Ore, “parte (tra polemiche) il negoziato Usa-Ue” sulla creazione di un’area di libero scambio. Stati Uniti ed Europa ieri hanno annunciato l’avvio dei negoziati per un “ambizioso accordo di libero scambio tra i due blocchi”. Obama ha detto: “Vogliamo costruire una alleanza economica altrettanto forte della alleanza politica e militare che ci unisce”. Ma “le tensioni tra i 27” stanno “indebolendo” la posizione europea”, scrive il quotidiano. Il mandato negoziale affidato alla Commissione europea è stato “sofferto”, per una serie di eccezioni: la Francia ha imposto l’esclusione della produzione audiovisiva dalle trattative provocando la viva reazione di alcuni Paesi membri e dello stesso presidente della Commissione, Barroso, che ha definito “reazionaria” la posizione di Parigi. Secondo un “alto responsabile europeo”, scrive il quotidiano di Confindustria, la posizione francese darà agli Usa il pretesto per inserire anche loro paletti e ostacoli., Oltre ai servizi finanziari, a rischio sono il trasporto marittimo, il dragaggio fluviale, attività in cui alcuni Paesi europei eccellono. Il Sole cita anche alcuni esempi concreti: oggi le regole di trasporto marittimo su cargo negli Usa prevede che il trasporto avvenga su navi di proprietà ed equipaggio americani al 75 per cento. L’Europa vorrebbe fossero modificate. Le normative sulla produzione di alimenti come il formaggio in Europa sono più rigide di quelle Usa, e i produttori europei chiedono che gli americani si adeguino. Gli Usa dal canto loro vorrebbero che l’Europa riducesse le restrizioni sugli Ogm. Secondo le stime un accordo di libero scambio produrrebbe benefici per 119 miliardi di euro per l’Europa e per 95 miliardi per gli Usa.
Su Libero: “Letta si fa bello al G8, gli altri fanno gli affari”. A Belfast Obama avvia i negoziati sul libero scambio Usa-Ue e il premier esulta: ‘Meglio di così non poteva andare’. Ma nell’intesa ci guadagnano solo tedeschi, inglesi e francesi”. Questo perché questi tre Paesi sono i primi esportatori di prodotti verso gli Usa.
Su La Stampa: “Due anni per mettere in sicurezza più di metà del commercio mondiale”, “l’intesa tra Ue e Stati Uniti allontana l’ipotesi di una alleanza Washington-Cina”. Il quotidiano scrive che Washington non ha definito il mandato perché manca il sigillo del Congresso, e voci insistenti rivelano che potrebbero saltare i servizi finanziari, sebbene non sia noto se e cosa gli americani chiederanno in cambio della eccezione culturale. Quanto ai vantaggi della eliminazione dei dazi, La Stampa da un esempio: se una ditta italiana fabbrica 20 mila t-shirt, metà per gli Usa e metà per il mercato interno, non può vendere negli States un eventuale residuo europeo perché l’etichetta per il lavaggio è diversa. Con una etichetta omogenea potrebbe spedire le t-shirt a New York e oltre.
Siria
E’ La Stampa a dare grande rilievo al vertice bilaterale Usa-Russia di ieri, dedicato alal Siria. “Il presidente russo irremovibile su Assad. Inutili le pressioni di Usa, Ue e Canada: il raiss deve andarsene”. Maurizio Molinari, inviato a Lough Erne, in Irlanda del Nord, dà conto delle parole dei due leader, quasi identiche all’esordio: “Le nostre posizioni sulla Siria non coincidono”, dice Putin. “Abbiamo posizioni diverse”, dice Obama. Per Putin “vogliamo porre fine alle stragi, una soluzione pacifica e desideriamo il negoziato di Ginevra”. Per Obama “ci preoccupano le armi chimiche, vogliamo la fine delle stragi, continueremo a lavorare insieme”. In sostanza Putin rifiuta la richiesta di cessare il sostegno al regime di Assad e Obama non fa marcia indietro sugli aiuti militari ai ribelli. I due leader parlano con formalità, non si guardano negli occhi, incarnano l’entità del disaccordo sulla Siria all’origine di una impasse che impedisce al G8 di raggiungere l’intesa su una dichiarazione comune.
Su Il Foglio: “Al G8 Putin celebra la vittoria in Siria e dà una lezioncina all’occidente. Il presidente russo dice agli europei: non è contro i vostri valori dare armi ai ribelli con le mani insanguinate”.
La Repubblica intervista Brown Moses, analista ed esperto di armamenti britannico. Ha ragione il presidente Bashar Al Assad quando sostiene che armare l’opposizione in Siria equivale a dare Stinger agli jihadisti? “In parte sì, perché l’Esercito libero siriano, che è l’opposizione più democratica, combatte a fianco degli uomini del fronte Al Nusra e di altre formazioni qaediste. Non solo: sul terreno, queste ultime sono le meglio armate, perché foraggiate dalle monarchie del Golfo. Una volta penetrate in Siria è praticamente impossibile controllare in quali mani finiscano le armi”. Non c’è soluzione per evitare che ciò avvenga? “Sì. Fornire armi che funzionano solo con un tipo di munizioni, difficilmente reperibile. Per quasi tutte le armi di fabbricazione russa, per esempio, si trovano proiettili un po’ ovunque, soprattutto sul mercato nero. Ciò non avviene per le armi croate o di altri Paesi. Questo potrebbe essere un metodo di controllo”.
Parametri europei
Parlando ieri a Pontida all’inaugurazione di una Casa di cura, Berlusconi ha invitato il Governo a presentarsi in Europa con aria di sfida e pronto a tutto a dire che “il limite del 3 per cento e del fiscal compact ve lo potete dimenticare: ci volete mandar fuori dalla moneta unica? Fatelo. Ci volete mandare fuori dalla Ue? Ma no… Vi ricordiamo, che noi versiamo 18 miliardo all’anno e ce ne ridate indietro solo 10. Non ci cacciano, vedete che non ci cacciano”. “Bisogna che chi va su non sbatta i tacchi di fronte a queste autorità di Bruxelles che, per gli anni di esperienza che ho io, a trattare a Bruxelles sono sempre quelli che i Paesi li mandano lì perché li vogliono mandare via”. Il Corriere, nel riferire queste parole, si sofferma anche su quelle pronunciate da Berlusconi sul fronte interno: “E’ inaccettabile che non si trovino gli otto miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e abolire l’Imu. Il governo si sta affannando a cercarli, ma quale azienda non riesce a ridurre i costi dell’1 per cento”. Il quotidiano dice che una uscita così dura, 24 ore dopo i complimenti al governo e nel giorno in cui Letta ha fatto il suo esordio al G8, non se l’aspettava nessuno.Il Governo, con una nota, nel giro di pochi minuti, replica: “Sullo sforamento del 3 per cento la posizione dell’Italia non cambia”. E’ la posizione che lo stesso Letta ha ribadito in serata, aggiungendo una postilla: “Sulle affermazioni di Berlusconi dentro la sala non c’è stata nessuna eco, nessun rilievo, non ne hanno parlato neanche, probabilmente non ne sono stati neppure informati”. Di fianco, nella nota politica, Massimo Franco scrive: “Non è chiaro se Berlusconi voglia creare difficoltà a Letta, che è in Irlanda per il vertice G8, oppure se la sua nuova uscita contro le istituzioni di Bruxelles gli serva per presentarsi come regista di una futura svolta in politica economica”. Berlusconi cerca di far dimenticare quel periodo che ieri Guglielmo Epifani, segretario del Pd, ha attribuito ai suoi anni di governo, ricordando che è stato Berlusconi a subire le regole della Ue, imponendole all’Italia addirittura in anticipo. Ma la fase è diversa, e Berlusconi cerca di additare l’austerità del governo dei tecnici di Monti e della Germania come fonte di tutte le difficoltà, “tesi oggi più diffusa di due anni fa”. Ma l’avvertimento sembra destinato più al proprio elettorato, nel timore che dalla Ue venga un no ai fondi per l’abolizione dell’Imu, che è stata sospesa, e per evitare l’aumento dell’Iva. Berlusconi sa che è difficile ottenere quel che vuole, e l’unico effetto sembra essere un indebolimento dell’Italia nella trattativa europea.
Le dichiarazioni di Berlusconi hanno grande rilievo sulle prime tre pagine di Libero, che intervista l’economista Alberto Bagnai, uno dei più fermi sostenitori della crociata anti-euro: “I primi a non rispettare quei paletti furono Francia e Germania nel 2002. Possiamo farlo anche noi, sarebbe un segnale politico importante per il governo che deve sostenere i suoi cittadini”. Secondo le previsioni dell’FMI, dice ancora Bagnai, la Francia dovrebbe avere nel 2013 un rapporto deficit-Pil al 3,6 per cento, quindi fuori dal paletto. E la Spagna addirittura al 6,6. Ma la Commissione Ue ha esteso agevolazioni a Parigi e Madrid. In Italia siamo più realisti del re”. Di spalla, un articolo sottolinea che “la Spagna ha la proroga e ora è più competitiva”.
Su La Stampa: “Il Cavaliere si prepara già alla campagna elettorale”, “l’attacco all’Europa cuore della strategia per vincere le elezioni”. Dove si legge che di sicuro, se decidesse di far cadere un governo coperto di elogi non più tardi di domenica, l’uomo di Arcore sceglierebbe proprio l’Europa come terreno di scontro con la sinistra.
Big Data
La Repubblica torna ad occuparsi di Edward Snowden, la talpa della Cia e della Nsa autore delle rivelazioni del Datagate. E’ riapparso sul web ed ha parlato da una località sconosciuta rispondendo alle domande degli internauti del Guardian, che ha messo l’intervista in diretta sul sito. Perché ha rivelato i programmi di intercettazione nei confronti di centri di ricerca ed università Usa? “Non ho rivelato nulla su operazioni militari contro legittimi bersagli militari. Ho rivelato i programmi di spionaggio contro infrastrutture civili perché sono azioni criminali e pericolose”. Respinge come una “calunnia scontata” l’accusa di essere una spia cinese: “Perché non sarei volato direttamente a Pechino?”. Sulla stessa pagina de La Repubblica: “Troppi scandali, record negativo nei sondaggi per Obama”. Si tratta di un sondaggio sulla popolarità del presidente effettuato dalla CNN: otto punti in meno da maggio ad oggi (dal 53 al 45 per cento). Ma all’origine del calo del gradimento degli americani ci sono la Libia, per via della malaccorta gestione del post assalto a Bengasi, dove morì l’ambasciatore. Le telefonate dei giornalisti dell’AP schedate. Le pressioni politiche esercitate dall’Irs, agenzia del fisco, contro i rivali politici della Casa Bianca, ovvero il Tea Party. Quanto al programma di sorveglianza della NSA rivelato da Snowden, la lettura dei dati su questo caso è duplice, avvertono gli analisti: la maggioranza degli americani considera il sistema giusto, e pensa che l’ex agente Snowden andrebbe preso e consegnato a un tribunale perché ha messo in pericolo la Nazione. Solo l’8 per cento ritiene che il governo abbia raccolto informazioni per spiare i cittadini americani. La Repubblica scrive però che in materia di terrorismo e gestione del confine tra privacy e sicurezza Obama ha perso ben 13 punti. E che il 43 per cento sostiene che si è spinto troppo in là. La Stampa intervista il politologo Bill Schneider (analista del think tank Third Way) sul calo di otto punti di popolarità, che poi sale ancora tra i giovani, Schneider risponde così alla domanda se sia l’effetto del Datagate: “Ci andrei piano: la popolarità di Obama oscilla da sempre tra il 45 e il 55,perché il Paese è diviso e queste sono le posizioni di base delle due fazioni. I giovani sono abituati a condividere tutto in rete, e non credo siano scandalizzati dai controlli che danno per scontati. Gli altri sanno che la sorveglianza è stata decisa per proteggere l’America dal terrorismo. Le uniche voce contrarie restano quelle dei libertari di destra, come Rand Paul, e di sinistra, come l’American Civil Liberties Union”. Secondo Schneider, in cima alla classifica degli scandali che hanno colpito l’Amministrazione Obama c’è “quello relativo all’Irs, il fisco che puntava alcune organizzazioni”. Quanto ai giovani, “sono preoccupati per la disoccupazione, e sono contrari a un intervento militare in Siria, come del resto tutti gli americani”.
Turchia
Su La Repubblica: “Turchia, la minaccia del governo. ‘Siamo pronti ad usare l’esercito’”. Si riferiscono quindi le parole del vicepremier Tarinc: “Per fermare le manifestazioni illegali c’è la polizia.Se non basta c’è la Gendarmeria. E se ancora non basta ci sono le forze armate”. In queste parole, secondo Nicola Mirenzi, che ne scrive su Europa, è racchiusa la nemesi del premier Recep Tayp Erdogan: “Fino a pochi anni fa in Turchia l’esercito scendeva quando doveva deporre qualche governo democraticamente eletto (lo ha fatto quattro volte nella storia) che sterzava troppo dalla linea laicista tracciata dal fondatore della Repubblica Ataturk. Oggi invece i generali sono al servizio dell’uomo politico che più di tutti ha fatto rientrare nello spazio pubblico ciò che era stato rimosso, ossia la cultura islamica del passato ottomano. La protesta del movimento per la difesa del parco Gezi a Istanbul, presto trasformatasi in un movimento politico di contestazione alla deriva autoritaria di Erdogan, hanno svelato questa trasformazione di fondo della figura del primo ministro turco. Nato in un quartiere povero di Istanbul, Kasinpasa, Erdogan è stato per lungo tempo un outsider della politica turca, fuori dall’establishment laico della Repubblica, nel 1997 venne arrestato dai generali per aver citato in un comizio i versi del poeta Ziya Gokalp, considerati sovversivi e antirepubblicani. Erdogan era ancora sindaco di Istanbul, e non ha mai dimenticato quel sopruso. Tutta la sua vita politica è stata orientata a demolire la cappa dell’esercito, appoggiato dalle richieste della Ue ha usato l’arma della democrazia per diminuire e sottomettere al potere politico l’esercito. Ha combattuto e vinto la sua battaglia, ma una volta raggiunto l’obiettivo si è trasformato a immagine e somiglianza dell’establishment che ha tanto combattuto. Anche Marco Ansaldo su La Repubblica sottolinea quanto sia paradossale che in Paese che dagli anni 60 ha vissuto 4 golpe per mano militare, sia oggi un esecutivo di matrice religiosa a chiamare a sua difesa quelli che per la costituzione sono i garanti della laicità. “Incredibili” sono poi le frasi uscite ieri di bocca a Erdogan: “Non riconosco questo parlamento della Ue, la Turchia non è un Paese la cui agenda politica può essere definita da altri”. Affermazioni “difficilmente immaginabili” da un leader di un Stato candidato all’ingresso nella Ue, e ora volte invece a segnare un autogol forse definitivo per le ambizioni comunitarie di Ankara. Peraltro ieri il ministro degli interni Guler ha annunciato che le autorità stanno lavorando a una nuova legge su Twitter o Facebook coloro che “provocano o manipolano il pubblico con false notizie” o “spingono la gente alla agitazione sociale”. Ed Erdogan: “Noi cercheremo le provocazioni sorte sui social media. Noi terremo conto degli alberghi che hanno ospitato i terroristi. Troveremo i responsabili uno per uno”. I
dimostranti si erano rifugiati nell’Hotel Hilton e nell’hotel Divan, e il professor Soli Ozel (università Kadir Hass) dice: “stiamo per assistere ai ricaschi che colpiranno quelli che hanno assistito i manifestanti, e dunque l’hotel Divan, i suoi proprietari, medici, avvocati. Temo una caccia alle streghe”.
Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini