Le aperture
Corriere della Sera: “Il Pdl annuncia le dimissioni di massa”, “Napolitano: verificherò. Berlsuconi: c’è un’azione eversiva, non dormo da 55 giorni”. A centro pagina: “Il caso della rete Telecom. Il governo: è strategica. Allarme sulla sicurezza”. A centro pagina anche una foto per i protagonisti del film ‘La grande bellezza’, candidato all’Oscar.
La Repubblica: “Berlusconi al Pdl: dimettiamoci tutti”, “’Vogliono arrestarmi, se decado sarà crisi’. Allarme di Napolitano”. A centro pagina, il richiamo all’intervista realizzata dalla Cnn al presidente iraniano Rohani: “La svolta di Rohani: l’Olocausto è stato un crimine”. In evidenza anche i titoli su Telecom e Alitalia: “Vendita Telecom: emergenza sicurezza. Alitalia, 2000 tagli”.
La Stampa: “La sfida dei parlamentari Pdl. ‘Se Berlusconi decade ce ne andiamo tutti’. Epifani: irresponsabili. ‘Dopo il 4 ottobre’, decisione all’unanimità nel summit dei gruppi. Il Cavaliere: è in atto un colpo di Stato”. A centro pagina: “Scoppia il caso della rete Telecom. Il Copasir: allarme sicurezza. Bernabè: non sapevo della vendita. Saccomanni: acceleriamo”.
Il Giornale: “Si dimettono tutti. Deputati e senatori lasceranno dopo il voto sulla decadenza di Berlusconi. Spiazzata la sinistra. In assenza di fatti nuovi, addio governo e maggioranza: il partito pronto alle elezioni. I sospetti del Cavaliere su Letta e Napolitano. Poi lo sfogo: ‘Non dormo da 55 notti’”.
Libero: “Oddio, qui decade tutti. Le voci di mandati di arresto pronti per un Berlusconi senza seggio e la presa in giro del governo sulle tasse fan precipitare la situazione: il Pdl minaccia di lasciare il Parlamento per andare al voto”.
Il Fatto quotidiano: “La sedizione del Caimano per non finire in galera”. “Ennesimo ricatto al Colle e al Pd. Berlusconi chiede le dimissioni in bianco ai suoi parlamentari (‘tutti a casa se la Giunta vota la decadenza’). Si lamenta: ‘sono 55 giorni che non dormo. Operazione eversiva contro di me’. Epifani: ‘è irresponsabile’”. A centro pagina: “Napolitano omaggia Craxi mentre la figlia insulta i pm”, in riferimento alla commemorazione in un’aula del Senato, ieri.
L’Unità: “Berlusconi dichiara guerra. ‘Mi vogliono arrestare’. E i parlamentari Pdl minacciano le dimissioni dopo il sì alla decadenza”. A centro pagina: “Telecom, un decreto per salvare la rete”.
Il Foglio: “Il Cav prigioniero prepara la secessione parlamentare del Pdl”, “aria di arresto per Berlusconi, deputati e senatori gli riconsegnano il mandato in attesa del verdetto della Giunta”.
Berlusconi, governo, maggioranza
Il Foglio è andato alla riunione dei parlamentari Pdl ieri pomeriggio e spiega le decisioni: “Dimissioni di massa, o meglio pre-dimissioni di massa. I falchi, come Denis Verdini, il coordinatore e silenzioso architetto di retrovia del Pdl, avrebbero preferito dimissioni immediate, la crisi di governo già ieri sera. Ma la risoluzione strategica finale è stata un’altra, in un clima di pazzotico compromesso: se a ottobre il Cav sarà espulso dal Parlamento, ‘allora ci saranno le dimissioni effettive di tutti i parlamentari, saranno consegnate ai presidenti di Camera e Senato. Siamo in 200, non ci sarebbe più il numero legale. La legislatura a quel punto è finita’. Sabato si terrà una manifestazione a Roma, un raduno a metà per la celebrazione per la ri-nascita di Forza Italia e l’adunata di guerra. E d’altra parte i toni sono ancora penultimativi, in bilico, si attorcigliano voci sull’attivismo delle Procure”. Scrive ancora Il Foglio che l’onorevole e avvocato Ghedini, presente all’assemblea, “ha l’aria di saperla lunga quando, con tono metà sfiduciato e metà guerriero, sottolinea il timore di un imminente mandato di cattura da Milano, dove si indaga su una appendice dell’affaire Ruby. Ma arriverà davvero? Dicono a Palazzo Grazioli che la Procura di Edmondo Bruti Liberati sarebbe addirittura in gara con gli uffici di Bari e di Napoli a chi fa per primo ad arrestare Berlusconi’”. Ecco quindi “la ragione dell’improvvisa agitazione del Castello”, visto che a Roma il Cavaliere ha deciso di spostare la residenza ufficiale per scontare qui un eventuale affidamento ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. L’indizio sulle future mosse della Procura Ghedini lo avrebbe avuto ieri mattina e lo avrebbe comunicato a Berlusconi, che quindi avrebbe deciso di riunire lo stato maggiore del partito e di arrivare a questo “ennesimo penultimatum delle dimissioni di massa dei suoi parlamentari, vecchio pallino di Verdini. Alfano, arrivato in ritardo, non è stato nemmeno interpellato”.
La Repubblica: “Letta furibondo convoca i ministri azzurri, ‘se crolla il governo la responsabilità sarà vostra’. Il presidente del Consiglio si trova infatti negli Stati Uniti, e ieri ha cercato Alfano e parlato con Maurizio Lupi. Al suo rientro ha deciso di andare a vedere le carte del Pdl, convocando i ministri di Berlusconi per un chiarimento. Secondo il quotidiano, “a parte i pasdaran, nella truppa forzista non è che ci si spelli le mani per questa ennesima provocazione”. E si ipotizza che a scatenare l’ira del Cavaliere sia stata la paura concreta di un ordine di custodia cautelare già firmato da Napoli e pronto ad essere eseguito il giorno stesso della sua decadenza da senatore. Martedì Alfano è stato mandato sul Colle per chiedere a Napolitano di fare qualsiasi cosa in suo potere per impedire un simile esito, ma evidentemente – scrive La Repubblica – la risposta del Capo dello Stato non deve aver convinto il leader di Forza Italia. Da qui la decisione di alzare lo scontro. Spiega un anonimo ministro del Pdl: “Berlusconi ormai guarda al voto dell’aula sulla sua decadenza, e spera che – minacciando le nostre dimissioni – qualche decina di franchi tiratori del Pd lo possano salvare”.
“Larghe estorsioni” è il titolo dell’editoriale firmato dal direttore de Il Fatto quotidiano in prima pagina. Anche qui si fa risalire al rischio concreto di essere arrestato per l’inchiesta di Napoli sulla compravendita dei senatori la decisione di Berlusconi: “come un boss della mala pronto a scatenare l’inferno, con la differenza che qui non si è al cinema ma nel Parlamento della Repubblica”, questa istituzione è da ieri tenuta in ostaggio da “un pregiudicato e dai suoi bravi, protagonisti di una vera estorsione a mano armata”. Ma “i presunti aventiniani” hanno qualche possibilità di spuntarla, visto che le larghe intese sono state pensate anche per salvare Berlusconi: “Possibile che l’inquilino del Colle non si fosse accorto che sotto il suo capolavoro politico era stato piazzato un potente ordigno a orologeria?”. Alle pagine seguenti: “La setta Pdl si fa esplodere”. Secondo il quotidiano, le dimissioni di massa sono un messaggio all’unico che può trarre d’impaccio Berlusconi, ovvero Giorgio Napolitano. Che potrebbe esser spinto a dare le dimissioni, come aveva minacciato in caso di caduta del governo. Si aprirebbe “un’altra giostra”, magari un’altra trattativa per il nuovo inquilino del Colle”.
Il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti se la prende con “il furbetto Napolitano” e scrive che l’annuncio delle dimissioni di massa non appare reversibile: “O nelle prossime ore Napolitano si sveglia e fa qualche cosa di concreto per annullare gli effetti di un golpe politico-giudiziario, o il Pd si assume le sue responsabilità di socio di governo, e sconfessa nel voto le false conclusioni della magistratura, o accade questo o governo e legislatura sono al capolinea. Anche alle pagine interne del quotidiano, si spiega che il fastidio, sempre meno dissimulato, e per un Quirinale che resta “inerme”: il Capo dello Stato, sarebbe stato il ragionamento del Cavaliere, sta facendo di tutto per blindare il governo, e il varo della legge di stabilità, mentre continua a “non muovere un dito”, per l’ex premier.
Francesco Merlo su La Repubblica descrive “i kamikaze del Cavaliere”. E sottolinea che l’unanimismo profetizza già il fuggi fuggi, perché “in segreto tutti tramano, ma davanti al Capo tutti strepitano”, con “la sceneggiata di queste dimissioni deputati e senatori del Pdl non rispondono più agli elettori ma solo a Berlusconi”. Anche qui torna l’idea della “parodia della jihad”, in riferimento alla richiesta di Berlusconi ai parlamentari di “farsi saltare in aria”.
E il quotidiano, sulla reazione del Capo dello Stato, titola: “Napolitano: se è un diktat a me, non passa”. Naturalmente sintetizza quella che sarebbe stata la risposta del Presidente, che in realtà si è limitato a dire: “Verificherò le conclusioni dell’assemblea del Pdl”. Il Capo dello Stato avrebbe deciso di sentire direttamente i protagonisti, per sapere “con maggiore esattezza” quel che accade. Anche qui la accelerazione impressa nelle ultime ore viene letta come un aut-aut, un diktat indirizzato al Capo dello Stato.
La Stampa: “Napolitano: ‘Nessuno si illuda che io sciolga le Camere’. Il Presidente infuriato ha pronta nel cassetto la lettera d’addio. Il capo dello Stato avrebbe risposto così al Presidente del gruppo Pdl al Senato Schifani, al ministro Quagliariello, e a Gianni Letta, che gli avrebbero telefonato in sequenza. A loro avrebbe fatto sapere che lo scioglimento delle Camere è una illusione, e che se davvero i parlamentari Pdl dessero le dimissioni lui ne denuncerebbe pubblicamente il carattere eversivo di attacco alle istituzioni repubblicane. E a quel punto la questione sarebbe nelle mani del prossimo Presidente: di un nuovo capo dello Stato, eletto da questo Parlamento, ovvero dal Pd e da Grillo.
Su Il Corriere della Sera si sottolinea che il capo dello Stato ha scelto la via della prudenza, anche perché 24 ore prima aveva ricevuto garanzie sulla attività di governo dal segretario Angelino Alfano.
Telecom, Alitalia
Il Sole 24 Ore dà conto delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente di Telecom Italia Franco Bernabè, ieri in una audizione al Senato, nel corso della quale ha informato di aver appreso dei nuovi accordi solo dai comunicati stampa: “Abbiamo avuto conoscenza ieri, dalla lettura dei comunicati stampa, della recente modifica dell’accordo parasociale tra gli azionisti di Telco”. Bernabè davanti ai senatori non ha nascosto i rischi di downgrade dell’azienda ed ha ribadito che a suo parere la reazione migliore sarebbe un aumento di capitale. Ha frenato sulla ipotesi di scorporo della rete, ed ha sottolineato il valore strategico della dimensione internazionale del gruppo. Ha detto Bernabè che in caso di aumento di capitale “il percorso di separazione della rete di accesso, che rappresenta un elemento fondamentale del piano industriale, potrà essere realizzaot in un orizzonte temporale più adeguato alla complessità degli assetti regolatori”. “Un aumento di capitale richiede condizioni di mercato, e io ritengo che le condizioni ci siano. E’ un momento di straordinaria liquidità, le risorse ci sono, e ci sono tanti investitori pronti a investire”. Ma ha aggiunto che “un aumento di capitale deve rispondere a logiche stringenti, deve cioè dimostrar eil ritorno dell’investimento”. Quanto alla opzione alternativa, di dismettere le attività im Brasile e Argentina, essa avrebbe, secondo Bernabè, solo l’effetto di ridurre il gruppo “a un operatore di dimensione esclusivamente nazionale, ridimensionandone le prospettive di crescita”. Quanto alle prospettive di un intervento del governo, il Presidente Telecom è stato piuttosto critico: per arrivare a scelte differenti dovevamo tutti quanti pensarci prima: non si può arrivare a minacce come ‘nazionalizzeremo la rete’”.
Un altro articolo del quotidiano spiega che già domani, in Cdm, potrebbe arrivare il primo forte segnale del governo: il regolamento sulla golden share, con cui l’esecutivo tenta di scongiurare il rischio di perdere definitivamente la presa sulle infrastrutture strategiche di Telecom. IL quotidiano ricorda anche che c’è un ritardo di 380 giorni nella emanazione dei regolamenti che attuano la legge di riforma della golden share. Dopo le indicazioni della Corte di giustizia europea che invitava l’Italia a riscrivere quelle norme, ci si affrettò a varare una nuova legge, ormai in vigore dal 15 maggio dello scorso anno. Spiega il quotidiano che la nuova legge prevede poteri più leggeri e meno discrezionali per il governo, che può porre il veto contro l’acquisto di una partecipazione dall’estero solo in condizioni di estrema gravità e solo verso soggetti extracomunitari. Ma l’ambito di applicazione è stato ampliato dalle aziende pubbliche o privatizzate, alle private, purché le loro attività siano di “rilevanza strategica”. Ora il governo si affretta a portare i regolamenti mancanti al Cdm di domani, ma perché entrino in vigore devono avere il parere delle commissioni parlamentari, per cui passeranno alcuni mesi.
Su La Stampa si dà conto della reazione ieri del Presidente del Consiglio Letta (riferendosi alla spagnola Telefonica ndr): “Siamo nel mercato europeo, stiamo discutendo di una compagnia europea. Enel è proprietaria della spagnola Endesa. Non è un problema di nazioni, ma di interesse strategico. Nessuna discussione su Telefonica, il problema è il numero di lavoratori che vogliamo mantenere, tenendo conto che Telecom oggi è una società privata. Secondo: ci sono asset strategici, come la rete”
Nella pagina a fianco: “Pronti alla golden share, ma la maggioranza è divisa”, “il controllo della rete costa troppo, c’è chi punta a salvare solo la parte più sensibile”. Si scrive anche che il ministro dell’economia Saccomanni ha ricordato che gli accordi con Telefonica diventeranno operativi solo dal 2014.
La Repubblica dedica ampio spazio anche all’allarme del Copasir (Comitato parlamentare di controllo dei servizi di informazione) su Telecom che ha sottolineato come la vicenda metta a rischio la sicurezza nazionale. Il presidente Giacomo Stucchi ha detto che il controllo della rete Telecom “pone seri problemi di sicurezza, visto che la rete Telecom è la struttura più delicata del Paese, attraverso cui passano tutte le comunicazioni dei cittadini italiani ed anche quelle più riservate”.
Sulla stessa pagina si dà conto delle opinioni di Luigi Zingales, professore all’università di Chicago e consigliere indipendente Telecom, secondo cui Telefonica è in conflitto di interessi perché “è un concorrente diretto in Argentina e Brasile, che rischia di forzare Telecom alla dismissione di asset preziosi per il rilancio della società”.
E alle pagine seguenti, Carlo Bonini: “Servizi, esercito, forze dell’ordine: così Telecom trasporta i segreti del Paese”.
Il Ministro dello Sviluppo Economico Zanonato, intervistato dal Sole 24 Ore, parla della vicenda Alitalia e delle altre questioni sul tavolo. Su Alitalia dice che “non è detto che sol i francesi possano immettere capitale. Stiamo lavorando ad una soluzione che porti al coinvolgimento di alcune banche. Oggi l’azienda deve essere difesa finanziariamente, in modo che possa attuare tutto il piano di ristrutturazione del management e tornare con la capacità di fare alleanze da una posizione di forza”. Dice Zanonato che “bisogna assolutamente evitare che Alitalia sia preda di aquirenti che possano avere interessi strategici diversi da quelli del nostro Paese”. “Non si possono avere due negozi simili uno accanto all’altro, perché quando uno compra l’altro tenderà naturalmente a limitarne l’azione. L’Italia vuole restare uno dei grandi hub europei del trasporto intercontinentale e ciò avviene se si tutela l’azienda in quanto tale e non la si trasforma in un’ancella di un’altra socirtà che opera a breve distanza. Alitalia verrebbe fortemente ridimensionata. Mi preoccupa l’ipotesi che una compagnia sposti tutto l’asse del trasporto aereo centrale in Francia, con l’Italia marginalizzata”.
Internazionale
La Repubblica riproduce l’intervista che Christiane Amanpour ha realizzato per la CNN con il presidente iraniano Rohani. Sulla tanto attesa stretta di mano tra Obama e Rohani, il Presidente dice che “gli Stati Uniti erano chiaramente interessati a fare questo incontro, e in linea di principio l’Iran, in certe circostanze, poteva essere d’accordo, ma io credo che non ci sia stato tempo a sufficienza per coordinare in modo adeguato l’incontro”. Dice ancora Rohani che “il popolo iraniano è determinato ad inaugurare una nuova era nei rapporti tra l’Iran e il resto del mondo”. Christiane Amanpour chiede: “Lei è autorizzato ad avviare colloqui o un negoziato con gli Stati Uniti, lei è autorizzato dalla Guida Suprema?”. Rohani risponde che “la Guida Suprema ha detto che se dovessero rendersi necessari dei negoziati nell’interesse del Paese, lui non è contrario, e ha menzionato specificiamente, in un recente dicorso, che adesso non è ottimista, però, quando si tratta di questioni specifiche, gli esponenti del governo possono parlare con i loro corrispettivi americani. Ora, se si fosse creata, se si fosse presentata una opportunità oggi, e se fosse stato fatto il lavoro preparatorio, molto probabilmente i colloqui avrebbero avuto luogo e sarebbero stati incentrati principalmente sulla questione nucleare e sugli sviluppi in medio oriente. Perciò le posso assicurare che la Guida Suprema ha dato al mio governo l’autorizzazione a negoziare liberamente su questi temi”. La Amanpour gli ricorda che il suo predecessore, Ahmadinejad, era solito negare l’Olocausto dal palco dell’Onu e gli chiede se invece lui riconosca l’Olocausto. Risponde Rohani: “Ho già detto che non sono uno storico, e quando si tratta di parlare delle dimensioni dell’Olocausto sono gli storici che dovrebbero fare considerazioni. Ma in generale posso dirle che qualsiasi crimine contro l’umanità avvenuto nella storia, compreso il crimine che i nazisti hanno compiuto nei confronti degli ebrei, e anche i non ebrei, è riprovevole e condannabile. Qualsiasi atto criminale abbiano commesso contro gli ebrei noi lo condanniamo. Ma sopprimere una vita umana è qualcosa di spregevole, e non fa differenza se la vita è di un ebreo, un cristiano, un musulmano. Sopprimere la vita umana è qualcosa che tutte le religioni rigettano, ma d’altra parte questo non significa che se i nazisti hanno commesso crimini contro un gruppo, allora è giusto sottrarre la terra a un altro gruppo e occuparla. Anche questo è un atto che dovrebbe essere condannato. Di queste cose si dovrebbe discutere in modo imparziale”. Tanto La Repubblica che il Corriere della Sera scrivono che l’apertura del Presidente Rohani è stata ridimensionata dalla agenzia Fars, vicina ai pasdaran, secondo cui la CNN avrebbe falsificato l’intervista, traducendo in modo non preciso le parole del Presidente. La Repubblica riferisce però che anche in un’altra intervista alla Fox, Rohani ha ripetuto in modo inequivocabile il concetto: i nazisti hanno commesso un massacro, che non può essere negato, soprattutto contro il popolo ebraico.
Il Corriere intervista Anne-Marie Revcolevschi, presidente di una Ong con sede a Parigi, “Projet Aladin”, che si occupa di diffondere la conoscenza reciproca tra ebrei e musulmani. Non la sorprende la retromarcia della agenzia Fars, perché – spiega – è l’organo di stampa più legato ai guardiani della rivoluzione. I pasdaran non possono tollerare simili novità. Ma l’agenzia ufficiale Irna non ha emesso alcuna smentita, e questo è molto importante, al di là del gioco delle traduzioni e delle interpretazioni, i miei amici iraniani mi confermano che Rohani quelle parole le ha dette.
La Stampa intervista Elie Wiesel, sopravvissuto alla Shoah e premio Nobel per la pace, secondo cui non è sufficiente che Rohani abbia usato l’espressione “crimine” riferendosi all’Olocausto: “Tutti sanno che la Shoah è stata un crimine, e inoltre lo ha detto con un linguaggio che ha avvalorato un paragone con altri crimini, parlando con una voluta generalizzazione. Per Wiesel il fatto che Ahmadinejad abbia negato per tanti anni e in modo tanto esplicito lo sterminio degli ebrei, parlando in pubblico, lanciando iniziative, divulgando falsi riferimenti storici per infondere dubbi, ha portato un intero governo e una intera nazione sovrana ad essere coinvolti nella negazione della Shoah. Proprio perché Rohani ha alle spalle tutto questo, non basta quanto ha detto nella intervista alla Cnn: “Dovrebbe far insegnare la storia della Shoah nelle scuole iraniane, perché quel che conta è l’istruzione delle nuove generazioni di iraniani”.
Su La Stampa Roberto Toscano sottolinea che anche senza la stretta di mano, la partita Iran-Usa si è comunque aperta, e nei prossimi giorni prenderà corpo su un negoziato sul nucleare che finalmente vedrà gli americani impegnati nella ricerca di una soluzione che non potrà se non riproporre l’unico schema possibile: riconoscimento del diritto dell’Iran all’arricchimento dell’uranio ma con limitazioni quantitative e con forme di controllo particolarmente stringenti. Intanto però, sottolinea Toscano, il dialogo tra Obama e Rohani ha molti nemici: sarebbe fare torto agli israeliani ritenere che davvero credere che l’Iran abbia tendenze suicide da realizzare con lo sviluppo di ordigni nucleari. La loro preoccupazione è che la normalizzazione dei rapporti Usa-Iran faccia uscire gli iraniani dall’attuale isolamento, permettendo loro di far sentire il loro peso nella regione sul piano politico e diplomatico. In questo gli israeliani sono del tutto allineati con i sauditi. L’offensiva è apparentemente religiosa, ma in realtà riflette obiettivi di natura geopolitica. Altrettante ostilità troverà Obama nel congresso americano, sulla ipotesi di risolvere la questione iraniana senza il ricorso alla forza. “Da ultimo, ma non meno pericoloso, è il potenziale sabotaggio che può venire dalle correnti più radicali all’interno della Repubblica islamica”.
Sul Corriere della Sera Sergio Romano scrive: “Non ho mai creduto che l’Iran volesse costruire immediatamente un ordigno nucleare, ho sempre pensato che voglia essere nelle condizioni del Giappone, vale a dire capace di costruirlo e minacciarne l’uso, all’occorrenza, nel più breve tempo possibile. Cambierebbe idea, forse, se gli Usa fossero disposti ad adoperarsi per lo smantellamento dell’arsenale nucleare israeliano. Benyamin Nethanyau lo sa e per questo ha definito il discorso di Rohani “cinico e pieno di ipocrisia”. La minaccia del nucleare iraniano in questi anni è divenuto la migliore giustificazione del nucleare israeliano. Prima o dopo gli usa dovranno scegliere tra due posizioni possibili: convivere con un Iran potenzialmente nucleare o fare pressione su Israele perché rinunci al proprio arsenale”.
Il Foglio scrive che il disgelo nucleare costa di più a Obama che a Rohani: Rohani chiede infatti una tregua alle sanzioni in cambio di un congelamento dell’attività della centrale di Fordo. Ma ammesso che si tratti di uno scambio equo, Obama ha un potere limitato sulle sanzioni: soltanto otto delle 21 misure contro l’Iran dipendono esclusivamente dalla Casa Bianca. Le altre, per essere modificate, devono passare da un voto del Congresso, dell’Onu o della Unione Europea. Per promuovere il compromesso Obama dovrebbe fare pressione sugli alleati e sul Congresso, dove i leader delle commissioni esteri hanno già messo nero su bianco le loro obiezioni sulle sanzioni.