L’Unità: “Il Presidenzialismo che rompe. Alfano rilancia. No della sinistra in piazza a Bologna. Tensioni nel Pd. Napolitano: riforme in 18 mesi”. In evidenza anche la Turchia, con “la sfida di piazza Taksim”. A centro pagina: “Svolta tv di Grillo: ora voglio la Rai”.
La Repubblica: “Napolitano: il governo è a termine. Alfano rilancia il presidenzialismo, il Pd si divide. Letta: io sarò neutrale. Il Capo dello Stato insiste: ‘Diciotto mesi per le riforme’. Rodotà critica il premier. La scure di Grillo sui dissidenti: saranno espulsi”. A centro pagina: “Turchia, il pugno di Erdogan: 1700 arresti”.
In apertura su Il Giornale una intervista al viceministro dell’Interno e segretario del Pdl Angelino Alfano: “Alfano: ‘il piano choc’. ‘Nuova ricetta sulle tasse. Il Pdl? Distinguo i ruoli di segretario e uomo di governo”. E poi: “Napolitano: ‘Esecutivo a termine’. E frena sul presidenzialismo”.
Anche La Stampa offre in apertura una intervista, al Ministro dello Sviluppo Economico Zanonato: “’Sgravi a chi assume i giovani’. Zanonato anticipa il piano dell’esecutivo: più credito alle imprese. Prevista l’esenzione fiscale di imposte e contributi per il monte-salari dei contrattualizzati a tempo indeterminato”. A centro pagina: “Morti e feriti, mezza Europa sott’acqua. Straripano Moldava e Danubio, allarme in Austria, Germania e Repubblica Ceca. In Italia torna il freddo”.
Riforme
Intervistato da Il Giornale, Angelino Alfano parla dei primi passi del “percorso che ci eravamo dati con gli otto punti di Berlusconi”, sottolineando i primi risultati: la sospensione dell’Imu, il rifinanziamento della cassa integrazione, l’abbassamento degli stipendi per i ministri, il ddl sul finanziamento pubblico. Sull’Imu: “L’impegno del governo è consolidato in un decreto e la data del 30 agosto è cristallizzata nella Gazzetta Ufficiale. Non si torna indietro”. Sulle prossime scelte in materia economica: “Intanto serve arrivare a zero tasse per chi assume giovani disoccupati visto che la tassazione si mangia la metà di quanto un imprenditore si toglie di tasca. Poi bisogna liberare l’impresa dalla camicia di forza della burocrazia: serve un piano strong, molto duro anche nel tempo, di semplificazioni che permettano a chi ha soldi di investire senza inciampare nei lacci e lacciuoli della burocrazia”. Sull’Iva, dice che “sarebbe contraddittorio aumentarla” in questa fase, ma ammette che “al braccio di ferro tra Imu e Iva preferisco dire che dobbiamo provare a farle entrambe”. Sulle riforme istituzionali: “I segnali arrivati dal Pd, da Renzi, da Veltroni e dallo stesso Enrico Letta sono molto confortanti”. I tempi: “I 18 mesi previsti dall’articolo 138 della Costituzione. E’ inevitabile”. Sulla riforma elettorale: “E’ stato Enrico Letta il primo a parlarne a Spineto ed è una giusta istanza per rispondere ai rilievi della Consulta. Noi siamo coerentemente fermi a quella impostazione. Per quanto riguarda la riforma in toto del sistema di voto, invece, credo che debba arrivare alla fine del percorso. Se il modello a cui si guarda è il presidenzialismo alla francese si può immaginare un tipo di legge elettorale, se si guarda a Berlino o Londra i sistemi di voti sono altri. Insomma, prima vengono le riforme costituzionali e poi, alla fine del percorso, la legge elettorale”.
Il Corriere della Sera: “Presidenzialismo, Alfano spinge. Ma la svolta spacca la sinistra”. Dove si spiega che “’ stata accolta ‘con acclamazione’ dal Pdl e primo fra tutti dal segretario politico Alfano la battuta del premier, Enrico Letta, sulla necessità di cambiare ‘le modalità’ per l’elezione del capo dello Stato. Perché ha fatto subito pensare ad una apertura all’elezione diretta del presidente. Ma il Pd su questo argomento si spacca, con i ‘guardiani della Costituzione attuale’ capitanati da Rosy Bindi”. In realtà Letta, parlando a Trento, aveva parlato della elezione del Capo dello Stato avvenuta in aprile, ed aveva detto: “Non credo che potremo ancora eleggere il Presidente in quel modo lì”. Questa dichiarazione viene letta anche da L’Unità come una “apertura alle nuove regole” per l’elezione del Capo dello Stato. E una intera pagina del quotidiano è dedicata al lavoro dei saggi nominati da Napolitano per le riforme: “I ‘saggi’ hanno parlato al vento. Dissero no alla elezione diretta”, con stralcio dal documento di Violante, Onida, Quagliariello e Mauro: “’Il sistema parlamentare è migliore’”. Nelle pagine seguenti, una intervista ad Anna Finocchiaro, che commenta le parole di Letta:”Credo si riferisse al clima nel quale è maturata la rielezione del presidente Napolitano. Ma bisogna evitare che una discussione seria su come dare al Paese un sistema istituzionale forte si trasformi, appunto, in una competizione tra opposte tifoserie”. Sulle riforme da fare: “Il Parlamento è sfibrato dal bicameralismo che spesso rallenta l’iter delle leggi. Il Parlamento legifera sempre più sulla base della necessità di convertire decreti legge e sempre meno per iniziativa propria. Le Camere devono recuperare autorevolezza visto che sono formate da nominati e non da eletti. La legge elettorale non è più in grado di assicurare maggioranze stabili”. Insomma, “prima di duellare tra semipresidenzialismo e cancellierato”, “dovremmo partire dai mali che affliggono le nostre istituzioni”. Ancora sul semipresidenzialismo: “Io non ho tabù. Qualora la discussione si incentrasse sul semipresidenzialismo, però, prima bisogna discutere del fatto che un sistema di questo genere deve essere accompagnato da norme rigorosissime su incompatibilità e conflitto di interessi”.
Secondo un retroscena de La Stampa dietro “l’apertura del Pd” sulla elezione diretta del Presidente, ci sarebbe “il ritorno di Prodi”: “L’apertura del Pd parte da lui. E il premier ci sta”. Prodi si era espresso a favore del sistema francese qualche giorno fa, con un articolo sul Messaggero. Una presa di posizione “innovativa rispetto ad una tradizione politica e culturale, tanto è vero che ha finito per spiazzare chi in questi anni ha difeso gli attuali assetti costituzionali come Rosy Bindi, che ha detto ‘Prodi sbaglia’”. Ma nella mossa del Professore, scrive La Stampa, c’è qualcosa in più: “sia pure tra mille subordinate, in cuor suo non esclude un’ipotesi clamorosa: non soltanto di intestarsi la battaglia per il cambio di sistema, ma un domani di candidarsi ad una Presidenza così rinnovata”. Il quotidiano evidenzia tuttavia come il “matrimonio” tra Pd e presidenzialismo sia “tutta in salita”, anche perché connessa alle tattiche interne al partito e ai rapporti tra partito e governo: “eppure i segnali di disgelo vengono proprio dalle due anime, quella ex comunista e quella cattolico-democratica: si citano in proposito le dichiarazioni di qualche giorno fa di Anna Finocchiaro (“non dobbiamo avere nessun tabù”) e quelle del “dalemiano” Nicola Latorre (“il sistema più rodato è il semipresidenzialismo alla francese”, a condizione che vi sia un bilanciamento attraverso una legge sul conflitto di interessi).
La Repubblica scrive che “il Pd si divide sull’elezione diretta” e sottolinea che il sistema francese comporterebbe una gigantesca modifica della Costituzione: “più vasta, più ambiziosa e soprattutto più lunga dell’anno e mezzo sottolineato da Napolitano e Letta”, ovvero del termine del governo attuale. Nel Pd, scrive ancora il quotidiano, il “fronte presidenziale si è allargato”: comprende Walter Veltroni, Matteo Renzi, Romano Prodi, Guglielmo Epifani e, con la dovuta cautela, lo stesso Letta. Massimo D’Alema è realista: “la mia preferenza è per il sistema tedesco. Ma la Bicamerale presieduta da me aveva indicato il modello francese”, “non mi impicco a un’ipotesi. Sapendo però che serve un bilanciamento dei poteri e che le modifiche alla Carta saranno enormi”. Quindi D’Alema mete in conto tempi non brevi e il superamento di tante resistenze a sinistra. Che emergeranno già domani in Direzione: Rosy Bindi è polemica (il governo, chiede, “non si doveva occupare di altri accordi di maggioranza, di risolvere i drammatici problemi sociali?”) e Bersani conferma la sua allergia per “l’uomo solo al comando”.
Alle pagine seguenti de La Repubblica si riferisce poi dell’incontro tenutosi a Bologna ieri con Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Salvatore Settis e Roberto Saviano, promosso dall’associazione “Libertà e Giustizia” proprio in difesa della Carta: “Libertà e Giustizia, in cinquemila a Bologna, ‘No al presidenzialismo, la Carta va difesa’”. Parole di Rodotà: “Non sono riusciti ad eleggere un presidente e vogliono uscirne scaricando le loro incapacità sulla Costituzione”. Sul palco c’erano anche la segretaria Cgil Camusso e il numero uno della Fiom Maurizio Landini, Nichi Vendola, Rosy Bindi, Pippo Civati e la prodiana Sandra Zampa, Antonio Ingroia ma non Prodi, “nonostante fosse stato invitato”, sottolinea il quotidiano.
Economia
Il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato, intervistato da La Stampa, dice che il governo può fare qualcosa per aiutare i giovani: alcune misure a costo zero, altre che costano. Ma la più importante è la riduzione del costo del lavoro per le imprese che assumono giovani. Sarà una esenzione fiscale di tasse e contributi per l’intero monte-salari degli assunti nuovi a tempo indeterminato. La durata? Dipenderà dalle risorse disponibili. L’importante è fare uno sforzo, abbiamo due milioni e mezzo di giovani, una cifra che fa venire i brividi, che non lavorano e non studiano, i cosiddetti neet.
La segretaria della Cgil Susanna Camusso, intervistata da La Repubblica, dice che “la Cgil è contraria alla idea che possa aiutare l’occupazione giovanile l’estensione del contratto a tempo senza l’indicazione della causa per chi si fa l’assunzione. Di fronte al dato impressionante di oltre il 40 per cento di disoccupati giovani tutti sono pronti a dire che si deve abbattere quel numero ma poi non si può offrire ai giovani un inseguimento perenne verso la stabilizzazione. Un primo contratto senza causale basta e avanza”. Dunque incentivi fiscali solo per i contratti a tempo indeterminato? “Gli incentivi devono premiare chi dà stabilità, altrimenti quelle risorse finiscono per finanziare l’occupazione temporanea. Credo che la lega degli incentivi vada adoperata per favorire la trasformazione dei contratti a tempo in contratti a tempo indeterminato. Questo darebbe il segno del cambiamento”. La Cgil è è favorevole alla staffetta anziani-giovani? “E’ una nostra antichissima proposta. Ma va fatta bene: non si può fare riducendo i contributi previdenziali del lavoratore più anziano; non si può fare come è accaduto alle Poste, dove un posto è stato diviso tra un part time e un nuovo contratto a tempo determinato”.
Internazionale
Su La Stampa focus sull’Iran, che si avvia a celebrare le presidenziali il 14 giugno. Ne parla Roberto Toscano, che in Iran è stato ambasciatore dal 2003 al 2008. “L’Iran va alle urne per consolidare il potere di Khamenei”, la guida suprema della Rivoluzione. “Candidati eliminati, in lizza solo gli uomini graditi all’ayatollah. Dal 1979 il regime ha sempre cercato di trovare una alleanza all’interno di un sistema oligarchico, ma ora il modello è andato in crisi. Il prescelto dalla guida suprema è il negoziatore sul nucleare Jalili, vero credente nell’attuale sistema di potere: tutti gli altri candidati sopravvissuti alla “cernita” del Consiglio dei guardiani potrebbero infatti rivelarsi troppo indipendenti, come è avvenuto nel caso del Presidente uscente Ahmadinejad. Il risultato delle elezioni mantiene un certo livello di imprevedibilità, ma l’obiettivo resta lo stesso: mantenere l’oligarchia al timone. Per i cittadini iraniani si profilano tempi ancora più difficili, poiché, se è vero che l’oligarchia non è certo democrazia, nel caso iraniano il sistema aveva garantito certi spazi per ipotesi politiche diverse, “seppur obbligatoriamente inserite nel perimetro di ortodossia custodito da leader-arbitro e dal consiglio dei guardiani. Se cade questa articolazione, e l’emarginazione di Rafsanjani sembra esserne il segnale più inconfutabile, l’oligarchia si trasforma in dittatura, e forse il prossimo passo potrebbe essere l’abolizione della figura di presidente, e la sua sostituzione con un primo ministro.
Una corrispondenza di Marco Ansaldo da Istanbul racconta che sui cartelli innalzati a Piazza Taksim si leggeva una massima del poeta Nazim Hikmet: “Muore un albero. Si sveglia una nazione”. La massima si adatta bene alle proteste scatenate dalla decisione di sradicare i 600 alberi del Gezy park di Istanbul, per far posto ad un grande centro commerciale: “Erdogan, il primo ministro che ha alzato le tasse su tabacco e alcolici, che vuole vietare i baci in pubblico e le gambe delle modelle nelle pubblicità, accusato piuttosto di pensare troppo agli affari e a progetti faraonici, è da sette giorni e sette notti il bersaglio della piazza”. Secondo Ansaldo sono arrivati anche dalla parte anatolica del Paese, i manifestanti , battendo i cucchiai contro le pentole, appendendo asciugamani bianchi alle finestre, accendendo e spegnendo la luce di notte in segno di vigilanza. Dice un manifestante: “il governo fa pressione su tutto: non fate due figli ma fatene tre, non baciatevi nelle stazioni della metro, non fumate, non bevete. Ma io sono un figlio di Ataturk, accidenti, e mi oppongo”. Un altro dimostrante, con in mano una birra: “A Erdogan è partito il cervello, dopo il terzo governo ricevuto pensa di essere il padrone della Turchia. Per lui la critica non esiste”. In sette giorni sono più di 1700 le persone arrestate, ma, ha detto il ministro dell’Interno Guler, la maggior parte di loro è stata rilasciata. I dimostranti sostengono che due persone sono state uccise, ma è una notizia che non trova conferma a livello ufficiale, e neanche Amnesty la conferma, riferendo invece di “cinque persone in pericolo di vita per ferite alla testa”. La risposta di Erdogan: “Il principale partito di opposizione è la causa di queste proteste, che hanno una motivazione ideologica e non riguardano lo sradicamento di una dozzina di alberi. Naturalmente non chiederò a loro, né ai saccheggiatori, il permesso di andare avanti”. “Bruciano, danneggiano negozi, questa è la democrazia? Il problema sono gli alberi?Qui nessuno vuole tagliare gli alberi, non c’è alcuna decisione finale sulla costruzione di un centro commerciale, forse ci sarà un museo cittadino”. Della questione si occupa Gilles Kepel. Le manifestazioni di “Istanbul, Smirne e Ankara sono la prima dimostrazione di disobbedienza civile nei confronti di Erdogan, e anche nei confronti dell’Akp che guida il Paese da più di dieci anni. Queste manifestazioni, che potrebbero rappresentare l’inizio di una ‘primavera turca’, costringono il premier a ridisegnare l’immagine del Paese, tenendo conto delle sue pretese di servire come esempio ‘islamo-capitalista’ a quei Fratelli musulmani che hanno conquistato il potere in Egitto e in Tunisia”.
Se per quei regimi arabi nati dopo le rivoluzioni la Turchia è diventata unmodello di sviluppo da imitare, le rivolte in corso nel Paese evocano, secondo Kepel, le manifestazioni al Cairo contro l’autoritarismo del Presidente Morsi o quelle di Tunisi dopo l’assassinio dell’avvocato laico BelAid da parte di un gruppo islamico radicale: “La prosperità turca si è infatti scontrata con diversi ostacoli interni e regionali, che hanno rotto gli equilibri di quella ‘democrazia islamica’ che predicava Erdogan, spingendo il Paese verso una deriva dittatoriale e un coinvolgimento sempre più rischioso nella guerra in Siria”.
La Stampa scrive che a piazza Taksim il dissenso nei confronti di Erdogan è riuscito a coalizzare le tre principali squadre calcistiche della città: Besiktas e Galatasary hanno dato vita a un vero e proprio gemellaggio, all’insegna del no al regime islamico moderato. Più defilati i tifosi del Fenerbace, il team di cui il premier è un tifoso accanito.
Su L’Unità si scrive che in Egitto si è riaperto lo scontro istituzionale ai livelli più alti. La Corte Costituzionale ha stabilito che la legge con cui è stato eletto il Consiglio della shura (la Camera alta dominata dagli islamisti, con 150 seggi su 180) è incostituzionale. Nella stessa pronuncia sono state dichiarate illegittime anche le regole con cui sono stati selezionati i componenti della commissione che ha redatto la nuova costituzione ispirata alla sharia. Il Presidente della Corte ha però disposto che il Consiglio della shura non venga sciolto fino alle prossime elezioni, la cui data deve ancora essere fissata. Con una nota il presidente Morsi ha affermato che il Consiglio “proseguirà nel proprio compito legislativo” fino a che i nuovi poteri saranno trasferiti ad una nuova assemblea”, e che resta vigente la Costituzione approvata da un referendum, malgrado la corte abbia definito illegittima l’assemblea che l’ha elaborata. Quel testo, sottolinea la nota della presidenza va applicato, difeso, protetto e rispettato da tutte le istituzioni. Mohamed el Baradei, uno dei leader della opposizione laica, dice che Morsi continua a comportarsi come “un presidente di parte” mentre dovrebbe rispettare l’autonomia del potere giudiziario. L’Unità riferisce anche che gli Usa sono preoccupati per un controverso Progetto di legge sulla regolamentazioni delle organizzazioni della società civile, che il Presidente Morsi ha presentato martedì scorso.
Su La Repubblica una intera pagina dedicata al conflitto siriano e alle sue ripercussioni: “Siria, la battaglia sconfina in Libano”. La notte scorsa i ribelli anti-Assad hanno sferrato un attacco alla città libanese di Baalbek, roccaforte degli sciiti di Hebzollah nella valle della Beka. L’hanno definita una offensiva “preventiva”, che nelle intenzioni dell’esercito libero siriano dovrebbe evitare il maggior coinvolgimento di Hezbollah a fianco delle forze di Assad, come accade a Qusair, dove le forze del regime di Damasco stanno riguadagnando posizioni proprio grazie all’appoggio di Hezbollah”. Sulla stessa pagina, una intervista al ministro della Difesa Mario Mauro: “Le ultime minacce di Assad nei confronti del Libano, e l’invocazione del presidente (libanese, ndr) Suleiman nei confronti di Hezbollah a non entrare ulteriormente nello scenario siriano ci confermano che quel conflitto può tramutarsi in una nuova ‘guerra di Spagna’. Questa volta in Medio Oriente, ma pronta a coinvolgere l’Europa. Sono già implicati importanti Paesi del golfo: Iran, Arabia Saudita, Qatar. Ci sono tutti i Paesi del Medio Oriente, innanzitutto Israele. E ci siamo noi Paesi occidentali, come membri della Nato vicini a un alleato come la Turchia in prima linea e come Paesi della Ue”. L’Europa sospenderà l’embargo, il governo italiano sarebbe pronto a dare armi ai ribelli. Mauro: “Di tutto questo non si è ancora discusso, noi vogliamo parlare di una conferenza di pace. La soluzione di questo conflitto è politica”.
Anche su Il Corriere, che ha inviato a Damasco Davide Frattini: “Libano, il contagio della guerra. Scontri Hebzollah-ribelli siriani, almeno 17 vittime tra i miliziani legati ad Al Qaeda”.
Dalla corrispondenza si legge anche del destino dei 150 mila palestinesi che vivono in un campo per rifugiati libanese. In questi mesi hanno tentato di rimanere neutrali, ed erano stati attaccati dai fondamentalisti sunniti del fronte Al Nusra. Ma il fronte popolare per la liberazione della Palestina è rimasto fedele al presidente Assad, che ne ospita i capi. Hamas ha scelto invece di andarsene e di stare con i rivoltosi, spaccando anche l’alleanza con Hezbollah, che li accusa di aver trasmesso ai ribelli le tecniche di battaglia imparate per combattere i soldati israeliani.
E poi
Alle pagine R2 Cultura de La Repubblica Giancarlo Bosetti scrive che il picco del successo editoriale dei “missionari” dell’ateismo è stato raggiunto nel decennio passato, tra il 2004 e il 2007, quando uscirono, l’uno vicino all’altro, i libri di Sam Harris, Michel Onfray, Richard Dawkins e Cristopher Hitchens. Questa fase, secondo Bosetti, sembra passata e l’aggressione antireligiosa lascia il passo a riflessioni più moderate. Tanto Hitchens che Dawkins si dichiaravano ostili alla religione, considerata un male in sé. “L’onda lunga della predicazione antireligiosa era cominciata indubbiamente l’11 settembre, dopo l’attacco terroristico condotto in nome del Dio dell’islam. Negli ultimi 10 anni, a partire dal dialogo tra Habermas e Ratzinger nel 2004, la riflessione ‘postsecolare’ si è affermata largamente in Europa, suggerendo un atteggiamento più prudente da parte laica nei confronti delle fedi, ‘possibili depositarie’ di una ‘riserva semantica’ e cioè di risorse di senso che potrebbero tornare utili a una società liberale che ne scarseggia. Così come pensiamo giusto tutelare la varietà delle lingue, anche la varietà delle religioni contiene un valore di pluralità da difendere: è un principio di precauzione per la tutela della specie”. Bosetti attira anche l’attenzione sulle ripercussioni della crisi economica del 2008, e scrive che la più grande ricerca sul piano globale circa l’ateismo nel mondo è quella di Ronald Ingelhart (Human values and believes) e mostra una correlazione significativa tra ateismo e sicurezza sociale: a parte i regimi laici autoritari, le percentuali di non credenti sono più alte dove è più forte lo stato sociale, più basse dove è più debole.
Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini