Le aperture
Il Corriere della Sera dedica il titolo più grande ai sondaggi elettorali: “Grillo è primo tra i giovani. I 5 Stelle prevalgono fino ai 44 anni. Forza Italia tiene tra gli over 65. Ma il Pd ha dieci punti in più sul totale degli elettori”. L’analisi è firmata da Nando Pagnoncelli. Il titolo di apertura è però per “la scoperta”: “Creato un Dna artificiale. L’uomo fa il primo passo per costruire la vita”, con un commento di Edoardo Boncinelli.
La Repubblica: “Il bonus cambierà, più soldi ai poveri e alle famiglie”, “Al Senato passa la fiducia sul decreto per il lavoro”, “Manette e magliette, show dei grillini.
La foto a centro pagina è per il piano Fiat: “La Borsa boccia Marchionne, il titolo crolla dell’11,7%”.
“Il caso” raccontato in prima pagina riguarda ancora gli ultras e l’informativa tenuta ieri alla Camera dal ministro dell’Interno in relazione agli scontri allo stadio di sabato scorso: “Alfano si assolve, ‘Con gli ultrà nessuna trattativa’”. L’analisi è firmata da Carlo Bonini: “Il ministro recidivo”.
La Stampa è oggi in edicola con una doppia copertina. La prima avvolge il quotidiano ed è dedicata all’Europa e ai risultati dell’ultimo sondaggio di Eurobarometro: “Quanto ti senti cittadino europeo?”. E le risposte: 39 per cento: molto. 20 per cento: moltissimo. 26 per cento: non molto. 14 per cento: per niente.
L’apertura vera e propria del quotidiano è dedicata al Decreto lavoro: “Lavoro, passa la flessibilità”, “Sì alla fiducia, caos al Senato. I grillini si ammanettano: Schiavi mai”.
Il Fatto: “Il Pd riforma il Senato con B. Poi lo denuncia per corruzione”, “Anna Finocchiaro testimonia contro il Caimano al processo di Napoli: ‘Nel 2007 avvicinò due nostri senatori perché passassero al Pdl’. Ma Martedì era indaffarata a contrattare con lui i voti di Fi per salvare la legge del governo. Decreto Lavoro: i 5 stelle si ammanettano contro la fiducia”.
In taglio basso: “Trattativa Stato-ultras”, “Il ricatto della Carogna: ‘Ora invadiamo il campo’”
Il Sole 24 Ore: “Lavoro, così cambiano le regole. Niente causale per i contratti a termine fino a 36 mesi. Solo sanzioni per chi supera il tetto del 20 per cento”. “Fiducia sul decreto, ma al Senato è bagarre: i grillini si incatenano per protesta”. L’editoriale, firmato da Alberto Orioli, è titolato: “La via difficile per un lavoro più moderno”.
A centro pagina: “Fiat, ‘mercoledì nero’ in Borsa”. Di spalla: “Riforma del Senato, il primo sì arriverà dopo le elezioni”.
L’Unità: “Lavoro, sì a fiducia. Caos a 5 Stelle”. “Via libera al Senato al decreto Poletti. Nuovo show dei grillini che si ammanettano e gridano al golpe. Al Congresso Cgil Landini presenta una sua lista e attacca: ‘Il sindacato diventi una casa di vetro’”. A centro pagina: “Rossi, Pd: Berlusconi cercò di comprarmi”. Si tratta della testimonianza dell’ex senatore al processo sulla presunta compravendita dei parlamentari in corso a Napoli.
Il Giornale: “Illegale l’inchiesta su Ruby”. Il quotidiano parla dei conflitti nella Procura di Milano, e delle dichiarazioni del Procuratore Generale del capoluogo lombardo: “’La Boccassini interrogò i testimoni senza avere alcun titolo per farlo’. E’ la prova della persecuzione contro il Cavaliere”. A centro pagina, con foto: “Così Alfano ci ha regalato ventotottomila clandestini”. E ancora: “Riforme, Berlusconi ha in pugno Renzi”. “Dal Senato al lavoro, il premier non può fare a meno di Forza Italia”.
Riforme
Su Il Fatto: “Riforme ancora rimandate in attesa del voto europee”, “Il premier minaccia B. con elezioni anticipate, ma lavora per rimanere”. Il quotidiano torna alla seduta della Commissione Affari costituzionali di due giorni fa sulla riforma del Senato e ricorda che per far passare il testo del governo il presidente del Consiglio ha dovuto telefonare al leader di Forza Italia, richiamandolo al patto del Nazareno. Ma ieri il termine per la presentazione degli emendamenti al testo è slittato al 23 maggio: “il rischio di scivoloni è troppo alto”, commenta il quotidiano.
Su Il Giornale si scrive che Renzi “ha potuto constatare con mano quanto sia forte – ormai anche tra i Cinque Stelle – l’istinto di sopravvivenza di chi siede tra i velluti rossi di Palazzo Madama e non vuole che la baracca sia chiusa. E quanto sia diffusa la tentazione di fargli uno sgambetto in piena campagna elettorale, affossando la sua riforma”. “’Se avessimo deciso di andare avanti – spiega un esponente renziano – ogni voto su ogni emendamento sarebbe diventata l’occasione per uno show elettorale o un titolo di giornale’. Tutto rinviato, dunque. Anche perché martedì sera Renzi ha sollecitato e alla fine ottenuto che Silvio Berlusconi tenesse fede al patto del Nazareno e votasse il testo (usando anche la minaccia di dimissioni e quella, messa nero su bianco da Roberto Giachetti, di voto anticipato) ma ha anche pagato un prezzo: il Cavaliere e i suoi non hanno mancato di sottolineare in tutti i modi che senza di loro le riforme non sono possibili, e come la maggioranza e lo stesso Pd siano a rischio sfarinamento”.
La Stampa: “Pressing del Pd su Renzi: ‘Non farti infinocchiare’”, “Crescono i malumori a sinistra per l’accordo con Berlusconi. Il premier: messaggio ricevuto. Congelata la riforma del Senato”. Scrive il quotidiano che l’ex Cavaliere nelle ultime ore ha persino ventilato l’ipotesi di una nuova maggioranza congiunta: parole che hanno fatto tremare i polsi a molti esponenti Pd, secondo il quotidiano. “Non siamo né pronti né disponibili al matrimonio”, ha chiarito per tutti Massimo D’Alema. Ma resta evidente che equilibri e collaborazioni future saranno condizionate dall’esito del voto del 25 maggio: è lo stesso sosttosegretario Delrio, “vero alter ego di Renzi”, ad ammettere che il governo avrà grossi problemi se il Pd resterà inchiodato al 25% e Alfano non riuscirà a superare il 4%. Nel frattempo, però, la riforma del Senato “viene congelata” e ieri “Palazzo Madama sembrava un campo di battaglia dopo la prima tregua. Feriti ovunque. La pressione di Verdini sull’ex Cavaliere e le telefonate di quest’ultimo con il premier hanno portato all’approvazione in Commissione Affari costituzionali del testo del governo con i voti di Forza Italia” e “il soccorso azzurro” ha salvato Renzo, cui sono mancati i voti di alcuni senatori della sua maggioranza (come Corradino Mineo e Mario Mauro), ma “non ha risolto l’ambiguità dello strano rapporto con l’ex Cavaliere, che non ha mai fatto della coerenza il suo segno distintivo”.
La Repubblica: “Riforme congelate fino al 25. Renzi: ‘Non mi fregano’. Berlusconi: Fi fondamentale”. E il quotidiano ricorda che nell’ordine del giorno di Roberto Calderoli approvato in Commissione e che prevede un Senato elettivo,“c’è anche la devolution”. Lo stesso Calderoli, intervistato dal quotidiano, dice: “Matteo ha ricattato tutti, ma il suo testo è nullo. Silvio? Ha tradito i suoi”. Spiega Calderoli: “Renzi afferma che il mio ordine del giorno ha valore zero. Al contrario, mi chiedo se oggi il mio non sia l’unico testo passato con voto valido e quello del governo sia nullo”. Perché? “La Finocchiaro ha ritirato il suo testo perché lo ha ritenuto precluso dall’approvazione del mio e poi si è passati a quello del governo. Ma l’articolo 97 del Regolamento del Senato dichiara inammissibili ordini del giorno, emendamenti e proposte in contrasto con deliberazioni già adottate”.
E su La Repubblica, da segnalare anche un “colloquio” con Denis Verdini che, secondo il quotidiano, “rassicura il premier”: “Servono modifiche, poi il patto reggerà”, “L’ordine del giorno Calderoli è stata una iniziativa personale del sentaore, non era negli accordi”.
Ancora su Il Giornale: “Riforme, Berlusconi ha in pugno Renzi” e “Berlusconi inguaia il premier: sul nuovo Senato noi decisivi”. “Il Cavaliere: così Renzi non potrà appuntarsi la medaglia delle riforme. Verdini: ‘Il patto regge, ma il testo verrà modificato”. Il quotidiano scrive che Verdini ieri era “insolitamente ciarliero”, e che si è “dissociato” dall’ordine del giorno Calderoli definito “una sua iniziativa”. Ma ha anche detto che il testo di riforma del Senato verrà “pesantemente modificato”, come da colloqui tra i capigruppo Zanda e Romani.
Sondaggi
Nando Pagnoncelli, sul Corriere della Sera, scrive che le indicazionid i voto per le prossime elezioni europee sono “nette”: “Grillo ha conquistato i giovani. Nella fascia tra 18 e 44 anni il Movimento 5 Stelle è primo, con percentuali oscillanti tra il 32 e il 34%. Il Partito democratico riesce a diventare la prima forza del Paese, superando i 5 Stelle di 10 punti, solo col contributo degli over 65, tra i quali è al 46%”.
Alcuni dati: per Grillo votano più uomini che donne; tra i laureati si preferiscono Pd e Ncd mentre Forza Italia ha solo il 9 per cento dei consensi (stessa percentuale per la lista Tsipras) e anche il Movimento 5 Stelle arretra.
Tra chi ha la licenza elementare o non ha titoli, il Pd esplode al 46%, Grillo scende ai livelli più bassi, Forza Italia ha i consensi più alti.
I ceti elevati (imprenditori, dirigenti, professionisti e quadri direttivi) sono molto attenti al centro, le cui formazioni crescono con Scelta europea che quasi raddoppia, e alla destra con una buona performance di Fratelli d’Italia. Molto basso il consenso a Forza Italia, contrazioni per il Pd, poco sopra la media Grillo.
I lavoratori autonomi scelgono il Movimento 5 Stelle, le casalinghe sembrano abbandonare FI per il Pd (“è l’effetto Renzi, in un segmento in cui la personalizzazione assume un’elevata importanza).
Il Pd ha i consensi più alti tra chi va a messa tutte le settimane, e il suo punto più basso tra chi non frequenta le funzioni religiose.
Lavoro, Cgil
Sul Corriere della Sera l’inviato al congresso Cgil di Rimini Dario Di Vico scrive: “Landini sfida Camusso: ora più trasparenza e pubblichi online i conti”. Di Vico cita un passaggio di un intervento al congresso, quello della sindacalista Carla Cantone, che diceva: “evitiamo di fare come i galli di Renzo dei Promessi Sposi perché rischiamo di diventare i polli di Renzi” e ricostruisce lo stato del dibattito interno nel sindacato. Oggi è il giorno delle votazioni degli organismi dirigenti.
L’Unità offre tra l’altro una intervista a Sergio Cofferati (“I nostri sindacati non faranno la fine dei minatori inglesi) e un ricordo di Bruno Trentin.
Un altro articolo sul quotidiano milanese si sofferma sul tema dei “conti” dei sindacati: “Ma quanto valgono Cgil, Cisl e Uil? 1,2 miliardi”. Si parte dagli iscritti ai tre sindacati confederali, che sono circa 12 milioni in tutto, e si aggiungono le risorse che vengono dal finanziamento pubblico “’diretto e indiretto’ come scrisse Giuliano Amato nella relazione consegnata al governo Monti nel 2012”. Amato conteggiò i distacchi sindacali, i fondi ai patronati e i fondi ai Caf. I distacchi dal pubblico impiego, calcolò il professor Amato, costano allo Stato oltre 113 milioni di euro all’anno. “E guarda caso una delle 44 proposte di riforma della Pubblica Amministrazione” del governo Renzi si propone di dimezzare i distacchi sindacali nel pubblico impiego, scrive il quotidiano.
Secondo L’Unità – che pure offre ampie cronache dal congresso Cgil – il premier Renzi non avrebbe intenzione di entrare nel dibattito interno al sindacato, per concentrarsi sulla “sfida a Grillo nella sua Genova”.
La Repubblica: “Scossa Landini: ‘Più trasparenza in Cgil’”, “Il leader Fiom chiede un codice etico e chiarezza su bilanci e scelte: ‘Non nascondiamo gli errori’. Oggi Susanna Camusso sarà rieletta ma vincono le correnti, si voteranno due documenti diversi”. L’inviato al congresso Cgil Roberto Mania racconta che l’intervento di Landini è stato ascoltato in un insolito e rigoroso silenzio, ricevendo applausi non soltanto dai delegati Fiom: li ha ricevuti soprattutto quando ha attaccato direttamente i leader di Cisl e Uil, Bonanni e Angeletti. O meglio -spiega il cronista- quando ha criticato gli applausi che proprio il congresso ha riservato loro (“Mi vengono i capelli dirtti quando sento gli applausi a Bonanni che si dichiara paladino della democrazia. Lui che ha fatto gli accordi separati, lui che ci ha estromesso dai tavoli con la Fiat”). Sul fronte interno della Cgil, le parole di Landini: “Il problema è se siamo in grado di cosrtuire una casa di vetro, trasparente. Dire come spendiamo le risorse, come prendiamo le decisioni, fino ad arrivare ad un codice etico. Perché la gente pensa che noi siamo pagati dallo Stato”.
La Stampa: “Cgil spaccata. Landini: dobbiamo cambiare anche noi”, “Alla Camusso: ‘Rischiamo di fare la fine dei partiti’”.
Il Fatto: “Ecco Landini il Rottamatore: ‘La Cgil sia una casa di vetro’”, “Il segretario Fiom al congresso: ‘Rinnoviamoci o faremo la fine dei partiti, serve un codice etico’. Poi attacca la Camusso: ‘Sulla Fiat non una parola’”.
Un’analisi di Federico Geremicca su La Stampa racconta “la doppia rottura del sindacato: col governo e col ‘suo’ partito”, “Cofferati e D’Alema si scontrarono: ma ora è in gioco l’esistenza stessa dei duellanti”.
Intanto ieri il Senato ha votato la fiducia al decreto Poletti sul lavoro. Sul Sole 24 Ore Alberto Orioli scrive che è “un compromesso di buonsenso quello uscito dal Senato”, anche se il “pregiudizio” della “azienda come luogo dello sfruttamento” è “duro a morire e, puntualmente, si era riproposto alla Camera che ha modificato in peggio quel testo e, puntualmente, si è riproposto ieri al Senato nella sceneggiata delle manette e dei cartelli sulla schiavitù esibiti dal Movimento 5 stelle (in competizione con i senatori di Sel altrettanto impegnati nel gridare al ritorno dello schiavismo)”.
“L’aver sostituito all’obbligo di reintegro una multa (anche cospicua) per chi superi la quota del 20% di contratti a termine è un gesto che va nella direzione di ridurre il più possibile quelle barriere, anche solo psicologiche, ostacolo alla creazione effettiva di lavoro”, scrive Orioli.
La Cgil “ha reagito gridando alla torsione della democrazia: un eccesso, perché la concertazione non è in Costituzione e la pratica del dialogo sociale conosce da sempre fisiologici alti e bassi. Ora Renzi taglia corto e non fa mistero di voler andare avanti senza sindacati e imprese: ha dichiarato guerra alla Cgil di Susanna Camusso; ha incentivato un’interlocuzione ‘amichevole’ con Maurizio Landini che, però, della Camusso è l’oppositore ‘da sinistra’; un evidente obiettivo tattico che, tuttavia, rischia di produrre effetti strategici opposti a quelli voluti (e forse dimostra anche un certa disinvoltura nel trattare la materia)”. Oggi “il vero rischio per una Cgil destinata a dilaniarsi tra anime (timidamente) riformiste e (fortemente) massimaliste è di finire – come ha detto Carla Cantone al congresso di Rimini – come i ‘polli di Renzi’. Il Manzoni perdonerà, ma la citazione storpiata rende l’idea”.
Da segnalare che il quotidiano di Confindustria offre una articolata analisi sui contenuti del decreto Poletti (che deve essere ancora approvato, per il varo definitivo, dalla Camera).
Anche su La Stampa Paolo Baroni illustra le principali novità introdotte dal Decreto Lavoro su cui ieri il governo ha ottenuto la fiducia. E’ un “dossier” che spiega “le nuove regole per le assunzioni”, “Tutte le misure del governo per stimolare l’occupazione” e “come cambiano contratti e apprendistato”. Ma le cronache parlamentari di ieri raccontano come il testo sia stato approvato “tra le proteste”, soprattutto degli esponenti del M5S, che si sono ammanettati e che indossavano magliette con la scritta “Schiavi mai”. Anche su La Repubblica: “Lavoro più flessibile, fiducia sul decreto, caos M5S in Senato”.
Ma alle pagine seguenti dello stesso quotidiano, occupandosi di altri temi connessi alla spesa in Difesa, si legge, a proposito del documento approvato ieri in Commissione Difesa alla Camera: “F35, sì al taglio con l’aiuto dei grillini”, “Approvato in commissione alla Camera il documento del Pd, tra le astensioni decisive anche quella del M5S. Il budget dovrà essere dimezzato. Esultano i pacifisti. Sel: passo in avanti. Parisi sarcastico: disarmo totale vicino”. Sulla stessa pagina, un’intervista al ministro della Difesa Roberta Pinotti: “Io non ho perso, ma tra i democratici troppi personalismi”, “Al momento è solo il documento di una indagine conoscitiva, non ancora una risoluzione d’Aula”, dice il ministro (si votava il documento conclusivo dell’indagine sui sistemi d’arma, ndr.).
Calcio
In prima su La Repubblica Carlo Bonini ricorda il caso Shalabaeva e la decisione del ministro di offrire come “sacrificio umano” il prefetto Procaccini: allora come oggi Alfano è preoccupato soprattutto di difendere se stesso, esclude che vi sia stata trattativa, ma le decisioni della Procura di Rina e la ricostruzione del giudice sportivo dimostrano che non è ancora chiaro quel che è successo.
Dice Alfano che non ci fu trattativa perché comunque la partita si sarebbe giocata, Genny o non Genny: e allora perché, nel sanzionare il Napoli con due turni di campionato a porte chiuse il giudice sportivo scrive che “i tifosi del Napoli intendevano invadere il campo qualora il capitano della loro squadra non si fosse recato sotto la curva per parlare con i capi degli ultras?”.
Su Il Fatto: “Trattativa Stato-carogna confermata, ‘Se giocate noi invadiamo il campo’, “Il giudice sportivo: ‘Il calciatore Hamsik è stato inviato dalla polizia a calmare gli animi’”.
E su Il Fatto è Marco Lillo a firmare un’analisi dal titolo: “Tutte le bugie di Alfano sul negoziato”
Internazionale
Sul Corriere della Sera si scrive che dei Paesi occidentali “verso l’intervento” sulle studentesse nigeriane rapite dal gruppo terrorista Boko Haram. “Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia annunciano l’invio di truppe speciali per rintracciare le ragazze”. La mobilitazione internazionale – che ieri ha visto scendere in campo su Twitter anche la First Lady Michelle Obama, che ha voluto unirsi all’hashtag bringbackourgirls – ha visto gli Usa annunciare già lunedì scorso l’invio di un pool di esperti anche militari, poi seguiti da inglesi e francesi. Ma ormai sono passate tre settimane dal rapimento, e proprio lunedì scorso altre 11 ragazze sono state rapite dai jihadisti, sempre nella regione nigeriana del Borno.
Sul Sole 24 Ore una analisi di Alberto Negri ricorda che con l’integralismo una piaga per la Nigeria è la corruzione. L’ottanta per cento della produzione petrolifera di questo Paese, ormai diventato la pima economia africana, finisce all’1 per cento della popolazione. Nello stato di Borno, culla di Boko Haram, l’83 per cento è analfabeta, e i tre quarti della popolazione vivono sotto la soglia di povertà.
Tanto La Repubblica che La Stampa definiscono una “svolta” le parole pronunciate dal presidente russo Putin sulla questione Ucraina ieri. Il Cremlino “frena i separatisti”, scrive su La Stampa Anna Zafesova: Putin ha infatti chiesto di rinviare il “referendum” sulla secessione che si sarebbe dovuto tenere l’11 maggio prossimo a Donetsk, nell’Est del Paese. La Repubblica: “Putin: ‘Stop al referendum separatista’”, “La svolta di Mosca: ‘Via le nostre truppe al confine’. Ma gli Usa non si fidano”.
Sul Corriere una corrispondenza di Giuseppe Sarcina da Donetsk: “’Distribuiamo schede e armi’, l’est vuole il suo referendum”. Dove si legge che “’il governo del popolo’ deciderà oggi se rinviare il referendum per l’indipendenza del Donbass, come chiede Vladimir Putin. Ma se fosse solo per il ‘popolo’ la risposta sarebbe senza dubbio un ‘no’ grande come una casa.
Su Il Giornale Fausto Biloslavo offre una intervista a Bruno Giudice, unico italiano a vivere a Donetsk, “sposato con una filo-russa che è scesa in piazza”. Dice che “finirà come in Jugoslavia”, “qui sono tutti armati”.
Un altro articolo del quotiiano milanese spiega il “piano di pace di Putin”, con annuncio di ritiro delle truppe russe schierate alla frontiera e invito ai separatisti a rimandare il referendum: “Il leader annuncia il ritiro delle truppe. La Nato non conferma”. “E’ la terza volta in realtà che la Russia dice di aver eseguito questa manovra”, ricorda il quotidiano.
Su La Repubblica da segnalare un’analisi di Marco Ansaldo dedicata alla Turchia: “Gezy park è salvo, sconfitto Erdogan”, “Il Consiglio di Stato dichiara illegale il progetto edilizio”.
L’inserto dedicato all’Europa de La Stampa è composto da dodici pagine, che contengono, tra l’altro, un faccia a faccia tra due dei candidati in lizza per la carica di presidente della Commissione Ue: Martin Schulz (socialisti) e Jean Claude Juncker (popolari) sotto il titolo: “Uniti contro populisti e scettici, ‘E’ l’ultima chance per l’Europa’”, “Il socialista: giusto dare più tempo all’Italia per risanare. Il popolare: no, nessun rinvio”. E, ancora su La Stampa., la lettera-appello “per il cambiamento” (progressiveeconomy.eu) in Europa, sottoscritta, tra gli altri, da Jean-Paul Fitoussi, Joseph Stiglitz, James K. Galbraith.