Le aperture
Il Corriere della sera: “Atene si arrende. Riforme dure in cambio di aiuti. Piano da 82 miliardi. Ma va approvato dai Parlamenti”.
Di spalla alcuni approfondimenti: un articolo di Federico Fubini (“Bagno di realtà per i populisti”), uno di Massimo Nava sui rapporti tra Francia e Germania (“Hollande-Merkel. Ma chi ha vinto?”), uno di Francesco Daveri sul tema della uscita dall’euro, uno dello storico Luciano Canfora (“Storie parallele. Il no a Sparta, poi la caduta”).
A centro pagina il “caos politico in Grecia”. “‘Tradimento’. Governo sul filo, Syriza spaccata”.
A fondo pagina la notizia dell’accettazione da parte dell’India dell’arbitrato internazionale chiesto dall’Italia sulla vicenda dei due marò. “Per i marò l’India accetta l’arbitrato”.
La Repubblica: “L’intesa Ue spacca la Grecia”, “Salvataggio da 80 miliardi in cambio delle riforme da attuare entro domani”, “Varoufakis all’attacco: ‘Umiliati, Tsipras ha ceduto’. Il governo rischia di saltare”, “Le banche restano chiuse. L’accordo piace ai mercati, bene le Borse, giù lo spread”.
Con le analisi di Lucio Caracciolo (“Il protettorato in maschera”), il reportage da Atene di Ettore Livini (“La partita finale del poker di Alexis”) e le interviste a Paul Krugman e Nouriel Roubini.
A questo è dedicato anche “Il punto” di Stefano Folli: “La bandiera strappata della sinistra europea”.
In prima anche “la storia” della famiglia di Maria Giulia Sergio: “La famiglia in cella di Lady Jihad: ‘Sosteniamo l’Islam, non il terrorismo’”.
La Stampa: “Il salvataggio spacca la Grecia”, “Lite nel governo dopo il sì di Tsipras a misure più dure di quelle bocciate dal referendum”, “Evitata l’uscita dall’euro: entro domani Atene deve riformare Iva e pensioni per avere 86 miliardi. Un fondo garantirà le privatizzazioni”.
“Ma la ripresa dell’economia non è sicura”, scrive in un’analisi Stefano Lepri. E Marta Dassù firma un commento dal titolo: “L’Ue cambi se vuole un futuro”.
“E adesso cosa succede in Europa?”, si chiede in un box che dà conto delle conseguenze della crisi greca: attenzione a quanto accade in Germania e in Grecia (“La cancelliera dimezzata e l’ipotesi-elezioni per Alexis”, “Ad Atene lacrime e stanchezza, ‘Trattati in modo disumano’”) e alle reazioni (“Il Papa: ‘Bisogna evitare che altri Paesi si indebitino’”, “Hillary Cliton: ‘Bene l’intesa ma ora basta con l’austerità’”).
Infine, un commento di Massimiliano Panarari: “Cosa rimane del sogno europeo”.
Sulla colonna a destra: “Nucleare, rush finale per l’intesa con l’Iran”.
E dal Cairo: “Tre arresti per l’attentato al Cairo”, “Gentiloni in Egitto da Al Sisi: ‘Dobbiamo lavorare insieme’”.
Sul caso dei marò: “Marò, dall’India sì all’arbitrato internazionale”, “La Corte suprema concede a Latorre altri 6 mesi in Italia”.
Il Sole 24 ore: “Grecia, 86 miliardi e misure schock. Entro domani il Parlamento deve varare le riforme di Iva e pensioni. Renzi: la vera sfida è salvare la Ue”. Nell’occhiello: “L’Eurosummit approva gli aiuti con condizioni molto dure. Per Tsipras maggioranza in bilico. La Bce non aumenta i fondi, banche ancora chiuse”.
L’editoriale, firmato da Roberto Napoletano: “Il pericolo (forse) scampato e il cammino in salita da percorrere tutti”.
In evidenza anche un’intervista al ministro dell’Economia Padoan: “Percorso ancora difficile”.”Esito non scontato”.
A centro pagina: “Mercati positivi ma cauti: Borse in rialzo, tassi in calo. Asia, Wall Street ed Europa salgono. Rendimenti Btp in discesa”.
Da segnalare in prima anche un commento di Carlo De Benedetti: “L’occasione perduta di Berlino”.
Il Manifesto: “Ecce Homo. La Germania impone alla Grecia il ritorno della Troika e punta a sostituire il governo Tsipras. Syriza si divide,la destra di Anel annuncia che non voterà l’accordo. I sindacati del pubblico impiego indicono uno sciopero, le banche restano chiuse, i nazisti di Alba Dorata rialzano la testa”.
“Un timoniere nella burrasca” è il titolo dell’editoriale di Norma Rangeri, dedicato al presidente del consiglio greco.
Molti gli approfondimenti nelle pagine interne. Tra gli altri anche un articolo di Sergio Cofferati dedicato al “silenzio socialista” a Bruxelles.
Il Fatto: “A.A.A. Grecia svendesi”, “Dopo 17 ore di ricatti Ue, Tsipras cede su tutto. Ma l’accordo è peggio del previsto: porti, aeroporti e isole in pegno. E il prezzo lo fa la Troika”.
A questo è dedicato l’editoriale del direttore Travaglio: “La gabbia senza chiave”.
Con un’intervista a Barbara Spinelli: “Ad Atene hanno imposto un colpo di Stato moderno”.
Sulla politica italiana: “Il M5S vola nei sondaggi. Fico: ‘Opportunisti via’”, “Gli istituti demoscopici sono d’accordo: l’elettore CinqueStelle è mediamente giovane e ‘puro’ e non vuole accordi di governo. ‘Facciamo però attenzione a chi imbarchiamo’, avverte il presidente della Vigilanza Rai”.
Sulla cronaca giudiziaria, le vicende connesse alle intercettazioni nell’ambito dell’inchiesta sulla Cpl che portò all’arresto del sindaco di Ischia, con attenzione a Marco Milanese, già collaboratore dell’ex ministro Giulio Tremonti: “Milanese e il dossier da consegnare all’ex Cav ‘detenuto’”.
Il Giornale: “Tassa per la Grecia: altri 400 euro a testa. Il conto lopaghiamo noi. Il salvataggio ci costerà molto: per l’Italia una nuova mazzata da 15 miliardi”. “Atene raggiunge l’accordo ma Syriza si spacca: Tsipras sempre più in bilico”.
In prima anche due ritratti: per Mario Draghi, “l’ingrato di successo che ha quasi vinto”, e per Wolfgang Schauble, “il falco per convenienza che ha quasi perso”.
A centro pagina: “Senatori, il mercato di Renzi. Palazzo Chigi fa campagna acquisti tra i verdiniani, che sperano in qualche poltrona
Grecia: l’accordo
La Stampa, pagina 4: “Grecia, 86 miliardi di aiuti in cambio della maxi-stretta su tasse e pensioni”, “.”. Scrive Marco Zatterin, corrispondente da Bruxelles, che l’accordo disegna un percorso di uscita ma non chiude la partita. Le condizioni poste per il prestito triennale da 82-86 miliardi concesso dal fondo salva-stati Esm sono “durissime, peggiori di quelle bocciate dal referendum del 5 luglio2, ma “possono permettere ai greci di non fare bancarotta” e di restare nell’euro. Per le privatizzazioni sraà creato un fondo di garanzia di circa 50 miliardi, con sede ad Atene e non in Lussemburgo, come ambivano i tedeschi. Conterrà pezzi di patrimonio e anche le banche, con 25 miliardi per ricapitalizzarle. I profitti generati da questo strumento, dopo aver sanato il conto del consolidamento del credito, saranno investiti nell’economia greca. Entro domani il governo si è impegnato a varare un intervento su fisco (Iva) e previdenza, con l’età pensionabile a 67 anni. Entro il 22 luglio, adozione del nuovo codice di procedura civile e il recepimento delle norme Ue per le crisi bancarie. L’intesa stipulata tra Grecia e Ue sarà monitorata dai creditori: “è il ritorno della troika”. Ma in attesa dell’accordo e degli esborsi del fondo salva-Stati Esm, la Grecia ha bisogno di soldi per pagare i debiti (3,5 miliardi alla Bce il 20 luglio), 2 miliardi al Fmi, più quelli che occorrono per gestire la cosa pubblica in patria.
Il Fatto: “Tagli, tasse e svendite. Tsipras cede su tutto”, “Beni per 50 miliardi in pegno alla Troika, che deciderà quanto valgono”. Nel valutare gli asset (aziende di Stato, isole, porti e aeroporti), i greci dovranno rifarsi, si legge nel documento dell’accordo, “alle migliori pratiche internazionali”: “tradotto: il prezzo non lo faranno loro. La Troika indica perfino la destinazione. I soldi serviranno per metà a ricapitalizzare le banche, dissanguate dalla decisione della Bce di congelare per quasi due settimane la liquidità d’emergenza, ‘il 50% di ogni euro che resta, sarà usato per gli investimenti’”.
La Repubblica: “Mega-privatizzazioni e riforme lampo per avere il prestito e il pacchetto crescita”. .
Tsipras e il suo governo
La Repubblica: “Tsipras fa votare il piano, opposizione pronta al sì, rivolta dei radicali di Syriza”, “Domani il Parlamento varerà le prime riforme. Possibile un nuovo governo di salvezza nazionale”. Syriza è divisa e “nel caos” secondo Ettore Livini, inviato ad Atene: a Tsipras ha dichiarato guerra il ministro dell’energia Panagiotis Lafazanis, leader della minoranza del partito (“Un pacchetto di austerità umiliante -ha commentato- che distruggerà il Paese e che cercheremo in tutti i modi di non far passare”). L’ala radicale può contare su 30-40 voti decisivi. Ma “un siluro2 è arrivato anche da Panos Kamennos, ministro della Difesa e alleato di governo, alla guida del partito di destra Anel: “non sono d’accordo con il compromesso di Bruxelles e non posso appoggiarlo”. A garantire la maggioranza -salvo clamorose sorprese- sarà l’opposizione: “l’accordo ci consente di evitare una tragedia e fa respirare il Paese”, ha detto il segretario reggente di Nea Democratia Evangelos Meimerakis, “ora servono senso di responsabilità e serietà da parte di tutti”. Insomma, voterà sì, come faranno i socialisti del Pasok e il partito To Potami.
Il Fatto intervista il leader del partito di centro To Potami, Stavros Theodorakis, che dice: “Aiutiamo Alexis perché vogliamo stare in Europa”, “il rimpasto ci sarà sicuramente e Tsipras rimarrà al suo posto. Il posto per noi c’è ma le assicuro che noi rimarremo all’opposizione”, “voteremo a favore di tutte le misure e le riforme richieste dall’Europa. Insomma sosterremo Tsipras ma non ci sarà mai un governo Syriza-To Potami”. Syriza, dice ancora Theodorakis, “non è un partito riformatore. E’ un partito radicalmente conservativo, populista, che non ha nulla a che vedere con le istanze di sinistra”, non vuole davvero le riforme e “se avesse avuto davvero a cuore il Paese avrebbe fatto la riforma della Pubblica amministrazione, che è l’esempio più eclatante del clientelismo, del voto di scambio, dell’inefficienza”.
Su La Stampa, a proposito di Alexis Tsipras: “Scaricato dalla sinistra, il rinnovatore dimezzato pensa al nuovo governo”. Secondo il quotidiano una scissione in Syriza appare inevitabile e, quanto al nuovo governo, To Potami è pronto a giungere in soccorso, ma da solo non sarebbe sufficiente: una grande coalizione con Nea dimokratia e il Pasok, cioè due vecchi partiti che si alternavano al governo, darebbe un sostegno sicuro ma cancellerebbe l’impronta del rinnovamento, poiché entrambi sono considerati responsabili del clientelismo. Inoltre, una maggioranza di questo tipo lascerebbe ad Alba Dorata il monopolio dell’opposizione. L’ipotesi che circola è quindi quella di un appoggio esterno dei partiti democratici a un nuovo governo Tsipras dopo la scissione. Questo implica che, sopo un voto parlamentare secondo schieramenti diversi da quelli usciti dalle elezioni del 25 gennaio, sarà inevitabile tornare al voto. E poiché la legge greca garantisce un forte premio in seggi al primo partito classificato, Syriza sarebbe in grado di assicurarselo, almeno stando ai sondaggi, anche se decurtata.
Sul Manifesto viene pubblicata l’intervista che il New Statesman ha fatto con Varoufakis prima dell’accordo di domenica notte. Alla domanda “perché siete arrivati all’estate” risponde: “Non avevano un’alternativa. Il nostro governo era stato eletto con il mandato a negoziare. Per cui il primo obiettivo era guadagnare il tempo e lo spazio per farlo: negoziare e raggiungere un accordo. Non abbiamo mai rovesciato il tavolo dei creditori. Ma il negoziato è durato tanto perchè i creditori non volevano assolutamente negoziare”. Alla domanda “pensavi alla Grexit fin dal primo giorno” risponde: “Sì, certo”. “E hai fatto i preparativi?”. “Sì e no. Avevamo un piccolo gruppo, un ‘gabinetto di guerra’ al ministero fatto da circa 5 persone. Ci siamo preparati sulla carta, in teoria, ma una cosa è parlarne tra cinque persone e un’altra preparare una intera nazione. Io pensavo che non dovessimo essere noi a decidere per il Grexit. La mia visione – espressa nel governo- era che se avessero chiuso le banche, cosa che io considero tuttora una mossa aggressiva di incredibile potenza – avremmo dovuto rispondere in molto altrettanto aggressivo, anche senza passare per il punto di non ritorno”.
Sul Sole: “Tsipras cerca una nuova maggioranza. Syriza si spacca e gli alleati nazionlisti preannunciano un ‘no’ alle riforme”. “Il premier: abbiamo evitato il collasso delle banche. Varoufakis lo attacca: il mio piano B era migliore” .
Sul Corriere l’editoriale è firmato da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina: “Nel 1995 il reddito pro capite reco era il 66 per cento di quello tedesco. Nel 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi finanziaria mondiale, era l’80,5 per cento”. “Un risultato straordinario, pochi Paesi riescono ad arricchirsi tanto rapidamente e che dovrebbe imbarazzarci” perché nello stesso periodo l’Italia ha perso posizioni. L’aumento del reddito greco è stato “sostenuto da una crescita della produttività dell’economia” di circa il 2 per cento all’anno. Ma dal 2005 in poi la produttività ha iniziato a calare. E visto che “maggiore reddito senza un corrispondente aumento della produttività si può ottenere solo indebitandosi”, la Grecia tra il 2000 e il 2010 ha speso ogni anno a debito oltre il 10 per cento in più di quel che produceva. Il reddito negli ultimi anni è di nuovo sceso, a livelli inferiori al 1980. Ma – dicono Alesina e Giavazzi- “un luogo comune (sbagliato) è che la Grecia in questi ultimi anni sia stata soffocata dal peso degli interessi sul debito. Dal 2010 al 2014 la Grecia ha continuato a ricevere dai Paesi europei, dalla Bce, dal Fmi un flusso netto positivo di aiuti, cioè più denaro di quanto dovesse pagarne in interessi sul suo debito estero”. “Solo quest’anno, dopo che Tsipras ha arrestato il processo di riforme, il flusso netto è diventato negativo”.
Ancora sul Corriere una intervista a Thomas Piketty: “Per le me basi di un buon accordo erano chiare: si può chiedere alla Grecia un leggero avanzo primario per i prossimi anni, nell’ordine di un 1 per cento del Pil al massimo, ma non di più almeno fino a quando l’attività economica non avrà ritrovato il suo livello del 2007”. “Quelli che hanno pensato e che ancora pensano che un’Europa senza Grecia permetterebbe di disciplinare e stabilizzare la zona euro sono dei pericolosi apprendisti stregoni. Cacciare un Paese significa incoraggiare tutti i discorsi anti-euro e in fin dei conti distruggere l’ideale europeo”.
Grecia, vinti e vincitori
La Repubblica elenca i “protagonisti” della trattativa sul debito greco. Alexis Tsipras (“Perdere ai punti in nome dell’orgoglio”, “ha dovuto ingoiare un accordo che sconfessa tutte le promesse”), Angela Merkel (“Vittoria di Pirro per l’imperatrice d’Europa”, visto che è ormai la personalità più detestata in Europa), il presidente francese Hollande (“Il ‘pontiere’ che ha sfidato l’ira di Berlino”), Barack Obama (“Missione compiuta ma l’austerity non è stata piegata”, per lui la priorità era evitare la Grexit, per via delle incognite geostrategiche), il presidente della Commissione Ue Juncker (“Una colomba messa a guardia dell’eurozona”), Matteo Renzi (“Non più ‘imputati’ e per l’Italia è già un successo”).
Su La Stampa, la pagina 2 è dedicata ad Angela Merkel: “Ha perso la fiducia dell’Ue. E in casa teme l’avanzata del super-falco Schaeuble”. Scrive Tonia Mastrobuoni che la cancelliera non ha mosso un passo senza consultarsi con il ministro delle Finanze Schaeuble ed ha insistito per inserire nel documento finale dei 19 leader dell’area euro “uno dei punti più discussi del negoziato”, ovvero il fondo per le privatizzazioni da 50 miliardi, che era stato percepito da alcuni come una forzatura tedesca, qualcosa di più di un pegno per l’ormai strutturale diffidenza nei confronti di Atene. Il ministro delle Finanze voleva Atene fuori dall’euro e ha perso la sua partita, ma il suo peso nella Cdu è cresciuto enormemente”. Merkel ha dominato il consesso dell’area euro “ma per debolezza altrui, non per la forza della sua leadership”: al contrario di Schaeuble, “che per quanto criticabile ha mantenuto un’unica, limpida posizione da mesi, la cancelliera ha tentennato”, ha cambiato posizione varie volte “ed ha imposto condizione talmente dure ad Atene da suscitare seri dubbi sulla possibilità che possano risolverne la devastata economia”. Faticherà a riconquistare il suo capitale politico in Europa: poiché essa “non può fondarsi sulla diffidenza schaeubliana”. Inoltre i malumori nel suo partito restano: “e non è un dettaglio, visto che l’accordo con i greci dovrà passare due volte per il Bundestag” e un terzo del partito della cancelliera si ribella da mesi all’idea di un terzo salvataggio greco. Se in Grecia nelle prossime settimane precipiteranno di nuovo, a portarne il peso sarà la cancelliera, mentre Schauble avrà avuto ragione, “con le dovute conseguenze negli equilibri del partito”. Secondo Ottaviani “il vero deus ex machina al tavolo dei 19 è stato, ancora una volta, Mario Draghi. Nei momenti più complicati del negoziato è toccato al presidente della Bce ricordare a Schaeuble e ai falchi dell’eurozona che la Grexit è ancora un azzardo finanziario, oltre che monetario”. Quanto ai socialdemocratici, il vicecancelliere Sigmar Gabriel è stato durissimo ed ha parlato di “ricatto” dei greci, minacciando di cacciarli dall’euro: quando poi si è saputo del risultato schiacciante del referendum, ha fatto sapere che Tispras “ha buttato giù i ponti con l’Europa”, salvo poi fare marcia indietro, a fronte della rivolta filogreca della maggioranza del partito, che sosteneva che ogni mossa della cancelliera si sarebbe dovuta concordare con la Francia e che una Grexit sarebbe possibile solo se i greci fossero d’accordo.
E in un altro articolo de La Stampa, la stessa Mastrobuoni si occupa del ruolo del presidente Bce: “Draghi tiene testa alla Germania e difende il ruolo del fondo salva-Stati”.
Sul Sole 24 Ore un intervento di Carlo De Benedetti che ricorda un altro referendum “sbagliato” promosso dalla Grecia: era il 1920, il Paese era in guerra con la Turchia, e – dopo la morte del giovane re, Alessandro I – si tenne un referendum con cui i greci decisero a stragrande maggioranza di richiamare al trono il padre di Alessandro, Costantino I (che era filo-tedesco). Americani e inglesi informarono Atene che avrebbero interrotto i loro aiuti se Costantino fosse tornato al trono, e così fu. Il Paese si avvitò in una crisi ancora peggiore di quella di oggi. “Adesso come allora, e forse in conseguenza di allora, i greci sono pronti a pagare un prezzo altissimo per riaffermare il loro orgoglio nazionale e la loro sovranità”. Il titolo dell’articolo è “L’occasione perduta di Berlino. La crisi greca ha mostrato una dirigenza tedesca chiusa in un pragmatismo senza futuro”.
Grecia e futuro dell’Ue
Su La Repubblica, a pagina 3, l’analisi dell’economista Paul Krugman: “Il progetto europeo è morto”: “l’ashtag #This is a coup ha assolutamente ragione. Qui si va oltre l’inflessibilità, si va nella pura ripicca, nell’annientamento assoluto della sovranità nazionale”, “chi mai si fiderà più delle buone intenzioni della Germania?”, “nelle ultime due settimane abbiamo imparato che far parte della zona euro significa che se sgarri i creditori possono annientare la tua economia. Tutto ciò non ha attinenza alcuna con l’implicita economia dell’austerità. Più che mai adesso è vero che imporre una rigida austerità senza un alleggerimento del debito significa scegliere una politica predestinata al peggio, a prescindere da quanto il Paese sia disposto ad accettare tormenti” (Krugman scrive anche che “si dice che Mario Draghi stia cercando di ricondurre un po’ alla ragione”).
Ancora su La Repubblica, in un’intervista, l’economista Nouriel Roubini, dice: “Grexit, scampato pericolo, sarebbe stato un disastro e avrebbe contagiato anche Italia e Francia”, “Fine dell’eurozona senza questo accordo. Atene può farcela a metter in cantiere le riforme e il super-commissariamento del Fmi non è un male”. Ma come farà il Parlamento greco a fare una riforma delle pensioni in tre giorni? “Non è che gli venga chiesta l’intera riforma delle pensioni, ma solo gli elementi di ‘architettura’ di base su cui impiantare la riforma, che certo non potrà tardare”.
Marta Dassù su La Stampa scrive che “ha perso la Grecia ma ha perso anche la Germania. E abbiamo perso, come Europa, credibilità e tempo: sei mesi buttati via in un tira e molla inconcludente fra debitori strafottenti e creditori supponenti. Mentre il prezzo del salvataggio aumentava. Per i greci e per gli europei”.
Sul Corriere una intervista a Thomas Piketty: “Per le me basi di un buon accordo erano chiare: si può chiedere alla Grecia un leggero avanzo primario per i prossimi anni, nell’ordine di un 1 per cento del Pil al massimo, ma non di più almeno fino a quando l’attività economica non avrà ritrovato il suo livello del 2007”. “Quelli che hanno pensato e che ancora pensano che un’Europa senza Grecia permetterebbe di disciplinare e stabilizzare la zona euro sono dei pericolosi apprendisti stregoni. Cacciare un Paese significa incoraggiare tutti i discorsi anti-euro e in fin dei conti distruggere l’ideale europeo”.
Su La Stampa il colloquio di Paol Mastrolilli con Hillary Clinton: “Bene l’intesa, ma basta con l’austerità”, “Bisognava disinnescare la crisi, decisione positiva”, “Nel mondo di oggi tutto è legato: la Grecia che non cresce può avere effetti negativi negli Usa”.
Su Il Giornale Alessandro Sallusti parla di quello che sta accadendo come della “sospensione della democrazia e la cessione della sovranità nazionale alla Germania”. “Un popolo aveva liberato scelto di affidarsi (peggio per lui) a un premier comunista, Tsipras, e attraverso un referendum successivo di confermare tale fiducia (ripeggio per lui) rifiutando di subire pesanti sacrifici che l’Europa voleva imporgli per risanare i conti”. Sallusti scrive che ricordando quanto gli confidò Berlusconi nell’estate del 2011, quando l’Italia “è stata artificiosamente portata da Germania e Francia in condizioni psicologicamente simili a quelle della Grecia di oggi”, con lo spread a 500, “voci su casse vuote e stipendi pubblici a rischio” e Berlusconi che “viene convocato di notte in una riunione straordinaria durante un vertice G8”. L’Italia,viene detto, se non vuole andare in default, “deve accettare un prestito dal Fondo Monetario Internazionale”. “Vengono offerti prima 30, poi 50 miliardi. Berlusconi rifiuta, spiega che le cose non stanno così, ma questi insistono”. Berlusconi, racconta Sallusti, cerca sponda in Obama, “sembrava dalla mia parte ma non ha il coraggio di sospendere l’asta. Berlusconi si alza e se ne va alzano la voce: ‘L’Italia non è in vendita’”. “Come è ormai noto il problema Germania e Francia lo risolsero in un altro modo. Visto che non riuscirono a comprare l’Italia, via Napolitano si vendettero Berlusconi. Da allora il voto non ha più contato nulla,come in Grecia”.
Sul Sole viene intervistato il ministro dell’economia Padoan: “Percorso ancora difficile e non scontato”. Dice che “abbiamo evitato il peggio”, ma che da oggi “Inizia un percorso molto complesso dall’esito tutt’altro che scontato”. Sulle banche greche e la Bce: “La Bce ha il mandato per garantire il livello di impegno attuale, ma la garanzia politica per riaprire il rubinetto alle banche ancora non c’è. Bisogna aspettare l’approvazione” delle misure da parte del parlamento greco. Padoan dice di non esser rimasto sorpreso dalla posizione tedesca ma dal quanto fosse ampio “lo schieramento di Paesi che condividevano quella linea”. Alla domanda se le misure per la Grecia non rischiano di essere troppo sbilanciate sul rigore a sfavore degli investimenti produttivi: “Noi sappiamo bene che la Grecia deve ritrovare un percorso di crescita. Ma proprio per questo nel documento sono contenute quelle riforme strutturali che consentiranno al Paese di tornare ad avere un’economia in grado di camminare da sola”.
Su La Stampa anche le parole di Papa Francesco, nell’intervista rilasciata in aereo al ritorno dal viaggio in Sudamerica. Né dà conto Andrea Tornielli: “La Grecia deve essere salvata. Una rete per evitare altri casi”, “La colpa non è da un’unica parte, l’attuale governo fa cose un po’ giuste”.
Sulla Grecia e la politica italiana
Sul Corriere viene intervistato Gianni Cuperlo. “Ha ragione chi dice che forse si è evitato il peggio ma non il male. La Grecia resta nell’euro, ma il re adesso è nudo e la crisi di una unione montaria incapace di ridurre gli enormi gap di competitività al suo interno è sotto gli occhi di tutti”. “Magari Tsipras ha fatto degli errori, tuttavia ha inciso come pochi altri sul confronto politico e nulla sarà più come prima. La mia delusione riguarda il socialismo europeo. Afono e privo di leadership all’altezza Hollande ha avuto almeno il merito di provarci ma questo Pse è da rifondare”.
Sul Manifesto un intervento di Sergio Cofferati: “E’ grave il silenzio e l’accondiscendenza a questa conclusione da parte della famiglia socialista. Con l’eccezione in positivo del tentativo di Hollande di condurre la soluzione in un approdo equo e in negativo di Gabriel che ha assunto posizioni ancor più moderate della Cancelliera Merkel, i governi a guida socialista (ovviamente compreso quello italiano) si sono adagiati sulla ‘linea tedesca’ senza svolgere il ruolo che potevano avere”.
Sul Corriere viene intervistato Umberto Bossi che dice che “non è una buona idea” abbandonare l’euro e tornare alla lira. “L’Europa così com’è non va bene, è chiaro, ma questa potrebbe essere l’occasione per rifare le regole”. “Io non voglio litigare con Salvini. E non sono un mago per dire cosa succederebbe. Ma il Nord, le imprese del nord, ne uscirebbero distrutti. Se esci dall’euro cosa fai? Torni alla lira? Non mi pare una buona idea: con la lira rafforzi solo il centralismo romano”.
Sul Sole: “M5S: Tsipras ha tradito il referendum. Salvini: l’accordo è una buffonata”. “Grillo: strategia del terrore, un golpe. Romani (Fi): ha vinto la Troika, non la politica velleitaria di Tsipras”. “Sel difende il leader greco: ha resistito all’austerity. L’ex dem Fassina: solidarietà a Tsipras ma l’accordo soffocherà la Grecia”.
Su Il Fatto, un’intervista a Barbara Spinelli: “Non è un’intesa: è crudeltà. Atene punita come un bimbo”, “Quella imposta a Tsipras è un’umiliazione profonda, da cui l’Europa esce malissimo: l’Unione è la lotta dei forti contro i deboli”, “E’ un colpo di Stato post-moderno, un castigo compiuto da nazioni prepotenti. Hanno distrutto la sovranità popolare”.
Su La Repubblica: “I no euro italiani: ‘Era meglio la Grexit’”, “Il fronte si divide. La sinistra in imbarazzo per le scelte del leader greco. M5S: Alexis ha tradito”.
Iran
Le agenzie danno notizia del raggiungimento dell’accordo sul nucleare iraniano.
Segnaliamo sul tema l’intervista a Vali Nasr, consigliere del Dipartimento di Stato e autore de “La rivincita sciita” su La Repubblica: “Può essere un’intesa storica ma i falchi non cederanno”, “Anche una volta raggiunto il compromesso i conservatori sia negli Stati Uniti che in Iran non si arrenderanno e faranno di tutto per sabotarlo”.
La Stampa intervista Daniel Pipes, presidente del Middle east Forum, secondo cui l’accordo è “una resa” e “un disastro”. Soprattutto è “un pericolo per il Medio Oriente, per l’Europa e per il mondo intero. L’Iran ne esce rafforzato militarmente, finanziariamente e anche moralmente” e “cercherà lo stesso l’atomica ma subirà un attacco cibernetico”.
E sulla stessa pagina un “retroscena” di Maurizio Molinari: “Il contro-piano di Israele. Offensiva sul Congresso per far bocciare il piano”, “Nethanyahu prepara la ‘campagna americana’ per convincere i democratici a mollare Obama”.
Politica italiana
Il Giornale: “Renzi va al mercato dei senatori. Ma sui transfughi è rivolta Pd”. “Palazzo Chigi fa campagna acquisti tra i ‘verdiniani’ che puntano a qualche poltrona in commissione. L’ex capogruppo Pd Speranza: ‘Folle riedizione dei responsabili'”. Secondo il quotidiano Verdini “con la sua truppa di parlamentari” sarebbe “pronto al grande salto” per costituire una formazione che forse si chiamerà Azione liberale per le autonomie o forse Alleanza per le riforme. Il quotidiano parla dei “malumori assortiti della sinistra pd” e cita l’intervista a Roberto Speranza ieri sul Corriere.
Sul Corriere una intervista a Debora Serracchiani: “Noi non stiamo cercando nessuno”. Sulla ipotesi di ingresso nel Pd di parlamentari ex di Forza Italia dice che “riteniamo di avere i numeri anche al Senato, e partiamo dall’unità del Pd, come abbiamo fatto fin dall’inizio”. Sulle riforme: “Se abbiamo voluto allargare a tutti è perché stiamo facendo delle riforme molto importanti e riscrivendo gli assetti istituzionali. Quindi se c’è qualche senatore che vuole votare le riforme e che, magari, ha anche contribuito a scriverle, non si comprende perché non si dovrebbe lavorare assieme”. Per Speranza sarebbe folle sostituire la sinistra con i transfughi verdiniani, chiede il cronista. “infatti nessuno ci ha pensato”, risponde Serracchiani. “Ma se ci sono parlamentari di qualunque forza che vogliono sostenere le riforme, non ci sottrarremo adesso”.