La Stampa: “Obama in campo: fermatevi. Decine di missili a Gaza: strage di bambini. Razzi su Tel Aviv”. Il titolo di apertura è per la politica: “Pressing su Monti: ‘Non garantisco dopo le elezioni’. Il piano dei centristi: a gennaio via libera per usare il suo nome”.
La Repubblica: “Raid su Gaza, strage di bambini. Ancora razzi di Hamas contro Tel Aviv. Obama: fermare l’escalation. Israele continua a colpire: dieci piccoli muoiono sotto le macerie. Feriti anche i giornalisti. Tentativo di mediazione dell’Egitto”. A centro pagina: “Monti: non garantisco sull’Italia dopo il voto. Il premier in Kuwait parla del futuro. Casini a Montezemolo: la concorrenza è benvenuta”.
L’Unità: “Gaza, la strage dei bambini. Negli attacchi di Israele a Gaza dieci bimbi rimasti sotto le macerie. Finora sono 60 i morti palestinesi”. A centro pagina: “Monti garantisce per l’Italia, ma a tempo”. E poi le primarie: “Già 600 mila iscritti. Polemica Vendola-Renzi”.
Il Corriere della Sera: “Gaza sotto i colpi di Israele. Tra le vittime anche bambini. Intercettati missili su Tel Aviv. Si intensificano i raid. Hamas: vicini a un accordo per la tregua. La prudenza di Obama”. A centro pagina: “Monti: il futuro? Non garantisco. Il premier nei Paesi del Golfo: comprate in Italia. La frase del Professore sul dopo voto, è polemica. Centro, la partita delle alleanze”.
Il Giornale: “Gli agenti risarciscono pure i teppisti. Dopo ogni manifestazione piovono avvisi di garanzia contro i poliziotti. Che devono pagare i legali di tasca loro. Il Giornale ha lanciato una raccolta di fondi per sostenerli. Imprenditori, professionisti e politici hanno già aderito. Da oggi sul sito e domani sul quotidiano il conto corrente”. A centro pagina: “Monti minaccia: ‘Senza di me niente soldi’”.
Gaza
Dalla Thailandia, prima tappa del viaggio nel sudest asiatico, il presidente Obama, come scrive La Stampa, è stato costretto a dedicarsi alla crisi in Medio Oriente: “Ciò che ha precipitato la crisi – ha detto – è stata la costante escalation dei missili lanciati sul territorio e le aree popolate. Nessun Paese al mondo tollererebbe questa pioggia di razzi, che arriva sui propri cittadini da oltre ai confini. Quindi, sosteniamo pienamente il diritto di Israele a difendersi e continueremo a farlo. E’ anche vero che stiamo lavorando con tutte le parti della regione, per vedere se possiamo metter fine al lancio dei missili senza una ulteriore escalation di violenza. E poi, ancora le parole di Obama riprese da La Repubblica: “Se si può ottenere la fine dei lanci di missili senza una escalation militare a Gaza, è preferibile. E’ meglio non solo per la popolazione di Gaza, ma anche per gli israeliani, perché se le truppe di Israele entrano a Gaza, anche per loro aumentano i rischi di subire vittime”. Insomma, Obama sconsiglia l’attacco di terra.
L’Unità intervista Zehava Galon, avvocato, parlamentare, nuova leader di Meretz, il partito della sinistra laica e pacifista israeliana. “Una offensiva di terra sarebbe una decisione sciagurata che aggraverebbe ulteriormente la situazione. Dobbiamo negoziare una tregua, e farlo non equivale a darla vinta ad Hamas”, dice. “Possiamo eliminare anche cento dirigenti di Hamas, ma questo non ci garantirà di vivere in pace e in tranquillità, soprattutto per gli israeliani che vivono nelle città a ridosso della striscia di Gaza”. “Quello che guida Israele è un governo di piromani che punta alla guerra alla vigilia delle elezioni”. Una accusa “fondata su dati di fatto”. Le scelte del governo hanno determinato un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione israeliana, la sinistra stava risalendo nei sondaggi, e “la destra ha deciso di spostare l’attenzione sulla sicurezza, e fare campagna elettorale in un clima di guerra. Sia chiaro: nessuna giustificazione ai lanciatori di razzi, ma in questi anni la destra al governo non ha fatto un passo nella direzione del dialogo”. Sulle elezioni gli analisti israeliani danno vincente una coalizione Netanyahu-Lieberman: “Sarebbe una sciaguera. Per Israele, non per una sua parte politica. Ritengo un governo ‘Biberman’ una minaccia per il carattere democratico di Israele”.
La Repubblica intervista Etgar Keret, scrittore israeliano: “Hamas fece vincere a Bibi le elezioni del 1996 e gliele farà vincere anche stavolta”. Netanyahu fu eletto per la prima volta dopo che Peres non era riuscito a fermare l’ondata di attacchi terroristici contro i civili. Fu Hamas a fargli vincere le elezioni allora, e gliele farà vincere anche stavolta. Hamas è un bene per Netanyahu come Netanyahu è un bene per Hamas”.
Secondo Charles Kupchan, intervistato da La Stampa, la crisi di Gaza rinvierà di almeno due anni ogni trattativa seria tra israeliani e palestinesi. Su Morsi: “Ginora ha scelto una linea abbastanza responsabile, cercando di mediare e collaborare con gli Stati Uniti per evitare l’escalation del conflitto. Morsi deve marcare la differenza rispetto a Mubarak, per ovvie ragioni di tenuta interna, però non ha sfruttato questa occasione per mettere sul tavolo la revisione del trattato di pace con Israele”. Su Israele: “Deve mostrare equilibrio”, “una operazione di terra finirebbe comunque per isolare lo stato ebraico, diminuire la sua credibilità e disperdere il vantaggio politico di solidarietà internazionale che ha accumulato negli ultimi tempi come vittima di questi attacchi”.
Il Corriere della Sera intervista Michael Walzer. Dice che la guerra è scoppiata perché “Hamas ha fatto male i conti, politicamente e militarmente”. “Ha creduto di possedere finalmente un deterrente adeguato e di avere l’appoggio egiziano in caso di guerra. Ma è stato uno sbaglio. Nessuna nazione e nessun governo, di destra o di sinistra, può piegarsi a un attacco simile. E adesso l’Egitto è in difficoltà. Hamas ha ferito il nemico, ma è stato ferito molto più seriamente”. Secondo Walzer Netanyahu “con la sua spietata controffensiva” ha trasmesso un messaggio anche all’Egitto: “Tu non sei in grado di proteggere Hamas, e io ho il sostegno della grande maggioranza del mio popolo. Certamente anche il Cairo capisce che bisogna rimediare alla situazione”, “l’Egitto è chiamato ad impedire il lancio di missili nei cieli israeliani e il riarmo di Hamas da parte dell’Iran. Guai se Gaza diventasse un altro Libano”. E spiega: “L’arsenale missilistico di Hezbollah è una tremenda minaccia per Israele”, “per fortuna Hezbollah non vi fa ricorso, essendo diventato un ‘partito di governo’, corresponsabile della sicurezza e della stabilità del Libano”. Per Walzer la svolta decisiva si chiama “unilateralismo coordinato”: “Israele deve fermare gli insediamenti in Cisgiordania. Hamas deve cessare gli attacchi, stroncare il terrorismo e dialogare con Fatah”.
Politica
Su Montezemolo che “vince il primo round della guerra centrista” l’Unità intervista Lorenzo Dellai, che sabato ha parlato dal palco della convention di Italia Futura (uno degli interventi più applauditi, annota il quotidiano). “C’è una larga parte di elettori del centrodestra che oggi sono delusi e in libertà”. Con chi vuole allearsi: “Puntiamo a lavorare con tutte le energie vitali del Paese”. Monti come De Gasperi? “Non possiamo tirare per la giacca Monti, figuriamoci De Gasperi! Ma oggi l’Italia ha bisogno di una figura di riferimento che sappia federare tutte le forze della ricostruzione”. Alleati o avversari di Pd-Sel? “Difficile dare una risposta. Oggi è il momento di dire ‘cosa’ vogliamo fare, non ‘con chi’. Dobbiamo prima consolidare questa nuova realtà, poi valuteremo i punti di possibile collaborazione”. Un altro contributo sul quotidiano è quello di Domenico Rosati, parla delle presenze cattoliche (Acli, Mcl, Cisl) alla convention, per scrivere che gli pare “inappropriato registrare, come si è fatto, la presenza delle Acli (o della Cisl, o di altri) all’appuntamento della Terza Repubblica come lo sarebbe con riferimento ad altro consimili occasioni. Dopotutto la ‘fine del collateralismo’ non è stata mai revocata”. Sui contenuti: “Quale Costituzione si sottintende? Quella che c’è, come dice Andrea Riccardi, o un’altra da svelare al momento opportuno? Che seguito concreto dare ad affermazioni per cui l’unica ‘patrimoniale’ da accettare è quella che riguarda lo Stato? Quanto è larga la concessione alla vulgata per cui è lo Stato a vampirizzare la società che funzionerebbe meglio da sola? Che respiro può avere un welfare tutto ‘sussidiario’ se manca una programmazione che fissi i livelli essenziali di tutela e ne garantisca il carattere universale e la tendenza ugualitaria? Come si declina il tema del lavoro che non c’e”, eccetera.
La Repubblica intervista il ministro Riccardi, che ha preso parte all’incontro di Italia Futura di Montezemolo ed è tra i promotori del “Movimento verso la Terza Repubblica”. Dice: “Lì ho percepito una forza della società civile, il risorgere di una passione di cui la politica ha bisogno”. Poi parla dell’esperienza del governo Monti, nega che si stia tirando il premier “per la giacca”, e ricorda che “nessuno schieramento ha ancora scelto il suo leader per le elezioni”. Dice anche che con la partecipazione a “verso la Terza Repubblica” non intende “aderire ad un comitato elettorale per il premier. Sarebbe riduttivo, e lo dico con il massimo rispetto per Monti”. Al cronista che obietta quanto questa linea sia simile a quella di Casini, e possa essere potenzialmente in concorrenza, risponde che “l’urgenza in questo momento è costruire”, “è necessario un rassemblement per l’Italia, per l’Europa”: “un grande disegno non ammette né minute concorrenze né ammucchiate senza idee”.
Nella pagina di fianco Repubblica titola “Cala il gelo tra Montezemolo e Udc”. E si punta anche sulle dichiarazioni di Berlusconi, che accusa Monti: “Monti è entrato in campagna elettorale”.
Secondo La Stampa il premier medita una “mossa per gennaio” ovvero “far usare il suo nome”: significa che “potrebbe lasciare che la coalizione Montezemolo-Casini lo indichi come leader”. Il quotidiano riferisce anche l’opinione del presidente di Swg secondo cui “Monti vale circa l’8.5 per cento, con lui una formazione può oscillare tra l’8 e il 10 per cento. Ma senza Monti è tutta un’altra partita”. Antonio Noto, direttore di Ipr marketing, sostiene che “Montezemolo da solo parte dal 2-3 per cento, con potenzialità tra il 10 e il 12”, ma se il professore si schierasse e si unissero “le forze con Casini e gli altri leader pro Monti, potrebbe valere anche il 20 per cento”.
Sullo stesso quotidiano Luca Ricolfi sottolinea come quasi tutti i protagonisti della competizione al centro siano “reticenti, evasivi, dimentichi della propria storia”: “Un minimo comun denominatore non fa ancora un programma politico”. Il centro che c’è già, quello dell’Udc di Casini,è stato una colonna portante del partito della spesa pubblica, nel mezzogiorno ha una lunga storia di clientele e di guai giudiziari, e Casini ha difeso fino all’ultimo un politico come Totò Cuffaro. Servirebbero “due parole chiare” sul passato. Il centro che ancora non c’è, perché sta prendendo forma (cattolici di Todi, Italia Futura, Fermare il Declino) non è chiaro sulle scelte: sgravi ai produttori? Sostegno alle famiglie? Ridurre l’Irpef o l’Irap? C’è il moderatismo cattolico, tradizionalmente attratto dalle politiche di sostegno al reddito delle famiglie e, all’altro estremo, il radicalismo riformista e liberale, che ritiene di poter far dimagrire lo Stato di molti chili (punti di Pil) e in pochi anni.
I quotidiani hanno inviati nel Golfo Persico, al seguito del premier Monti. Prima tappa il Kuwait. Il Corriere scrive che è andato a presentare la “nuova Italia” ad emiri, principi ereditari e sceicchi che hanno enormi disponibilità finanziarie da investire perché, come ha detto il presidente del Consiglio, c’è bisogno di capitali per la crescita, ci sono buone opportunità per acquistare asset e titoli oggi ai minimi, ma destinati a rivalutarsi. E anche una sorta di roadshow delle riforme, che Monti vuol promuovere l’opera di risanamento e le nuove norme contro quella corruzione che per gli emiri e i fondi sovrani è un deterrente all’investimento. Allarga le braccia di fronte a richieste di garanzie che non può dare, e quando i cronisti a Kuwait city chiedono del futuro, il premier risponde: “Non posso garantire per il futuro, sarei già contento se potessi migliorare il presente, come credo stiamo facendo con lo sforzo di tutti”. Queste parole suscitano subito polemica in Italia: Vendola dice che “poteva risparmiarsi questa battuta di cattivo gusto” e “credo che un presidente del consiglio non possa lanciare strali sul futuro”. Per Antonio Di Pietro quello di Monti è “un ricatto bello e buono: o rivado io al governo, o agli investitori stranieri dico che non garantisco per l’affidabilità del Paese dopo di me”.
La Repubblica associa anche la reazione di Angelino Alfano: “Se Monti vuole governare ancora deve annunciare la sua candidatura”. Il segretario Pdl dice anche di non prendere in considerazione un Monti bis perché non è possibile la collaborazione con Bersani, e poi non si può governare senza chiedere il permesso agli elettori”.
di Ada Pagliarulo e Paolo Martini