Le aperture
Il Sole 24 Ore. “Fiat-Chrysler, parte la sfida. Elkann e Marchionnne: passo storico. Conti in ribasso, il titolo cade”. Di spalla: “Intesa Renzi-Berlusconi, via libera all’Italicum”. “Modifiche oggi in Aula. Il leader Pd. Rotto incantesimo politica inconcludente”. “Sì al salva Lega soglie al 37 e al 4,5 per cento. Ma i piccoli e la sinistra Pd ancora contrari”.
Il Giornale: “Fiat lascia l’Italia”, “finisce un’epoca”. “Fiat Chrysler Automobiles avrà sede legale in Olanda e fiscale a Londra. Fare impresa qui è impossibile”. E sotto: “Berlusconi incassa:l’intesa con Renzi c’è”.
La Stampa: “Auto, ora un futuro più solido”. “Intervista a John Elkann: lottavamo per salvarci, ora siamo nella parte alta della classifica. Da Fiat e Chrysler nasce FCA: sede legale in Olanda, sarà quotata a Milano e New York””. A centro pagina: “Fuori i partiti sotto il 4,5 per cento. Sì al decreto Imu-Bankitalia: rissa dei grillini a Montecitorio”.
Il Fatto quotidiano: “Impeachment M5S a Re Giorgio”, “rivolta sul regalo alle banche”. A centro pagina: “La Fiat in fuga fiscale, il Palazzo tace o acconsente”.
L’Unità: “Respinto l’assalto di Grillo”. “Contro l’ostruzionismo sull’Imu usata per la prima volta l’arma ‘taglia dibattito'”. “Grillini scatenati: scontri in Aula”, “i deputati Pd cantano ‘Bella ciao'”, “Il M5S minaccia: sarà guerra in piazza”. A centro pagina: “Renzi porta a casa l’Italicum corretto”
Il Corriere della Sera: “Grillini all’attacco, rissa in Aula”. “I Cinque Stelle contro esecutivo e Quirinale. Passa il decreto Imu, scontri alla Camera”.
La Repubblica: “Renzi-Berlusconi, ecco la riforma. Accordo sulla soglia al 37 per cento. Imu, non si paga: guerriglia grillina alla Camera”. “Legge elettorale, sbarramento al 4,5 per cento per i piccoli partiti. Il segretario Pd: intesa sul voto con il Cavaliere per non fare più un governo con lui”. A centro pagina, foto dalla bagarre ieri alla Camera: “Schiaffi e insulti, il far west in Aula”, “commessi feriti, i 5Stelle: blocchiamo il Parlamento”. Di spalla a destra: “Fiat, nuova sede in Olanda e pagherà le tasse in Inghilterra”.
Fiat
Luigi Zingales, sulla prima pagina del Sole 24 Ore (“Il problema è cosa qui non va”) commenta la notizia che dall’anno prossimo Fiat-Chrysler avrà come sede legale l’Olanda e sede fiscale Londra. In molti italiani, nota Zingales, “la notizia fa rabbia”, perché rimproverano all’azienda di aver vissuto per molti anni di sussidi statali e di “favori del governo” come la vendita a prezzo scontato dell’Alfa Romeo. Ma premesso che “la riconoscenza è una rara caratteristica degli umani”, la si dovrebbe chiedere “alla famiglia Agnelli, non certo a una società che oggi cerca disperatamente di competere nel mondo globale”. Il nostro vero problema, sostiene Zingales, “non è che la Fiat vuole trasferirsi all’estero, ma che molte altre imprese la seguiranno e soprattutto che pochissime vogliono fare viceversa. Credete forse che, per esempio, Unicredit e Generali non avrebbero vantaggi dal trasferirsi all’estero?”, “immediatamente il loro rating migliorerebbe e il loro carico fiscale diminuirebbe”. Questo vale anche per i 9mila laureati che nel 2013 hanno lasciato l’Italia, mentre pochi sono gli stranieri nelle nostre università; e vale per i manager, perché “sei delle dieci più grandi imprese non finanziarie inglesi hanno un amministratore delegato straniero, in Italia nessuna”. Il nostro sistema economico, infatti, premia i peggiori ed esclude i migliori, è “una Peggiocrazia che fornisce rendite a chi è al potere”.
La Stampa intervista il presidente della Fiat da 4 anni John Elkann, che siede nel consiglio da ben 17. Quale sarà la sede di Fca? “Non esisterà “una” sede, già oggi ce ne sono 4: Detroit per il Nord America, Belo Horizonte per il sud America, Shangai per l’Asia e Torino per l’Europa”. Per la sede legale di Fca avete scelto però l’Olanda. Elkann: “E’ il domicilio ideale, prima di tutto perché è un luogo terzo rispetto a Italia e Usa, e poi perché la forza di questo piccolo Paese è favorire dal punto di vista normativo le multinazionali”. Quante tasse risparmierete da questa scelta? “Assolutamente niente: continueremo a pagare le tasse in tutti i Paesi in cui facciamo utili, Italia inclusa”. Ma se per la sede fiscale si punta alla Gran Bretagna, non è un modo di pagare meno tasse? “No, lo ripeto: le tasse noi le paghiamo dove produciamo e vendiamo i nostri prodotti facendo utili. Il vantaggio di Londra è legato ad un regime più favorevole per gli investitori americani che speriamo di attrarre con questa fusione”.
Parlando degli ultimi 20 anni Elkann dice che Fiat ha sbagliato a non aprirsi a sufficienza al mondo: “L’errore più grande è stato di voler fare troppi mestieri, dalle assicurazioni ai motori aerei, dalla grande distribuzione ai treni, invece di concentrarci su quel che sapevamo fare”. Su cosa vi siete trovati in sintonia con Marchionne? “Nella convinzione che Fiat fosse troppo piccola”, e poi “nel rifiutare la logica di soluzioni precarie che si basassero su aiuti governativi, fatte con il denaro pubblico. Queste soluzioni non funzionano e non sono durature, come dimostra il caso di Alitalia”. Poi spiega: “Visto che in Europa non c’era spazio, abbiamo guardato dall’altra parte dell’Oceano dove abbiamo trovato l’Amministrazione Obama che si è fortemente impegnata per creare le condizioni per far rinascere l’industria automobilistica forte, e con un futuro”.
La Repubblica intervista Pierre Carniti, ex segretario generale Cisl negli anni 80, che fa notare: “Dei quattro milioni e mezzo di auto che il gruppo produce, solo 400 mila si fanno in Italia. Il 10 per cento. Quindi l’Italia vale il 10 per cento. Siamo la periferia. Marginali. E anche negli investimenti e nelle linee di strategia varremo il 10 per cento”. Ora Fiat “sarà una azienda americana con una presenza in Italia”, e, fa notare Carniti, anche a livello europeo “siamo la periferia” visto che la Spagna è il secondo produttore in Europa. La radice del problema, ricorda Carniti, sta nel fatto che la Fiat era una azienda sussidiata con soldi pubblici. Che responsabilità ha il sindacato? “Ha adottato una logica solo difensiva con l’obiettivo di salvare i posti di lavoro. Politica attuata anche un po’ malamente senza produrre i risultati, visto che i posti si sono persi e Termini Imerese ha chiuso”.
Sulla stessa pagina intervista allo storico dell’industria Giuseppe Berta, che definisce il nuovo gruppo “apolide”, perché a differenza di multinazionali come Toyota o Vokswagen “non si può identificare né con l’Italia né con gli Usa. La novità è che è o ambisce ad essere un gruppo globale, ma non c’era alternativa. Marchionne è stato costretto a questa mossa visto che gli americani avevano già storto il naso di fronte al fatto che il più ‘piccolo’ mangiasse il più ‘grande’”.
C’è però un “polo” che dovrà avere necessariamente un imprinting italiano, ed è quello dell’Alta Gamma, guidato da Maserati e rafforzato da Alfa Romeo, secondo Berta.
Un articolo sulle pagine dello stesso quotidiano invita ad evitare letture frettolose: gli utili dei de marchi del lusso, Ferrari e Maserati, sono superiori alle perdite dell’Europa, e se è vero che gran parte delle auto di lusso si vendono in America e in Asia, va sottolineato che si producono tra Modena e Torino. Poi si riferisce della reazione del presidente del Consiglio Letta, che ha definito “una questione secondaria” quella della sede legale: “Contano i posti di lavoro, le auto vendute, la competitività”, ha detto Letta. Critica la segretaria Cgil Camusso: “Ora la Fiat paga le tasse all’estero”.
Il Corriere della Sera scrive che la vera grande sfida di Marchionne è ora portare tutti i marchi nell’alto di gamma, fuori dalla mischia delle auto “di massa” che, a chi produce in Italia, garantiscono perdite o comunque margini inesistenti. Per riuscire nell’obiettivo Marchionne deve riuscire nel rilancio del marchio Alfa Romeo.
E anche Nicola Saldutti, sul Corriere, sottolinea le ragioni “molto pratiche” della scelta di stabilire la sede fiscale in Gran Bretagna: “La leva fiscale è un elemento competitività che non può essere lasciato in balia di norme disordinate continuamente variabili”, “forse bisognerebbe riflettere sul modo nel quale si possono creare le condizioni migliori per convincere le aziende a venire e non cogliere le opportunità che altri sistemi fiscali offrono con più chiarezza”.
Il Fatto: “Il gruppo Fiat sbaracca. Marchionne pagherà le tasse a sua maestà”. La Gran Bretagna, scrive il quotidiano, è stimata dall’Ocse al livello di tassazione aziendale più basso tra i Paesi G7, ed è al quarto posto tra i G20, dopo Turchia, Arabia Saudita e Russia. Benefici importanti il gruppo trarrà anche dall’Olanda: il primo riguarda la possibilità per gli azionisti di avere più voti per ogni azione attribuita. Il secondo attiene la possibilità di collocare una società holding madre nelle Antille Olandesi, con un beneficio da paradiso fiscale. Il terzo riguarda la tassazione – inesistente – dei dividendi.
Il quotidiano intervista il sociologo e storico Marco Revelli, che dice: “La questione fiscale non è assolutamente irrilevante. Mentre si tartassano le famiglie c’è un colosso finanziario e industriale che si trasferisce altrove. E’ un grosso cespite che se ne va, una gigantesca fuga di capitali”. Quanto all’occupazione e alla cassa integrazione, Revelli sottolinea: “Gli impianti produttivi italiani sono per tre quarti svuotati, Mirafiori lo è per i quattro decimi, non hanno più un ruolo produttivo. Non serve a nulla che il sindaco Fassino si senta rassicurato dal fatto che esista ancora uno stabilimento torinese, è una finzione, perché sono inutilizzati”. Secondo Revelli la Fiat non è più italiana almeno dal piano industriale del 2010 (Fabbrica Italia, che Marchionne annunciò chiedendo l’anima ai suoi operai): “Oggi, dopo quasi quattro anni, molta parte di quel piano è evaporata”. Poi Revelli critica il silenzio della politica e del Pd e cita altri Paesi per le decisioni prese sulla industria automobilistica: dall’Amministrazione Obama, alla Francia, per terminare con la Germania, tutti l’hanno sostenuta.
Tornando al Corriere, segnaliamo una intervista allo storico dell’impresa Valerio Castronovo, secondo cui l’industria italiana dell’auto può sopravvivere se riesce a creare un polo del lusso con Alfa-Maserati, ed è vero che “se Fiat deve diventare globale, non può restare a Torino”. Fiat aveva il dovere morale di restare in Italia? “Fiat – dice Castronovo – ha ricevuto molti aiuti dallo Stato italiano. Ma è vero che nell’ambito di politiche assistenziali lo stato ha chiesto a Fiat di impiantare fabbriche in zone del sud dove era forte il rischio di cattedrali nel deserto. Invece non è stato così: Melfi è un modello di fabbrica integrata e moderna, Pomigliano ha problemi ma resiste. Pari e patta, insomma”.
Su Il Giornale Nicola Porro sottolinea che “fare impresa qui è impossibile”. Le imprese nate e vissute in Italia non hanno alcuna convenienza a fare i loro profitti a casa nostra (troppe leggi, troppi vincoli, troppe tasse): l’iniziativa economica privata e di mercato è diventata da una parte il bancomat del Tesoro, e dall’altra l’aspirapolvere dei nostri pregiudizi anticapitalisti”.
Per finire, segnaliamo che Bob Dylan sarà il protagonista dello spot di Chrysler durante il Super bowl, evento televisivo più seguito dell’anno.
Legge elettorale
Alle due del pomeriggio di ieri, dopo una trattativa estenuante che ha occupato parte della notte, Matteo Renzi, come riferisce La Repubblica, ha ufficializzato su Twitter l’accordo sulla legge elettorale con Berlusconi e Alfano: “Bene così, ora sotto con il Senato, le Province, il Titolo V, e soprattutto con il jobs act. Dai che questa è la volta buona”. Poi, sui social network: “Mai più larghe intese grazie al ballottaggio, Mai più potere di ricatto ai piccoli partiti. Dopo anni di melina, in qualche settimana si passa dalle parole ai fatti”. Ricostruendo la notte decisiva il segretario ha raccontato: “Berlusconi però ci ha fatto impazzire”. Il Cavaliere era stato tassativo: “Oltre il 36 per cento di soglia per il premio non vado, e il 5 per cento rimane così”. Il segretario tentava di arrivare almeno al 37 per cento. E al 4 per cento di sbarramento. Poi ha chiamato Bersani, che si sarebbe mosso e avrebbe detto ai suoi di fare la loro battaglia ma ammonendoli: “Fermatevi un attimo prima. Il dissenso non deve portare a rotture insanabili”.
Alle pagine seguenti Sebastiano Messina spiega i meccanismi del testo base, che oggi arriva in Aula a Montecitorio: il premio di maggioranza scatta oltre il 37 per cento, sull’abbassamento al 4,5 per cento (dal 5 che era) per la soglia di accesso il Nuovo Centrodestra “esulta”, mentre Monti e Sel tremano. Quanto alla cosiddetta norma salva-Lega, che permetterà l’accesso al Parlamento a partiti che supereranno la soglia del 9 per cento in almeno 3 regioni il quotidiano ricorda che l’anno scorso il Carroccio superò questa soglia solo in Lombardia e Veneto, fermandosi a, 4,8 in Piemonte.
Viene letta poi come una “mano tesa” ai piccoli partiti l’eliminazione della norma che impediva ad un candidato di presentarsi in più di un collegio. Sarà possibile candidarsi anche a tre collegi nella stessa regione.
Il Corriere della Sera sottolinea con un retroscena di Francesco Verderami che il vero bivio sarà la riforma del Senato. La legge elettorale da sola resterebbe zoppa, e Renzi avrebbe il timore che il Cav si tiri indietro.
La Stampa riferisce l’opinione del negoziatore di Forza Italia Verdini, che nega sgambetti all’ultima curva sulla legge elettorale: “Sono certo che supererà anche la prova del voto segreto”. Scrive il quotidiano che a giudicare dalle reazioni furibonde degli altri partiti, la battaglia si trasferirà alla Camera, a partire da oggi: Sel ha presentato una pregiudiziale di incostituzionalità e spera nella sponda della Lega, di Fratelli d’Italia, di Per l’Italia (i cattolici di Casini, come Mauro, Olivero e Marazziti) Scelta Civica e Nuovo Centrodestra. Ha chiesto il voto segreto anche il Movimento 5 Stelle.
Anche un retroscena sulla stessa pagina sottolinea che ora ha inizio “la via crucis” in Parlamento: “Ma l’opposizione interna al Pd sta già preparando la resistenza”.
Massimo Giannini sulla prima pagina de La Repubblica scrive che comunque si giudichi il contenuto dell’Italicum, quel che conta è che il “convoglio riformatore si è finalmente messo in marcia”. Certo, si tratta di un “compromesso”, siglato peraltro con un “leader condannato in via definitiva da un tribunale della Repubblica”. Ma Berlusconi resta “il capo indiscusso della destra italiana, ancorché pregiudicato”. Poi: “E piaccia o no (e a noi certamente non piace) le liste bloccate sono la vera “GrundNorm” intorno alla quale il Cavaliere, durante la trattativa, ha costruito le sue barricate, a conferma della natura “proprietaria” della sua creatura politica, comunque la ribattezzi”. Questo è il vero vulnus dell’Italicum più doloroso da accettare, soprattutto per gli elettori del centrosinistra, cui Renzi prima dell8 dicembre aveva garantito il diritto di scegliersi i propri eletti. Ma a questo strappo si può e si deve rimediare, se non in Parlamento senz’altro nello statuto del Pd, con una norma che imponga l’obbligo delle primarie per la scelta dei candidati”.
Giannini sottolinea poi che “Il doppio turno, benché eventuale, è davvero una svolta di sistema” perché assicura il bipolarismo, garantisce la governabilità e propizia l’alternanza
Imu Bankitalia
I quotidiani riferiscono ampiamente della “rissa” scoppiata alla Camera dopo la decisione della Presidente Laura Boldrini di mettere la “ghigliottina” sulla discussione per consentire il voto.
La Repubblica intervista Gianroberto Casaleggio, cofondatore e guru del Movimento 5 Stelle, che dice: “la tagliola non esiste come strumento alla Camera”.
Per Il Fatto è un “regalo alle banche da 4,2 miliardi”, di cui beneficerebbero in particolare Intesa SanPaolo e Unicredit. In teoria le banche aumentano il loro livello di capitalizzazione e lo stato incassa la tassazione sulle plusvalenze. Ma secondo il quotidiano le banche incasseranno e lo Stato subirà un danno. Il decreto fissa un tetto alla partecipazione massima possibile che le banche possono detenere in Bankitalia, al 3 per cento. Ma la Banca centrale può ricomprare le quote in eccesso e poi rivenderle. La faccenda riguarda Intesa SanPaolo, che ha il 27,3 per cento di troppo e Unicredit, che dovrà disfarsi del 19,1 per cento.
Il Sole ricorda che tra i contenuti del decreto c’è la cancellazione della seconda rata Imu per una serie di immobili (prima casa, terreni agricoli, fabbricati rurali strumentali) fatto salvo l’obbligo, che andava assolto entro il 24 gennaio scorso di pagare la mini-Imu per i comuni che hanno innalzato l’aliquota rispetto al 4 per mille statale. Quanto alla possibilità di Bankitalia di aumentare il proprio capitale mediante l’utilizzo delle riserve valutarie fino a 7,5 miliardi, il Tesoro in serata è intervenuto per spiegare che nessun “regalo è stato fatto alle banche, perché la rivalutazione del capitale e una più equilibrata ripartizione delle quote di partecipazione alla Banca d’Italia non comportano alcun onere per lo Stato”.
Internazionale
Alle pagine dell’economia de La Repubblica: “La Fed snobba la crisi dei Paesi emergenti”, “nell’ultima riunione dell’era Bernanke un nuovo taglio alla liquidità. Borse giù”. La fed di Bernanke (che lascia ora il posto a Janet Yellen), ha ridotto di altri 10 miliardi di dollari i suoi acquisti di bond sul mercato.
Anche su La Stampa “La Fed chiude ancora i rubinetti. Tempesta sui Paesi emergenti”. “Liquidità ridotta di 10 miliardi: in affanno India, Russia e Sudafrica”.
La Stampa, tornando sul discorso dell’Unione pronunciato davanti al Congresso l’altro ieri notte: “Lo strappo di Obama, il rilancio dell’America a colpi di decreti. Salari più alti, tasse e sanità, deciderà bypassando il Congresso”. Per quel che riguarda i salari, Obama vuole salire a 10,10 dollari all’ora (oggi un lavoratore americano non può guadagnare meno di 7,5 dollari all’ora). Per il momento il decreto che ha deciso di emettere Obama alzerà il salario dei lavoratori che hanno contatti con il governo federale (600 mila persone). Gli altri temi sono le pensioni, la riforma della immigrazione, l’energia (shale gas e solare).
Su La Repubblica Vittorio Zucconi da Washington racconta la storia di John Soranno, il pizzaiolo che ha rivoluzionato le paghe d’America. Ha aumentato a 10 dollari l’ora il salario iniziale dei suoi pizzaioli e a 100 mila l’anno lo stipendio dei manager nella sua catena di 30 pizzerie in Minnesota (Punch Pizza). Il Presidente Obama lo ha elogiato: “Seguite l’esempio del pizzaiolo John” Il pizzaiolo-manager era sul palco insieme a Michelle, come racconta il Corriere della Sera.
Ampie citazioni del discorso di Obama si trovano su La Repubblica: “La dura verità è che nel mezzo di questa ripresa americana troppi lavorano più di prima ma non riescono ad arrivare a fine mese. I privilegiati non sono mai stati così bene. Ma le retribuzioni medie rimangono ferme. L’ineguaglianza peggiora. La mobilità sociale verso l’alto si è fermata. Nostro compito è rovesciare queste tendenze”, ha detto il Presidente.
“Breaktrough year”, l’anno della svolta: così Obama ha annunciato la riscossa americana per il 2014. Il Presidente ha elencato i successi della sua Amministrazione: “la più alta percentuale di neolaureati da tre decenni. Otto milioni di posti di lavoro creati in quattro anni, la disoccupazione più bassa da cinque. L’indipendenza energetica sempre più vicina. Il deficit ridotto di metà”.
Il Giornale: “Così Obama vira l’America a sinistra”, “Rilancia i mantra progressisti: immigrazione e salario minimo. Ma gli aumenti toccheranno solo un pugno di persone”, scrive Rolla Scolari sottolineando che i sondaggi raccontano di un presidente che perde popolarità, poiché sei americani su dieci non apprezzano il suo operato.
La Stampa parla della “crisi” del modello turco: “Tutti contro Erdogan, anche l’economia”, “La lira sprofonda, la banca centrale alza i tassi. Dopo la Tangentopoli per il premier è un altro ‘complotto'”. Scrive Claudio Gallo che la svolta autoritaria del premier turco “rischia di spaventare gli investitori stranieri”.