Corriere della Sera: “Titoli di Stato, bene l’asta”, “Tassi a breve giù al 3%. Lo spread sui decennali sale però a 450. Il decreto sulla salute si blocca per le divergenze nel governo”.
A centro pagina: “La legge sulla procreazione bocciata dalla Corte europa: sistema italiano incoerente”.
Il Sole 24 apre con un colloquio con il Presidente del Consiglio Monti: “‘Gli spread alti danneggiano tutti’. Crescita, priorità all’attuazione delle riforme. Subito semplificazioni e certificazioni verdi”.
In taglio basso: “Bene le aste dei titoli italiani e spagnoli. Lo spread sale a 450″.
La Repubblica, ricordando che oggi il nostro premier avrà un incontro con la Merkel: “Monti all’Europa: la mia road map”.
E poi: “La richiesta di Berlusconi: sì alla riforma elettorale, ma voto a novembre”.
A centro pagina: “Legge 40, stop da Strasburgo, ‘Norma che viola i diritti umani’”.
La Stampa: “Fecondazione, stop dell’Ue”, “La Corte europea boccia la legge 40: sì alla diagnosi preimpianto”.
Il Fatto punta sulla Festa del Pd di Reggio Emilia: “La scelta del Pd. Sì a Sallusti, no alla Fiom”, “Già dagli esclusi della festa di Reggio Emilia si capisce in che direzione va il partito di Bersani: porte chiuse a Di Pietro e al sindacato ‘ribelle’. Grande attenzione al centro di Casini. E ai nemici di ieri che tifano ‘grande coalizione’. Ma la base è confusa e incredula”.
Procreazione assistita
Ieri la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la legge italiana in materia di procreazione assistita viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare di Rosetta Costa e Walter Pavan, già genitori di un figlio nato nel 2006 affetto da fibrosi cistica. Avendo scoperto di essere entrambi portatori sani, chiedevano di poter ricorrere alla fecondazione in vitro e alla conseguente diagnosi preimpianto.
Scrive Filippo Facci su Libero: “La Corte europea dei diritti umani in sintesi ha giudicato allucinante che una coppia italiana non possa ricorrere alla fertilizzazione in vitro per evitare che un figlio prenda una malattia trasmissibile (la fibrosi cistica, nel caso) quando è molto probabile che se la prenda, visto che i due genitori in questione ne erano portatori sani. Da noi, in altre parole, chi ha malattie genetiche è considerato ordinariamente fertile e non può accedere alla diagnosi pre-impianto. E che se ne frega se il bambino poi crescerà con una fibrosi cistica, un’atrofia muscolare, una talassemia o altre malattie cromosomiche”.
Il Corriere della Sera spiega che la Corte europea ha considerato la richiesta dei genitori di accedere alla procreazione in vitro e alla diagnosi preimpianto come protetta dal diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dalla Convenzione europea. E per questo ha evidenziato la “incoerenza” italiana: si consente infatti l’aborto di un feto affetto da fibrosi cistica, ma è vietata la selezione degli embrioni non colpiti da quella patologia.
Commenta la sentenza il giurista Stefano Rodotà sulle pagine de La Repubblica: “Viene eliminata una irragionevole discriminazione tra le coppie sterili o infertili, che già possono effettuare la diagnosi, grazie a un intervento della nostra corte costituzionale. Viene rilevata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela la vita privata e familiare”. E “quando si parla del rispetto della vita privata e familiare si vuol dire che in materie come questa la competenza a decidere spetta alle persone interessate”. Anche Vladimiro Zagrebelsky, sulle pagine de La Stampa, dedica un commento alla legge 40 sulla fecondazione assistita, “incompatibile con i diritti”. Il giurista ricorda che già nel 2009 la Consulta aveva dichiarato incostituzionale la limitazione a tre degli embrioni da impiantare contemporaneamente prevista dalla legge 40, senza possibilità di produrne un maggior numero da utilizzare nel caso che il primo impianto non avesse avuto esito positivo: anche in quel caso la legge era in contrasto con il diritto fondamentale della donna alla salute. Zagrebelsky ricorda anche che la grande maggioranza dei Paesi europei consente la fecondazione medicalmente assistita per prevenire la trasmissione di malattie genetiche e che solo Italia e Austria la vietano, mentre la Svizzera ha in corso un progetto di legge per ammetterla. E ricorda altresì che la sentenza non è definitiva, poiché il governo italiano può chiederne il riesame da parte della Grande Chambre della Corte: se diverrà definitiva sarà vincolante per l’Italia, una modifica della legge sarà inevitabile.
Ancora su La Stampa si dà conto del “pressing” del Pdl sul presidente del Consiglio: lo invitano a presentare ricorso e Monti ha tre mesi di tempo. Ma il presidente del consiglio, scrive La Stampa, potrebbe legittimamente sostenere che il suo governo è nato per contrastare l’emergenza economica e l’intervento su temi valoriari non fa parte della sua mission.
Il Foglio parla polemicamente di “eugenetica a Strasburgo”. Sottolinea che la sentenza non è definitiva: lo diventerà fra tre mesi, in mancanza di un ricorso in appello alla Grande Chambre o dopo l’ventuale conferma della stessa Grande Chambre. E sottolinea anche che “è quasi automatico” che il governo presenti un ricorso per difendere una legge del proprio Parlamento ed evitare la corsa ai risarcimenti (l’Italia dovrà infatti pagare 15 mila euro + 2500 per le spese legali ai due ricorrenti). Il quotidiano intervista Lorenza Violini, docente di diritto costituzionale a Milano: “L’estensione delle sentenze di Strasburgo si è diffusa negli ultimi anni ma è inaccettabile. Non soltanto è contraria al principio della Corte europea, ma anche alla legittimazione popolare del nostro ordinamento giuridico. Un giudice non può sovvertire le leggi di un Paese, regolarmente votate”. Da una larga maggioranza, sottolinea Il Foglio, confermata dopo il referendum del giugno 2005. Il quotidiano scrive poi che a capo del collegio giudicante c’è uno dei magistrati più attivi sul fronte dei diritti per sentenza, Francoise Tulkens, a capo anche del collegio che bandì il crocefisso dalle aule, decisione poi puntualmente smentita dal grado definitivo. Lei ed altri suoi colleghi con sensibilità affini lasceranno l’incarico entro novembre. Nei loro ultimi mesi di operato, sono attesi altri giudizi con la medesima impronta. Un ricorso in agenda per la prossima settimana, per esempio, potrebbe vietare ai cristiani inglesi di manifestare la propria fede in pubblico, perché lesivo dei diritti di libertà di tutti gli altri.
Politica, partiti, Monti
Secondo un “retroscena” de La Repubblica, Berlusconi avrebbe chiesto il voto a novembre. L’accelerazione sarebbe maturata nel giro di 24 ore. E la ragione è che incomberebbe il rischio assai concreto di una condanna nei suoi confronti tra novembre e dicembre: è quella che il quotidiano definisce “la mannaia del processo Ruby”. E’ quindi “l’incubo di una campagna elettorale da condurre da gennaio a marzo, da candidato presidente del consiglio, con il fardello di una sentenza funesta per quei reati infamanti”. “Ai timori per il caso Ruby si aggiungono inoltre, come ha raccontato nei giorni scorsi Il Giornale, quelli per nuove inchieste che – secondo il Cavaliere – sarebbero in procinto di essere formalizzate contro di lui a Napoli e a Bari”. Ecco perché nel “fortino di palazzo Grazioli” Berlusconi e i suoi maggiorenti avrebbero deciso di approvare in pochi giorni la legge elettorale, anche alle condizioni degli avversari del Pd: “A patto di convincere Monti alle dimissioni e Napolitano ad anticipare il voto a novembre”. Sarebbe quindi partita immediatamente la missione degli sherpa del Pdl per informare la segreteria dei Democratici e quella di Gianni Letta, il cui obiettivo era di riferirne a Napolitano. Lo stesso Letta avrebbe sottolineato che il Pdl è disponibile sulla bozza quasi concordata con il Pd: piccoli collegi, premio di maggioranza del 15 per cento al partito che ottiene più voti, a condizione che tutto avvenga nel giro di pochi giorni e si vada al voto a novembre. La notizia, secondo La Repubblica, avrebbe raggiunto il presidente del consiglio Monti in procinto di incontrare la cancelliera tedesca per un confronto sul tetto anti-spread: secondo il quotidiano un voto anticipato con l’incognita di una nuova frammentazione all’italiana all’indomani delle elezioni, è considerato una iattura da Palazzo Chigi per la stabilità dell’euro. E il messaggio che sarebbe filtrato è che “interrompere il percorso adesso farebbe saltare tutto” sul fronte Ue.
Il Giornale scrive invece che sulla legge elettorale le parti restano davvero distanti, e che Berlusconi “non ha alcuna intenzione di accelerare i tempi e siglare un accordo che necessariamente porterebbe alle elezioni anticipate: perché non avrebbe ancora deciso sulla sua ridiscesa in campo, non sa se la sua candidatura potrà essere vantaggiosa per sé e per il Pdl.
Sul tema da segnalare un commento di Antonio Socci su Il Giornale: “Il Cavaliere può vincere solo se sta dietro le quinte. Senza di lui la sinistra ha perso il suo nemico e si è disintegrata. Ma se torna sarà solo guerra civile. Angelino? Il miglior partito che il Paese possa sperare”. Un altro articolo dello stesso quotidiano, dedicato alla trattativa sulla legge elettorale, spiega che Berlusconi “è apparso scocciato”, e che “non ha tutta questa voglia di candidarsi”, perché l’idea di partire sconfitto, e di dover limitare la sua scesa in campo a “contenere le perdite non lo esalta affatto”.
L’incontro di oggi a Berlino, scrive il Corriere, “sarà tutt’altro che semplice”. Monti arriverà per gradi al tema cruciale del piano antispread su cui sta lavorando il presidente Bce Mario Draghi, vale a dire l’intervento sul mercato dei titoli pubblici per ridurre la differenza di rendimento tra buoni italiani e tedeschi. Ma intanto si partirà da una ricognizione delle liberalizzazioni e del rafforzamento del mercato unico. Il quotidiano sottolinea l’importanza dell’incontro avuto ieri da Monti con il presidente della Commissione Ue Barroso: Monti vuole ripartire da Bruxelles, da ciò che resta dello “spirito comunitario”, ovvero si discute con tutti e per le decisioni si fa perno sulle istituzioni europee, che significa l’esatto contrario di quel che sembrano avere in mente Hollande e Merkel. Si tratta di evitare di restare stritolati nel patto franco-tedesco o, peggio, di esser costretti ad affidarsi in toto alla benevolenza della Germania.
E alla vigilia della partenza per Berlino, il Sole 24 Ore offre ai lettori proprio una intervista al premier Monti sulla “agenda di autunno” del suo governo e sulle prospettive europee. Si parte dall’andamento delle aste ieri, particolarmente positivo. Monti non si mostra sorpreso: “La mia percezione è che le risposte di politica economica che stiamo dando comincino a prevalere sulle preoccupazioni e sulle sfide dei mercati”. Sugli spread ancora alti: “Restano un serio problema”, “non solo per gli Stati ma anche per le imprese che si trovano a finanziarsi in Paesi come il nostro a un costo troppo elevato”. “E’ un fattore che altera gravemente la competizione internazionale tra le imprese. Non c’è solo il Clup (costo del lavoro per unità di prodotto, come svantaggio competitivo), ma possiamo dire che pesa anche il Ccup, il costo del capitale per unità di prodotto. In Germania è bassissimo, in Italia molto alto”. Poi, tornando al consiglio dei ministri-fiume di venerdì scorso (8 ore), presentato a più riprese come un “seminario” sulle molteplici misure da adottare, Monti dice: “capisco che la percezione può essere stata: questi con un programma così pensano di stare qui vent’anni. Ma è chiaro che ora il Presidente del Consiglio tirerà le fila per calare nella realtà gli interventi più utili in tempi brevi. Ci tengo però a sottolineare che non si tratta solo di provvedimenti nuovi, c’è un altro sforzo importante da fare: quello dell’attuazione delle misure già adottate”. Il quotidiano di Confindustria evidenzia quanto in Italia sia difficile implementare le riforme e Monti spiega: “Noi italiani, a tutti i livelli, siamo considerati bravi nel proporre, spesso nel decidere, ma piuttosto deboli nel follow up, nel dare seguito organizzativo alle decisioni”. E sui rischi che le iniziative del governo possano incontrare crescenti resistenze tra le forze politiche Monti risponde: “E’ probabile che l’avvicinarsi del voto possa portare vari esponenti a posizioni di maggiore differenziazione e critiche rispetto al governo. Ma siccome questo è un governo che non aspira ad esserlo di nuovo, io dedicherò la mia attenzione ad ottenere il più alto numero di decisioni del Parlamento e ad attuare il più alto numero di riforme già approvate. Per il resto seguirò con attenzione, come ogni cittadino, la campagna elettorale”.
In una intervista al Fatto quotidiano Francesco Rutelli (“contro Grillo e De Benedetti”) parla dell’editore e imprenditore, oltre che del comico-leader. “L’editore è in conflitto di interessi. Il comico renda pubblica la sua condanna”. Su De Benedetti Rutelli ricorda che l’editore del gruppo Espresso attraverso il gruppo Cir controlla Kos, che opera nell’assistenza sociosanitaria: “Se il ministro della sanità Balduzzi fa una intervista a Repubblica e parla di sanità, quel giornale deve dire che ha interessi nel settore sanitario”. Questo vale anche per l’energia, perché De Benedetti controlla il 39 per cento di Tirreno Power attraverso Sorgenia. Quanto alle alleanze politiche, Rutelli ricorda che “la candidatura di Tabacci alle primarie” è “un progetto chiaro”. Per tornare nel Pd? “Per allearci”. E se non ci saranno le coalizioni? “Entreremo in una lista”. Nel Pd? “Al Pd non mi iscrivo”. Bersani presidente del consiglio? “Il presidente del consiglio lo scelgono gli elettori, ma Monti per me non è fuori gioco”.
E poi
Lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun firma su La Repubblica un commento dedicato alle polemiche scoppiate in Francia intorno al redattore editoriale della casa editrice Gallimard, Richard Millet. Si deve a lui la pubblicazione di romanzi di Jonathan Littel, fa parte del comitato di lettura della prestigiosa casa editrice, è un uomo “affascinante, colto, educato, che parla a voce bassa”, scrive Ben Jelloun. Ma un giorno, alla radio, racconta lo scrittore, “lo sento dire questo: quando salgo in metro mi sento in apartheid; non mi sento a casa mia”. E poi, parlando degli arabi: “li conosco bene, li ho combattuti a fianco dei falangisti in Libano”. Millet di recente ha pubblicato un testo dal titolo “Elogio letterario di Anders Breivik”, il novergese autore delle stragi di Utoya. Nel libro si legge: “Non approvo i crimini commessi da Breivik”. Ma in quella tragedia ammette di trovare “una perfezione formale”. E spiega: “Le nazioni europee si sfaldano, la loro essenza cristiana si perde a vantaggio del relativismo generale e del multiculturalismo, Breivik è figlio della frattura ideologico-razziale che l’immigrazione extra-europea ha introdotto in Europa. Queste azioni sono, nella migliore delle ipotesi, una manifestazione ridicola dell’istinto di sopravvivenza di una civiltà”. Fatta questa citazione, Ben Jelloun spiega che, secondo Millet la civiltà “bianca”, cristiana, sta perdendo la sua identità a causa dell’immigrazione. Sostiene anche che le vittime del razzismo in Europa oggi sono i bianchi europei, e parla di una “guerra civile in corso in Europa” perché l’Europa “ha rinunciato ad affermare le sue radici cristiane”.
La vicenda è anche sulla prima pagina de Il Foglio, che scrive: “Fino al 24 agosto, Richard Millet era per tutti uno dei più blasonati e ricercati editor di Francia”; ma da una settimana quello che è l’autore di una cinquantina di opere, tra cui ‘Il sentimento della lingua’, e vincitore del premio di saggistica dell’Accademia francese, è diventato “una strega ideologica, una iena dattilografa, un petainista, un antirepubblicano e un islamofobo”. Perché il 24 agosto ha pubblicato un pamphlet dedicato a Breivik, proprio nel giorno della sua condanna a 21 anni di carcere. Dove afferma di non approvare il massacro, ma di riconoscere la perfezione formale tipica del male, che farebbe di Breivik la punta di diamante della “disperazione europea” di fronte al “nichilismo multiculturale”, alla “perdita di identità”, alla “denatalità”, alla “illusione di un islam moderato”, e alla “irénique fraternité”, l’irenismo delle democrazie alla prova dell’immigrazione di massa del mondo musulmano. “L’Europa muore di insignificanza e di consenso”, scrive Millet. Commenta Il Foglio: “Facendo la tara a un certo snobismo intellettuale tipico del mileu da cui proviene l’autore, quello di Millet è il primo pamphlet a rovinare la festa politicamente corretta sulla strage di Utoya”, operazione intellettuale a quella che Gore Vidal fece con Timothy McVeigh, autore della strage di Oklahoma city. Il quotidiano ricorda anche che Millet aveva fatto scandalo con “Printemps syrien”, elogio del presidente Assad: criticava la stampa occidentale,”che gongola per i ribelli e ignora, o non vuol vedere, che sono Fratelli musulmani e salafiti finanziati dal Qatar”. E che la caduta di Assad sarà seguita dalla creazione di uno stato islamico.
di Ada Pagliarulo e Paolo Martini