Le aperture
Il Corriere della Sera: “Voto nelle città, elettori in calo. Affluenza giù di oltre il 6 per cento, solo Milano tiene rispetto al primo turno. Ballottaggi, è il giorno del verdetto. I seggi sono aperti oggi dalle 7 alle 15”. L’editoriale, firmato da Michele Salvati, è titolato: “Ciò che Draghi dovrebbe dire”, dedicato all’intervento del Governatore della Banca d’Italia domani, per le consuete “considerazioni finali”. A centro pagina la notizia di un viceministro francese costretto alle dimissioni perché accusato di molestie sessuali.
La Repubblica: “Città, caccia all’ultimo voto. Oggi urne aperte fino alle 15. A Napoli nuova polemica su Lettieri. Nel Pdl è il caos. La Russa e Matteoli: adesso serve un congresso”. E poi: “Affluenza in calo. Berlusconi al seggio, applausi e contestazioni. Fischi alla Moratti”. A centro pagina, con foto, le notizie sulle manifestazioni a sostegno di Ratko Mladic, ieri a Belgrado: “In piazza con gli ultrà di Mladic. ‘E’ un eroe serbo, liberatelo”. In prima anche il richiamo ad una intervista a Susanna Camusso, segretaria della Cgil: “Camusso al governo: ‘Pensioni da fame. La leader della Cgil: è ora di aumentare gli assegni”.
La Stampa: “Ballottaggi, affluenza giù. Berlusconi pensa al dopo. Napoli, Lettieri allontanato dai seggi. Il candidato del centrodestra: non sapevo fosse vietato. Comunali – 6 per cento, tiene Milano. Il premier apre alle primarie nel Pdl”.
Il Foglio, nella sua edizione del lunedì, apre su questo: “Dopo i ballottaggi, le primarie del Pdl? I risultati decisivi per il Governo, ma ora il partito ha bisogno di una spina dorsale per il dopo Berlusconi”. E l’editoriale firmato dall’Elefantino è titolato: “O il Cav cambia tutto, o tutti cambiano il Cav.”.
Il Giornale: “Ultima chiamata. Non sprecate questo voto. Dicono di voler governare Milano e Napoli, ma puntano solo ad abbattere il governo. E intanto Berlusconi prepara la svolta per il Pdl: stati generali per rilanciare il partito”. A centro pagina: “Sulle elezioni l’ombra dei corvi”, con foto di Bersani, Travaglio. Fini e Casini.
L’Unità: “La posta in gioco”: Si vota fino alle 15. Ballottaggi, governo Berlusconi ad alto rischio”.
Politica
Il Giornale, con un articolo dal titolo “La mossa di Silvio: gli ‘stati generali’ per rilanciare il Pdl. In molti chiedono che la politica economica del governo sia frutto di scelte condivise: una sorta di cabina di regia”, si sofferma sul dopo elezioni nel centrodestra. Secondo il quotidiano il Presidente del Consiglio vorrebbe convocare “una sorta di grande assise degli eletti – dai parlamentari fino a tutti i consiglieri comunali – da tenersi prima dell’estate per dare il via al confronto interno. Un modo per iniziare il percorso congressuale, percorso questo non certo dietro l’angolo”. Dunque gli ‘stati generali’ sarebbero “un primo elemento di discontinuità” e darebbero “alle varie correnti interne la possibilità di organizzarsi e confrontarsi”. Il Cavaliere comunque non sarebbe interessato a “rivoluzionare il partito” e anche se i ballottaggi andassero male Verdini e La Russa “dovrebbero restare ai vertici di via dell’Umiltà. Una loro sostituzione aprirebbe infatti altri crepe in una maggioranza “già alle prese con le beghe dei Responsabolòi e che nei prossimi giorni dovrà ritrovarsi compatta nel voto su quella pseudo-verifica chiesta settimane fa da Giorgio Napolitano.
Scrive Giuliano Ferrara su Il Foglio che “tutti si aspettano silenzi immusoniti, poi un fiume di parole che dicono aspra inimicizia interna, che esprimono i rancori, le paure e le fobie delle basi dei partiti, degli apparati, dei ceti politici in peiciolo. Tutti si aspettano una specie di 25 luglio strisciante, mal condotto, politicamente inarticolato, sotto la pioggia battente di una sconfitta non padroneggiata”. “Pochi si aspettano giudizi veri e responsabili, contegno, protocollo, disciplina, robustezza di analisi, sicurezza senza strafottenza. Ma è quello che serve, solo quello”.
La Stampa intervista Ignazio La Russa, che si dice “pessimista” sull’esito elettorale, e spiega che le cause della sconfitta “sono molteplici, ma il partito non c’entra”. Il Pdl a Milano non è andato male, mentre la Lega “ha perso 4 o 5 punti, che sono quelli che ci mancano”. Ripercussioni sul governo? “Nessuna. La frammentazione del voto, la sconfitta mascherata del Pdl, la crescita dei partiti antisistema portano a dire che Berlusconi non rischia. Non vedo possibilità di un governo alternativo”. Sul Pdl “io due mesi fa ho consegnato a Berlusconi un piano dettagliato. Si tratta di coinvolgere attorno a tre coordinatori una parte importante dell’attuale ufficio di presidenza con compiti operativi”. Una sorta di direttorio, come proposto da Frattini? “Un direttorio mi sembra un organismo che decide, ma nel Pdl chi decide alla fine è Berlusconi. Io penso a comitati operativi che si occupino di programma, enti locali, territorio, propaganda etc”. Infine, sulla successione, “la leadership del futuro non la reputo vicina. Le cordate, nel 99 per cento dei casi, finiscono per essere controproducenti per chi aspira a prendere il posto di Berlusconi. E al 100 per cento finiscono per essere controproducenti per il partito. Non è detto che Berflusconi non si ricandidi alle prossime elezioni, anzi, penso che lo farà”.
Secondo un retroscena de La Repubblica, il Carroccio pensa al dopo Berlusconi. Secondo il quotidiano la Lega, nel caso di una sconfitta a Milano, metterà il premier di fronte ad una scelta secca: indicare il fretta il proprio successore, oppure dire addio all’alleanza con la Lega. Il ragionamento di alcuni emissari leghisti sarebbe il seguente: se ci rendiamo conto che con Berlusconi si perde, tanto vale presentarsi da soli alle politiche. Se Berlusconi è stato l’unico che ha consentito ai leghisti di portare a casa il federalismo, l’alleanza con il Pdl va mantenuta, ma non può essere lui il candidato premier.
Il Corriere della Sera offre due interviste sul “caso Terracina”, dove si scontrano per la carica di sindaco un candidato del Pdl e uno di una lista della presidente della Regione Lazio Renata Polverini. A sostenere il candidato del Pdl, tra gli altri, anche il ministro Giorgia Meloni e Maurizio Gasparri. La Polverini dice “di essere stata “molto ma molto leale, perché sono andata da Berlusconi e gli ho spiegato per filo e per segno quello che stavo per fare”. Lui “ha preso atto della mia buona volontà, ammettendo che comunque anche i miei candidati sono ben dentro il centrodestra”. E poi spiega: “La verità è che io ho intercettato una massa di voti che era nel Pdl ma che evidentemente il Pdl non era in grado di controllare”. E’ su questo “che dovremmo interrogarci tutti. A cominciare, ovviamente, proprio da Berlusconi. Deve chiedersi che partito è diventato il Pdl. Un partito che ha sempre funzionato grazie a un certo effetto trascinamento. Solo che oggi, purtroppo, l’effetto trascinamento si è esaurito”.
La Polverini viene intervista anche da La Repubblica e dice: “Il Pdl manca di una struttura organizzativa, deve assegnare ruoli precisi che siano espressione di un congresso, i coordinatori scelti dall’alto non bastano più. E’ necessario creare una squadra di comando, interlocutori certi e autorevoli, che sappiano essere punto di riferimento sul territorio. Sono queste amministrative a dimostrare che ci sono state delle lacune, soprattutto nella scelta dei candidati sindaci”.
Maurizio Gasparri, a proposito della Polverini, sul Corriere della Sera dice che non è mai stata nel Pdl, aggiunge che “è normale che un presidente di Regione catalizzi intorno a sé del consenso. E quando si amministra si possono avere tante aspirazioni”. Ma “Renata partecipa agli uffici politici del Pdl, è stata sostgenuta in campagna elettorale da Silvio Berlusconi e non ha mai formilato progetti alternativi al partito. Se poi, con la sua lista civica, porta motori aggiuntivi, ben vengano”. E poi: “Io lavoro perché il Pdl resti il primo partito italiano e anche nel Lazio il risultato è stato ottimo. Ma si parla più dei litigi che del fatto che la sinistra è fuori da tutti i ballottaggi che contano in regione. E che a Latina, nonostante i loro tentativi di seminare zizzania, abbiamo vinto al primo turno”.
Su Milano da segnalare su La Stampa due interviste a due ex sindaci: Marco Formentini, primo sindaco di centrodestra, dice che “se andasse alle urne il cento per cento dei milanesi” vincerebbe Letizia Moratti, e ricorda come vinse al ballottaggio contro Nando dalla Chiesa, nel 1993: “Milano resta moderata, Letizia può farcela”, il titolo.
Piero Borghini, ex migliorista del Pci, è diventato sindaco nel gennaio 1992, e dice di apprezzare Pisapia: “potrebbe essere una svolta politica importante se, vincendo, avrà la capacità e l’umiltà di connettersi” con la tradizione riformista milanese.
La Repubblica intervista l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. Si dice convinto che “a meno di miracoli, a Milano Pisapia vince bene”, “non vedo come la Moratti possa recuperare un divario così ampio”. Ma per Cacciari “sarebbe stata battibilissima anche al primo turno se ci si alleava con il Terzo Polo”. In caso di sconfitta Berlusconi “farà finta di poter continuare a governare”, ma “può anche darsi che si sfasci tutto” e molto dipende da quel che farà la Lega, “perché se il Carroccio se ne va il Pdl muore”. Il nuovo leader possibile del centrodestra è Tremonti, “ammesso che il suo rapporto con i leghisti tenga ancora. Ecco, un governo Tremonti che allarghi i cordoni della borsa per gli imprenditori potrebbe rappresentare una prospettiva di tenuta”. Ma Cacciari ammonisce il centrosinistra: “Deve capire che vincere le amministrative non vuol dire avere già in tasca le politiche”, e poiché è a quello che bisogna puntare è necessario “allargare al centro”.
Esteri
“Migliaia in piazza per Mladic”, titola La Stampa, dando conto delle manifestazioni organizzate dai nazionalisti del Partito Radicale davanti al Parlamento contro l’arresto e l’estradizione del generale Mladic, responsabile dell’eccidio di Srebrenica. Più di 10 mila persone: “Non sono soltanto i soliti irriducibili pensionati, ma anche giovani direttamente importanti dalle gradinate dello stadio”. Sta quindi rialzando la testa il Partito radicale serbo, tanto che all’interno del governo democratico e filo-europeo il ministro per i diritti umani Rasim Ljiajc dichiara: “Questo arresto può farci perdere le elezioni”. Oggi il difensore di Mladic presenterà un ricorso al Tribunale di Belgrado contro l’estradizione, che potrebbe scattare nelle prossime 48 ore. Secondo il figlio dell’ex generale, Mladic non è più in grado di capire quel che gli accade intorno. Chiede quindi che venga sottoposto a una visita specialistica. Nel corso della sua latitanza aveva subito tre ictus. Lo stesso quotidiano racconta che sui siti internet degli ultrà si invoca l’omicidio del presidente Tadic, accusato di essere un traditore. Si evoca esplicitamente il precedente di Zoran Djindjic, assassinato davanti al palazzo del governo nel 2003: fu lui a far estradare Milosevic, come adesso Tadic con Mladic. Il figlio di Mladic ha tenuto peraltro una conferenza stampa, che viene raccontata dal Corriere della Sera. “A casa dei Mladic: ‘La strage di Srebrenica? Non fu papà ad ordinarla’”. Per l’inviato del Corriere è stata in qualche modo “un flop” la manifestazione che ha visto “soltanto diecimila persone in piazza”. Ed è quasi un flop anche per La Repubblica. Nel caso dell’arresto di Karadzic i manifestanti furono all’incirca 80 mila.
Il Presidente afghano Karzai ha lanciato – scrive il Corriere – un ennesimo ultimatum, dopo una strage di bambini seguito ad un raid della Nato: sono in dodici ad aver perso la vita, insieme a due donne. Sei civili feriti. La strage è avvenuta nell’Elmand (sud-ovest), a Nazvad. Ricorda La Repubblica che tra il 2001 e il 2010 le vittime civili sono state 2777, con un aumento del 15 per cento lo scorso anno. Il 18 e 19 maggio a migliaia erano scesi in piazza contro l’uccisione di 4 persone a Taloqan, in un raid. E che giovedì, nella provincia del Nuristan, dove i taliban hanno da poco preso il controllo del distretto, in un altro bombardamento Nato avevano perso la vita 22 poliziotti e 20 civili. Tanto che già sabato Karzai aveva chiesto al suo ministro della difesa di assumere il controllo dei raid notturni abitualmente compiuti dalla Nato.
Su La Stampa segnaliamo un’analisi con copyright ‘Tomdispatch.com’ firmata dall’esperto indiano Dilip Hiro, in cui si spiega come i contrasti con Washington spingano il Pakistan, l’unico stato islamico con l’atomica, ad una alleanza con la Cina. Questo Paese ha peraltro una importanza fondamentale per la guerra in Afghanistan: per rifornire gli oltre 100 mila soldati Usa, i 50 mila alleati e i 100 contractors in Afghanistan, il Pentagono deve avere libero accesso al Paese attraverso i suoi vicini. Ma dei sei Paesi confinanti, solo tre hanno porti sul mare: uno, la Cina, è troppo distante. Il secondo, l’Iran, è il nemico numero di Washington. Resta solo il Pakistan: tre quarti dei rifornimenti per le oltre 400 basi della Nato (da quella gigantesca di Bagram ai piccoli avamposti) passano attraverso il Pakistan, compresa la quasi totalità delle armi e munizioni. Altrettanto importante, è l’unico grande porto sul mare del Pakistan, ovvero Karachi. Pechino e Islamabad hanno uno scopo comune: impedire all’India di diventare una superpotenza dell’Asia meridionale. Dal 1962 la Cina cerca di rafforzare militarmente il Pakistan. Oggi, circa 4/5 dei carri armati, 3/5 degli aerei militari, 3/4 delle corvette e dei lanciamilissili pakistani sono made in China. Si è quindi sviluppata una potente lobby pro-Pechino nelle forze armate pakistane. E non a caso, dopo il raid di Abottabad, ufficiali pakistani hanno permesso ai cinesi di esaminare l’elicottero “invisibile” Usa andato in avaria durante il blitz e lasciato sul terreno dai Navy Seals.
Su La Stampa, parla di Cina anche una lunga analisi di Bill Emmott, che peraltro parte proprio dalla relazione Pechino-Islamabad, dopo la notizia che la Cina si sarebbe presto dotata di una base navale in Pakistan, nella località di Gwasar. L’analisi di Emmott si sofferma sulla crescita economica cinese e l’espansione dei suoi interessi nel mondo globale, senza tralasciare le tensioni che all’interno dello stesso Bric si sono fatte sentire tra Brasile e Cina sulle questioni relative al mercato dei prodotti agricoli. Malgrado l’espansione, la Cina però, a differenza degli Usa, “non possiede potere ideologico, né ha alcuna influenza attraverso organizzazioni non goverative, in quanto non ne permette lo sviluppo”. Se l’occidente dovrà prendere atto della “diffusione del potere” nel mondo, della sua “multidimensionalità” (sia se si tratta di agire in Libia o nel Nordafrica, che si tratti di designare la nuova guida del Fmi, bisognerà fare i conti con questa “diffusione” del potere, non dimenticare che è necessaria la cooperazione con tutti i Paesi vicini dell’Afghanistan, inclusi Cina, India, Pakistan e perfino l’Iran: ma questo processo richiede ancora una leadership, che può ancora venire solo dall’America.
E poi
Da La Repubblica segnaliamo un intervento di Stefano Rodotà dedicato al G8 di Internet promosso da Sarkozy la scorsa settimana a Parigi. Molto critico sull’incontro: nelle parole di apertura del presidente francese, Internet – sottolinea Rodotà – non è il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto, bensì un continente da “civilizzare”. Un rovesciamento di prospettive che non sorprende, visto che Sarkozy è colui che più di tutti ha sostenuto la necessità di affrontare i problemi del diritto d’autore unicamente con norme repressive. Lo spirito dell’incontro si evince dal comunicato finale, dove si parla del ruolo fondamentale di Internet nel favorire i processi democratici, ma non compare neanche un pallido accenno alle persecuzioni contro chi usa la rete come strumento di libertà, alle decine di bloggers in galera nei Paesi totalitari, alle forme indirette di censura nei Paesi democratici.
L’incontro è stato “puntellato” dalla presenza dei padroni del mondo digitale, come Google, Microsoft e Facebook, mentre mancavano i rappresentanti delle istituzioni che assicurano il funzionamento di Internet, come Icann e Isoc.
Sullo stesso quotidiano segnaliamo anche, alle pagine della Cultura, l’anticipazione di un saggio del politologo americano Benjamin Barber che comparirà sul nuovo numero della rivista Reset, sotto il titolo “Istruzioni per fondare una religione civile”.
(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)