La Repubblica: “Bersani: ‘La svolta parte da Milano’”, “Piazza Duomo gremita. Grillo ci ripensa, no all’intervista a Sky: ‘Mi rifiuto’”. A centro pagina, il “rapporto Consob ai pm di Siena” che viene riassunto nel titolo: “Così Mps ha manipolato il mercato’”. Di spalla, un reportage di Bernardo Valli: “Nella Tunisia in bilico sulla primavera smarrita”.
La Stampa: “Elezioni, la guerra della tv”, “Grillo disdice all’ultimo un’intervista, Monti chiede il confronto a tra. Milano: folla al comizio Pd, a sorpresa appare Prodi: resteremo uniti”. Sotto la testata: “Il Papa che se ne va commuove i fedeli, ‘Pregate per me’”. A centro pagina, un grafico illustra la “mappa delle conversazioni politiche città per città sul flusso Twitter”: “Tutte le chiacchiere degli italiani sui leader”.
Corriere della Sera: “Sfida di Monti: confronto in tv”, “Ma Berlusconi: solo con Bersani. Grillo non si fa intervistare”. Di spalla: “Benedetto XVI all’Angelus: non usate Dio per il potere”. A centro pagina, una lettera-appello dei rettori delle Università ai partiti, per chiedere “fondi e autonomia”: “’Università al capolinea. Sei interventi per salvarla’”. La fotostoria è per le elezioni a Cipro: “In testa i conservatori”.
L’Unità: “Da Milano la scossa per l’Italia. Piazza grande per Ambrosoli. Bersani: con noi fuori dal buio”. “Prodi sul palco: Pier Luigi vincerà”. A centro pagina: “Grillo fugge dalla tv, vuole solo monologhi”.
Il Giornale: “La promessa di Berlusconi: ‘via il mostro Equitalia’. Dopo l’abolizione dell’Imu, ecco un’altra proposta Pdl a favore dei contribuenti. Più flessibilità, stop ai pignoramenti e meno interessi: basta con le persecuzioni”. E poi: “Grillo scappa. E il Pd s’aggrappa al riciclato Prodi”.
Grillo
Il Corriere della Sera ricorda che ieri poteva essere il giorno del “ritorno in tv” di Grillo, atteso per una intervista serale su Sky Tg 24. “Invece Grillo ha spiazzato tutti annunciando, nel primo pomeriggio, che l’intervista concordata con Sky Tg24 era ‘saltata’. E dopo il bando ai talk show (con il caso di Federica Salsi) e l’attacco alle telecamere di Rai 3 e Tgcom, il nuovo no di Grillo alla tv dimostra che, sul piano mediatico, l’assenza del leader pesa anche più della presenza. Nessuna spiegazione per il cambio di programma, al punto da indurre l’emittente televisiva a replicare con una nota. ‘Nonostante l’impegno preso e dopo aver annunciato in diverse occasioni il suo ritorno in tv per domenica 17 febbraio su Sky Tg24, il leader del Movimento 5 Stelle fa sapere, senza alcun motivo evidente, che questa sera si sottrarrà alla intervista”.
La Repubblica intervista il direttore di Sky Tg 24 Sarah Varetto, che spiega così il dietrofront di Grillo: “Un calcolo di convenienza, alla fine ha pensato che non gli convenisse rispondere alle nostre domande”, “del ripensamento mi hanno informato suoi emissari nella tarda serata di sabato. Inutili le trattative, lui non si è fatto vivo. Che si tirava indietro lo ha detto via twitter”.
La Stampa scrive: “Pare che dietro la decisione ci sia stato un consiglio di Roberto Casaleggio che, dopo il bagno di folla di Torino, avrebbe sconsigliato all’attore di esporsi alla gragnuola delle domande dei giornalisti”. Del resto, durante la tappa a Savona del suo tsunami tour, Grillo una chiave di lettura del suo rifiuto l’ha data: “Vedere questi politici in televisione, queste facce da culo che sono lì a voler dare soluzione ai problemi che loro hanno creato… Devono andarsene a casa tutti”.
Il Giornale intervista Gavino Sanna, pubblicitario ed esperto di comunicazione, e gli chiede se la scelta di non presentarsi in tv possa essere quella giusta. “Da pubblicitario direi di sì. Nascondersi dalla tv è una bella mossa, Grillo non ha bisogno della televisione, non vedo perché dovrebbe apparire. Per essere uguale agli altri?”. Su Il Giornale: “Lombardia decisiva, Bersani ha paura e si aggrappa a Prodi”, “i leader Pd e Vendola a Milano per sbarrare la strada a Maroni”.
Bersani
Per La Repubblica erano trentamila le persone presenti ieri in piazza Duomo a Milano alla manifestazione del centrosinistra. E a sorpresa sul palco è arrivato anche Romano Prodi. Foto finale di gruppo con Bersani, Vendola, Tabacci, il sindaco di Milano Pisapia e il candidato alla presidenza della Regione Lombardia Umberto Ambrosoli. La Repubblica racconta che Pisapia ha voluto portare lo stesso leggio che gli portò fortuna nel 2011, nonché “le stesse calze rosse di allora”, come ha detto l’interessato. “Dopo aver liberato Milano”, ha detto Pisapia, “liberiamo la Lombardia per costruire l’Italia che vogliamo. Con Ambrosoli saremo fieri di essere lombardi, e con Bersani non ci vergogneremo più di essere italiani”. Ambrosoli: “Il 25 aprile quest’anno arriva a febbraio”.
Ancora parole di Bersani: “Ci siamo presentati con una nostra foto di gruppo”. “Non ho visto foto di Berlusconi, Maroni, Storace, Fini, Casini o Monti”, ha detto, convinto che quegli accordi “si frantumeranno”.
Prodi, dal palco: “Sono venuto qui per invitarvi a votare uniti. Poi torno al mio lavoro”, ha detto, riferendosi all’incarico Onu che ha per l’Africa. E anzi, poiché l’espressione di Bersani di voler “smacchiare il giaguaro” è stata salutata, secondo Repubblica, da uno sventolio di bandiere, Prodi ha detto: “I miei amici africani mi chiedono perché Bersani ce l’abbia tanto con la smacchiatura dei giaguari. Di solito me la cavo dicendo che ce l’ha tanto anche con i tacchini”.
Secondo La Repubblica il messaggio di Prodi era soprattutto di rassicurazione: la prossima squadra al governo resterà unita perché ha imparato la lezione, a differenza del passato. Non è che i traditori di destra e sinistra abbiano fatto una bella fine”. Secondo il quotidiano, la scelta di andare sul palco e la differenza marcata tra i suoi governi finiti male e quello futuro di Bersani sono la carta che gioca adesso per potersi iscrivere alla corsa per il Quirinale.
Anche su La Stampa: “Prodi lancia Bersani e apre la corsa al Quirinale”, “il Professore sul palco a piazza Duomo: questa squadra resterà unita”. Prodi, scrive La Stampa, non è arrivato a parlare in piazza Duomo di sua iniziativa: glielo hanno chiesto dal Pd”. Si tratta di una più generale “chiamata alle armi” che aveva già coinvolto Matteo Renzi: “Insomma, personalità capaci di parlare ad un elettorato diverso da quello comunista, specie in regioni come la Lombardia.
Berlusconi
Francesco Forte commenta sulla prima pagina de Il Giornale la proposta di Berlusconi su Equitalia. Berlusconi ha “lanciato un programma di riforma di Equitalia necessario per ripristinare il rapporto tra fisco e contribuente. I tributi sono i prezzo dei servizi pubblici che il governo fornisce. Come dice Berlusconi, il fisco non deve presentarsi come un nemico, e vogliamo che il cittadino senta l’imposta come un dovere a cui è giusto assolvere”. Secondo Forte Equitalia ha “quattro gravi anomalie: la prima è di natura costituzionale, e consiste nella violazione dell’articolo 53 della Costituzione”, che dice che ciascuno deve pagare i tributi secondo la propria capacità contributiva. Questo canone deve valere anche per il modo in cui i tributi sono riscossi, e dunque “ha ragione Berlusconi” quando dice che non può essere pignorata l’abitazione di una famiglia. Seconda anomalia: gli interessi sulle cartelle. Terza anomalia: Equitalia riscuote con sistema coattivo anche i tributi per i quali il contribuente abbia fatto ricorso. Infine: il livello troppo elevato dell’aggio esattoriale di Equitalia, al 9 per cento.
Le pagine 2 e 3 del Corriere della Sera sono dedicate ai risultati di uno studio dell’Istituto di analisi economico Oxford Economics, che ha messo a confronto i piani delle principali forze politiche in campo: insomma, “quanto costano i programmi dei partiti”, quale impatto possono avere sull’economia. In via generale, secondo Oxford, il programma del Pdl è quello che più fa aumentare Pil e occupazione, ma “a spese del deficit pubblico”. Il testo integrale dello studio, completo di grafici e tabelle, è su www.corriere.it.
Il Corriere scrive che la proposta di Monti di un confronto tv tra i leader delle tre coalizioni in campo ha incassato ancora una volta due no. Berlusconi ha infatti risposto che se deve andare in tv intende confrontarsi “solo con Bersani”. E il segretario del Pd ha insistito nel chiedere un confronto esteso a tutti i leader in corsa, quindi anche a Beppe Grillo, Oscar Giannino, Antonio Ingroia.
Internazionale
La Stampa riferisce della pubblicazione sul quotidiano Usa Today di un documento con i dettagli della proposta della Casa Bianca per la riforma della immigrazione. Secondo il testo, gli immigrati illegali che vogliano una regolarizzazione devono sottomettersi ad un controllo delle loro eventuali attività criminali, fornire informazioni biometriche, pagare le tasse e una multa per gli arretrati, imparare l’inglese e la storia degli Stati Uniti e rimettersi in fila per fare i documenti. Una volta approvati, potranno fare domanda di un nuovo visto. Questo permesso consentirà loro di risiedere e lavorare negli Usa per quattro anni. Se tutto andrà bene, potrà essere rinnovato per altri quattro. Al termine degli otto anni, gli illegali riceveranno la carta verde, e quindi cominceranno il percorso normale che porta in genere alla cittadinanza dopo cinque anni. Nello stesso tempo, le autorità americane rafforzeranno i controlli alle frontiere. Appena letta la proposta, il senatore repubblicano cubano Marco Rubio della Florida l’ha bocciata. “E’ morta in partenza, al Congresso”, ha detto. Il Gop ha la maggioranza alla Camera e quindi può bloccare qualunque iniziativa. Scrive il quotidiano che Obama spera in una approvazione della legge entro l’estate: deve farla per rispondere all’elettorato ispanico che l’ha votato in massa a novembre. Ma anche i Repubblicani hanno interesse a risolvere i problemi degli 11 milioni di illegali, che sembra voler recuperare consenso nel gruppo demografico dei latini, in espansione.
Il Corriere della Sera si occupa della esplosione avvenuta sabato scorso a Qetta, capoluogo della regione pachistana del Belucistan: una strage, 81 morti e 200 feriti. L’ennessimo attentato contro la comunità sciita nel Paese, rivendicata da gruppi estremisti sunniti come Lashkar E-Jhangvi, che considera gli hazara eretici, se non alleati dell’Iran. Un quinti dei 180 milioni di pachistani sono sciiti. E quelli di Qetta sono presi di mira sin dal 1999: squadroni della morte hanno tentato di eliminare l’elite di medici e avvocati, tirando giù dagli autobus e giustiziando i pellegrini in viaggio nelle zone rurali. Dietro l’aumento delle violenze di questi anni, gli esperti leggono una alleanza crescente tra i gruppi di miliziani antisciiti e i talebani pakistani. L’intelligence pakistana ha infatti aiutato questi estremisti sunniti a crescere negli anni 80 e 90, per usarli contro l’India nel Kashmir oppure in Afghanistan e in Iran. Dopo l’11 settembre li ha dichiarati fuori legge in nome dell’alleanza antiterrorismo, ma Lashkar ed altri movimenti continuano ad operare nell’ombra o sotto altri nomi.
Alle pagine R2 de La Repubblica l’inviato Bernardo Valli in Tunisia ricorda che la primavera araba è partita da qui, ma ora “è in mezzo al guado”, l’impronta repressiva imposta dai musulmani radicali è una minaccia forte e costante. Ma c’è un movimento che non si rassegna all’assorbimento del potere nella fede e che, dopo l’assassinio del leader dell’opposizione laica Chorki BelAid, è tornato in piazza. Scrive Valli che soltanto dopo esser stato assassinato BelAid è diventato il simbolo della resistenza all’islamismo politico, e per questo è adesso sepolto tra i martiri della nazione. Valli parla della crescente impopolarità del governo dominato dal partito islamisto Ehnnada. “L’islamismo nela sua versione attuale si è rivelato inadeguato ad esercitare il potere, impacciato nel gestire l’economia e i problemi sociali”. E non è un caso che il giorno del funerale di BelAid sia coinciso con uno sciopero generale. La forte partecipazione al funerale del leader politico laico ha prodotto anche profonde lacerazioni all’interno dello stesso partito di Ehnnada: un’ala più modernista, rappresentata dal primo ministro Jebali, è entrata in aperta polemica con lo storico leader del partito Gannouchi, allorché il primo ha proposto la formazione di un governo di tecnocrati: significa passare da un esecutivo a maggioranza islamista a un esecutivo laico. L’evoluzione è evidente, scrive Valli, ricordando che quello stesso Jebali un paio di anni fa suggeriva di creare un califfato, vale a dire uno Stato teocratico.
Papa
Erano in 100 mila, secondo il Corriere, ieri a San Pietro, ad ascoltare l’ultimo Angelus di Benedetto XVI. “Nei momenti decisivi della vita, e in ogni momento”, ha detto, “siamo di fronte ad un bivio: vogliamo seguire l’Io o Dio?”. Benedetto XVI è tornato a dire che chi fa parte della Chiesa deve “rinnovarsi nello spirito”, rinnegare “orgoglio ed egoismo”, “respingere le tentazioni diaboliche subite da Gesù nel deserto”, che hanno il loro “nucleo” nello “strumentalizzare Dio per i propri fini” preferendogli “il successo, i beni materiali, il potere”.
Il Corriere riproduce anche l’ultimo colloquio del Pontefice con lo scrittore Peter Sewald, suo biografo. Dieci settimane fa l’incontro, “l’udito era calato, l’occhio sinistro non vedeva più, il corpo smagrito”. Su La Repubblica Marco Ansaldo si occupa della successione: “Alleanze, scontri e intrighi. Così le lobby dei cardinali assediano già il Conclave”. Ansaldo parla di un asse tra l’arcivescovo ambrosiano Scola, il ministro vaticano della cultura Ravasi e il presidente della Cei Bagnasco, contro gli stranieri.
L’Unità si occupa del cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, “il porporato filippino su cui ha puntato Ratzinger”. A giudizio di molti vaticanisti le sue chance di succedere a Benedetto XVI sarebbero alte. Per l’ottima preparazione teologica, perché è capo della più numerosa comunitò cattolica del continente asiatico, per il suo interesse per le questioni sociali. Ha ricevuto la porpora da Benedetto XVI all’ultimo concistoro, ed ha 56 anni. In Italia è entrato in contatto con la cosiddetta “Scuola di Bologna”, aggregandosi alla squadra di ricercatori di matrice dossettiana che faceva capo ad Alberto Melloni e Giuseppe Alberigo. Assieme a quel gruppo di studiosi ha lavorato alla storia del Concilio Vaticano II, sottolineandone il carattere dirompente. Sulla stessa pagina si ricorda che sabato 23 febbraio un tribunale di Los Angeles ascolterà il cardinale Mahony, ex vescovo della città, come teste nel processo su uno dei tanti casi di violenza sessuale ai danni di minori compiuto da religiosi della sua diocesi. Mahony viene accusato di non aver fatto abbastanza per punire i sacerdoti colpevoli. Il successore di Mahony, l’arcivescovo Gomez, ha reso pubblico, su ordine della Corte suprema di Los Angeles, 12 mila pagine di documenti sul coinvolgimento di 122 sacerdoti della diocesi, ma nei giorni scorsi il quotidiano Los Angeles Times ha pubblicato alcune lettere scritte a suo tempo da Mahony al Vaticano per denunciare alcuni episodi e proporre la sospensione a divinis dei responsabili. A quanto sembra non ottenne risposta, il che lascerebbe sospettare che la decisione di metter tutto a tacere non fu presa in solitudine dal prelato americano.
di Ada Pagliarulo e Paolo Martini