Il Corriere della Sera: “Bce riduce i tassi. Ma Borse in calo. Per Draghi ‘il quadro resta debole’. Costo del denaro mai così basso”. Il titolo più grande riguarda la revisione della spesa varata nella notte dal Governo: “Subito i tagli, rinvio al 2013 per l’Iva. Via libera al decreto. L’obiettivo di dimezzare le Province. Mobilità obbligatoria per i dipendenti pubblici”. “Risparmi per 26 miliardi in tre anni. Salvati i piccoli ospedali”. A centro pagina: “Condannati i vertici della polizia. La Cassazione conferma il verdetto sulle violenze al G8 di Genova nel 2001″. “Il ministro Cancellieri: ora dovranno essere sostituiti”.
Il Fatto quotidiano: “Diaz, il massacro. Giustizia è fatta”.
Su La Stampa un commento di Vladimiro Zagrebelsky, a partire dalle condanne sui fatti della scuola Diaz, si sofferma sul reato di tortura: “Quel delitto che l’Italia non punisce”.
La Repubblica. “Sanità, no ai tagli degli ospedali. Via libera al decreto, eliminate 60 Province. Draghi lima i tassi ma le Borse cedono. Il governo vara la spending review. Monti: ‘Risprami di spesa per 26 miliardi in 3 anni’. Scure sugli statali, salta la riduzione dei fondi all’università”. A centro pagina: “Diaz, le condanne decapitano la polizia, sospesi per 5 anni Gratteri e gli altri funzionari”.
Il Sole 24 Ore: “Salvi i mini-ospedali, 4 per cento di statali in meno. Nei ministeri 7mila esuberi. Verso lo stop a 37 tribunali e 220 sezioni distaccate. Enti locali: sacrifici per 7,2 miliardi”.
Libero: “Tanto Monti per nulla. Ennesima retromarcia. La spending review dei Prof: nessun taglio a province, armi e sindacati. Niente blocco delle tariffe. E la chiusura dei mini-ospedali è delegata ai Governatori: un altro modo per dire che non si farà”.
Spending review
Le misure di revisione della spesa, annunciate nella notte in una conferenza stampa dopo molte ore di Consiglio dei ministri, saranno più analiticamente esaminate domani, visto che oggi i quotidiani ripropongono l’elenco delle misure di cui si parla da giorni, e che ieri sono entrate nella riunione del governo.
La Repubblica scrive che “a puntare i piedi” è stato soprattutto il ministro della Salute Balduzzi, che “si è battuto fino all’ultimo ed è riuscito ad evitare la chiusura dei circa 200 piccoli ospedali (la compensazione arriverà dall’acquisto di apparecchiature medicali) e quello della Pubblica istruzione Profumo, che è riuscito a contenere i tagli all’università”.
Il grosso delle misure però ha marciato più spedito. La decisione del governo è stata quella di congelare l’aumento dell’iva di due punti, che sarebbe scattato ad ottobre, e ieri il ministro Grilli ha detto che ci sarebbe anche l’intenzione di bloccare il successivo aumento, quello previsto a luglio 2013.
La Stampa evidenzia il taglio delle Province: “Resteranno solo 50 Province. Tagli per 26 miliardi entro il 2014. L’Iva non aumenterà fino al luglio prossimo”. In realtà solo tra dieci giorni saranno resi noti i criteri, che saranno definiti insieme alle Regioni, dovrebbero sparire tutte le province delle 10 città metropolitane (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Girenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria) e le province sarebbero sicuramente dimezzate.
Scrive oggi Maurizio Belpietro di Mario Monti che “l’unica manovra che gli riesce è la retromarcia”, visto quel che è successo ieri al Consiglio dei ministri sulla spending review: “una disfatta”.
Su Il Giornale: “Governo fermo, verso il sì all’aumento Iva. Consiglio dei ministri fiume, ma la spending review si blocca. Tensione tra Monti e Balduzzi sui tagli alla sanità”.
Tassi
Ieri la Banca centrale europea ha deciso la riduzione del costo del denaro, al livello minimo storico dello 0,75 per cento. Ma poco dopo, come sottolineano tanto La Repubblica che Il Sole 24 Ore, evidenziano che le mosse della Bce non sono bastate a convincere i mercati, poiché quello che La Repubblica definisce un “timido rimbalzo” seguito all’annuncio del taglio dei tassi si è trasformato in una brusca retromarcia allorché è iniziata la conferenza stampa del Presidente della Bce Draghi, che ha riservato agli euroottimisti una “doccia fredda”. Il presidente ha fissato paletti rigidi all’uso dello scudo salva-spread, spiegando che “dovrà essere soggetto a condizioni per questioni di credibilità”, ha allontanato l’ipotesi di nuove iniziezioni di liquidità a basso prezzo (“Sono misure temporanee, non prendiamo impegni ex ante”) ed ha tracciato un quadro più scuro del previsto sullo stato di salute dell’Europa. Il risultato è che le Borse del vecchio continente hanno chiuso in calo, con Piazza Affari a -2,3 e Madrid a -2,99.
Poi un allargamento degli spread di Italia e Spagna, rispettivamente a 460 e 540 punti. Secondo La Repubblica a far tremare i listini sono state soprattutto le parole di Draghi sulla economia Ue: “Le decisioni prese al vertice di Bruxelles della settimana scorsa sono un passo nella giusta direzione, ma si sono materializzati alcuni rischi per la crescita, ed ora vediamo un indebolimento in tutta l’area euro, anche nei Paesi che prima stavano meglio”. Il Sole 24 Ore vi legge un chiaro riferimento alla Germania, per cui, dopo la crescita 0 del primo trimestre dell’anno, gli indicatori vanno nella direzione di una contrazione. Draghi ha però detto che (secondo Il Sole) la crisi non è grave come nel periodo più acuto del 2008-2009 e che la Bce prevede “una graduale, lenta ripresa nel corso dell’anno”.
La Repubblica intervista l’economista francese Jean Paul Fitoussi sulla misura presa ieri dalla Bce, che sottolinea che se pur servirà a dare una mano al credito, si trattava di una decisione che si sarebbe dovuta prendere prima. Secondo Fitoussi bisogna puntare sul ruolo della Bce, che dovrebbe intervenire a supporto dell’eurozona impegnando sostanze illimitate, in modo da scoraggiare gli speculatori.
Il Corriere della Sera intervista Jan Pieter Krahnen, direttore del centro studi finanziari di una università di Francoforte, e membro del comitato degli esperti che deve preparare la riforma del settore bancario europeo su incarico della Commissione Ue. Parla della vigilanza europea, che deve poter dire, secondo Krahnen, se una banca deve chiudere, deve poter decidere sul bail-in (le perdite sono a carico del creditore) “indipendentemente da quel che sostiene l’autorità nazionale”. Tra le banche centrali che si sono sempre opposte, ricorda il Corriere, c’è la Bundesbank tedesca.
Diaz
Il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, intervistata dal Corriere, dice: “Gli uomini che sono stati condannati in via definitiva dovranno essere sostituiti”. Il cronista fa notare i vertici dell’anticrimine sono stati azzerati, e il ministro ammette: “E’ il prezzo altissimo che paghiamo, perché perdiamo alcuni dei nostri uomini migliori. Sarà diffficile sostituire un investigatore come Francesco Gratteri, che ora è il direttore centrale. Ho il rammarico che debba andare via Gilberto Caldarozzi, il capo dello Sco, il servizio centrale operativo. Loro sono quelli che hanno preso Bernardo Provenzano, grazie a loro abbiamo arrestato l’attentatore di Brindisi. Alle conseguenze della sentenza è dedicato un altro articolo del Corriere della Sera, dove ci si sofferma sulla “squadra d’elite” che ha catturato boss e terroristi e che ora viene cancellata in un colpo. Ora il capo della polizia Manganelli (che all’epoca era vicecapo) dovrà ricostruire quella che è stata anche una sua creatura.
Anche su Il Fatto: “Decapitato il gruppo De Gennaro-Manganelli”, dove si legge che con la sentenza si sfalda il gruppo vicino a Gianni de Gennaro ed al suo successore Antonio Manganelli. Il quotidiano intervista un alto dirigente della polizia che parla dietro promessa di anonimato. Certo, scrive Il Fatto, nessuno andrà in carcere, ma resta la pena che forse ai condannati faceva più paura, ovvero l’interdizione dai pubblici uffici. I dirigenti dovrebbero essere sospesi dal servizio, o forse potrebbero chiedere la sospensione della pena accessoria, sostenendo che essa rientri nell’indulto. Ma il ministro Cancellieri fa intendere che non la avallerà. Il quotidiano sottolinea però come in questi undici anni abbiano tutti fatto carriera.
Su La Stampa: “L’amarezza del Viminale: colpite le nostre eccellenze”. Delusa la speranza di una “decisione saggia” da parte dei giudici. Guido Ruotolo scrive che gli inquirenti hanno cercato di coinvolgere il vertice del ministero degli interni in questi anni nella catena di comando responsabile del disastro del G8 di Genova. Ma non trovando le “prove”, hanno processato il capo della polizia dell’epoca, Gianni De Gennaro, accusandolo di aver indotto il questore di Genova, Colucci, a rilasciare false dichiarazioni. De Gennaro è stato assolto dalla Cassazione. “Fu un errore – scrive Ruotolo – mandare alla Diaz funzionari abituati a fare irruzioni nei covi mafiosi, ma allora, sarebbe onesto riconoscerlo, non c’era un gruppo di funzionari in grado di gestire al meglio l’ordine pubblico. Dopo Genova si è creata un anuova emergenza terrorismo e la si è saputa affrontare (dalle Br di Lioce e Galesi agli anarcoinsurrezionalisti terroristi della Fai).
Internazionale
Il Fatto scrive che Wikileaks ha cominciato a diffondere notizie riguardo all’aiuto che Finmeccanica continua a fornire al regime di Bashar Al Assad. Tutto avverebbe attraverso la fornitura del sistema di comunicazione Tetra da parte della Selex Elsag, filiale del colosso italiano. “.
Anche su La Stampa: “Azienda di Finmeccanica rifornisce l’esercito siriano”. A parlarne è il corrispondente da Madrid, poiché Wikileaks ha scelto tra i partner dei media per questa pubblicazione il quotidiano progressista spagnolo online Pùblico, che titola: “L’Italia vende alla Siria alta tecnologia, che serve per coordinare la repressione”. Il portavoce di Assange, che è ora rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana di Londra al fine di evitare l’estradizione in Svezia dove è accusato di reati sessuali, ha detto che “i files sono imbarazzanti sia per la Siria che per i suoi oppositori”.
Si vota oggi in Libia. Tre milioni di cittadini sono chiamati a scegliere i 200 deputati del nuovo parlamento: “Prime elezioni libere nel Paese, ancora ostaggio delle milizie armate”, titola il Corriere, che ha come inviato Lorenzo Cremonesi. Migliaia di candidati registrati in fretta e furia nelle ultime settimane, molti fra loro sono totalmente digiuni di politica: la mobilitazione appare davvero massiccia, mostra una società civile decisa a cambiare pagina. Ma “nessuno nasconde che si tratta di un voto contro l’anarchia violenta delle milizie, gli arresti arbitrari, la frammentazione tribale di una società profondamente segnata da 42 anni di dittatura. L’obiettivo delle elezioni è sostanzialmente uno: legittimare una nuova autorità centrale capace di unificare lo Stato e mettere in moto gli apparati amministrativi.
Su La Repubblica il reportage dalla Libia è firmato dall’islamologo francese Gilles Kepel. Che esordisce parlando di come il voto viene vissuto in Cirenaica: alcuni lo vivono con frustrazione, perché temono di venir marginalizzati dalla capitale, dal momento che la Cirenaica è meno popolata della Tripolitania ed avrà dunque meno deputati. “Qui a Bengasi è nata la primavera libica, i cirenaici non vorrebbero una eccessiva centralizzazione, anche per ragioni economiche, visto che qui viene estratto gran parte del petrolio”. Per molti libici – scrive Kepel – il voto rappresenta la speranza di uscire dal caos degli scontri tra le diverse milizie. E cita un aneddoto rivelatore: “sui muri tunisini ed egiziani c’è scritto dappertutto: ‘il popolo vuole la fine del regime’. Ma non sui muri libici. Quando ho chiesto come mai ad alcuni amici, questi mi hanno risposto: perché da noi non c’era alcun sistema da abbattere.C’erano solo i riccioli del colonnello”.
Anche Il Sole 24 Ore ha un inviato in Libia, ed è Roberto Bongiorni: l’agenda islamica è un elemento comune a molti candidati, ed ha il sapore demagogico, non c’è destra, sinistra o centro. Generalizzando, i partiti si possono dividere in tre gruppi. I partiti laici, o comunque filooccidentali (tra cui il vecchio Fronte nazionale di salvezza, formato da membri della diaspora ma non molto popolare), quelli islamici, tra cui i moderati sembrano più accreditati, e infine un caotico gruppo di indipendenti. L’articolo è esattamente un viaggio tra i partiti in lizza.
Su La Stampa un reportage dall’Ohio racconta Obama tra gli operai di questo Stato: a quattro mesi dall’election day Obama sceglie un bus tour a tappe forzate tra Ohio e Pennsylvanya, per chiedere la rielezione, indicando in Romney e nella concorrenza sleale cinese gli avvesari da battere. Attraversa la rust belt del Midwest, dove la crisi delle manifatture ha sferzato di puù una classe media che ora inizia a risollevarsi grazie alla ripresa dell’auto. Lo accolgono a Toledo i familiari di operai Gm, Ford e Chrysler, e gli gridano “four more years”. Il rilancio dell’auto è il cavallo di battaglia del tour che inaugura lo slogan betting on America, scommettere sull’America, perché nella sola area di Toledo ha consentito di creare nell’ultimo anno 5900 posti di lavoro. Nella città di Maumeee Obama dice: “Mitt Romney voleva la bancarotta dell’auto, ma noi l’abbiamo salvata. Ora la concorrenza sleale cinese minaccia la ripresa dell’auto”. In contemporanea con il bus tour gli Usa hanno presentato un ricorso al Wto contro i dazi imposti da Pechino alla importazione di fuoristrada made in Usa assemblati proprio a Toledo.
E poi
Alle pagine R2 della cultura una intervista al filosofo americano Michael Walzer sul fenomeno di Occupy Wall Street: “C’è una parte ormai consistente della popolazione, negli Stati Uniti, che pensa che il livello di disuguaglianza sia ormai diventato insopportabile”. Manca un vero progetto politico? Walzer ammette: “è vero che Occupy Wall Street è stato segnato da una forte ideologia anarchica, dalla mancanza di leader e di programmi, ma questo non è il compito dei movimenti di protesta. Dovrebbero essere i polici, soprattutto quelli democratici, a interpretare i movimenti”. C’è un filo comune che lega Occupy e le Primavere Arabe? Walzer: “Occupy non ha avuto come obiettivo quello di rovesciare i tiranni e si è sviluppato all’interno di un sistema democratico. Un po’ come è avvenuto in Spagna e in Israele. Nei Paesi arabi, soprattutto in Libia e in Siria, dove è scoppiata una vera e propria guerra civile, la situazione è molto diversa. Vedo analogie soprattutto a livello generazionale, è stata le generazione più giovane, quella di Facebook, di Twitter, a nutrire le rivolte in Tunisia e in Egitto, un po’ come è avvenuto in molti Paesi occidentali”; ma Walzer teme che i gruppi che hanno guidato le rivolte “siano uno strato molto sottile, ed esterno, all’interno delle società della primavera araba”, “non hanno particolari legami con le campagne, e con la gente delle periferie urbane povere”, “temo che i tiranni, come sta già succedendo, vengano sostituiti da partiti islamici di orientamento vario: partiti non liberali, non laici, probabilmente più moderati rispetto agli islamici in Iran”.
di Ada Pagliarulo e Paolo Martini