Charlie, sfida al terrore

Le aperture
Il Corriere della Sera: “La polizia li conosceva da anni”. “Mobilitati 88 mila uomini nelle ricerche vicino alla capitale”. “Nuova sparatoria, uccisa una agente”. “La grande caccia ai due presunti killer”. “Una indagine su di loro fu archiviata nel 2012”. In prima anche molti commenti: Aldo Cazzullo (“Le mille matite per la libertà”), Piero Ostellino (“Troppo deboli e tolleranti con l’estremismo islamico”), Gian Arturo Ferrari (“Noi isolati e sotto scorta per i Versi di Rushdie”) e Bernard-Henry Lévy (“Ma non alziamo le mura di una fortezza assediata”). In prima anche un articolo di Stefano Montefiori: “Huellebecq non promuoverà il nuovo libro”, ovvero “il romanzo sul trionfo musulmano”.
Nella parte alta della prima la notizia dell’annuncio del Presidente dell Bce Draghi: “Effetto Bce sulle Borse. Draghi: ‘Pronti ad agire'”.

La Repubblica: “Charlie, sfida al terrore”, “Il giornale dopo la strage: ‘Torniamo subito in edicola’. Solidarietà da tutto il mondo”, “Caccia ai killer della jihad casa per casa in Piccardia. Mobilitati 88mila agenti”, “Scontro sulla sicurezza, i fratelli assassini erano sotto controllo dal 2008”.
A centro pagina una foto della manifestazione di solidarietà a “Charlie Hebdo” ieri a New York.
In taglio basso: “Il massacro di Boko Haram, 2 mila morti in Nigeria”.
A fondo pagina anche la corsa al Colle e la politica italiana: “Bersani: per il Colle ripartiamo da Prodi. Renzi: un presidente per le riforme”.

La Stampa ha in copertina undici vignette di solidarietà dedicate alla strage di Charlie Hebdo e, a fondo pagina, il “Buongiorno” di Massimo Gramellini: “Checkpoint Charlie”.
La copertina avvolge la prima pagina.
I titoli di apertura: “Parigi, la grande caccia ai terroristi”, “In campo 88 mila uomini per catturare i fratelli islamisti Chérif e Said Kouachi”. E la foto a centro pagina illustra questa caccia, con il massiccio dispiegamento di forze di polizia.
Di spalla a destra: “Draghi spinge le Borse: Bce comprerà i titoli di Stato”, “Monito alla Grecia”. Poi il richiamo ad un’intervista al “falco” della Cdu tedesca Michale Fuchs, che ammonisce: “’Atene paghi o esca dall’Ue’”.
E sulla politica italiana: “Quirinale, l’ipotesi primarie scuote il Pd”, “Bersani rilancia Prodi”.
In prima anche “la strage islamista” in Nigeria, “in duemila uccisi dai Boko Haram”.

Il Fatto: “Il giorno degli sciacalli”, “Mentre la Francia si ferma e spegne le sue luci (comprese quelle della Tour Eiffel), i due assassini di Charlie Hebdo tengono in scacco 88 mila agenti. Marine Le Pen invoca la pena di morte. E in Italia la figura peggiore la fanno Salvini (che attacca il Papa) e la Rai di Gubitosi (che non dedica nessuno speciale alla tragedia di Parigi)”.
In taglio basso, le notizie dalla Nigeria: “Boko Haram, mattanza nei villaggi”, “Si temono 2.000 morti”.
Sulla politica italiana: “Re Giorgio deve ancora testimoniare sulle stragi”. Al processo “Borsellino-quater” la deposizione è prevista per febbraio: “la Corte di Caltanissetta si appresta a convocarlo su richiesta di Salvatore, fratello del giudice ucciso. E stavolta non sarà sentito a domicilio: essendo ormai un ‘ex’, dovrà andare in aula”.

Il Giornale: “I macellai islamici: li abbiamo in casa”. “I fanatici che hanno addestrato i terroristi di Parigi frequentavano la moschea di Milano”. “E tra i musulmani italiani c’è chi giustifica la strage”. Sulle ricerche: “Ancora in fuga. Novantamila agenti non riescono a trovare due killer”.
L’editoriale: “Non eravate americani, ora non siete Charlie”.
A fondo pagina: “‘Compreremo titoli di Stato’. Draghi parla, le Borse volano”. Accanto: “Renzi stoppato dai suoi fa saltare la riforma del fisco”.

Il Sole 24 Ore offre una inchiesta: “Petrolio e racket, così si finanzia il nuovo terrorismo”, con le firme di Claudio Gatti e Marco Moussanet. “I miliziani dell’Isis sfruttano l’estrazione del greggio, i reperti archeologici e le estorsioni nei territori che sono sotto il loro controllo”.  Il titolo più grande è per Draghi che “fa volare le Borse: ‘Acquistiamo titoli di Stato’. Piazza Affari a +3,7 per cento, l’euro cade sotto 1,18 dollari”. “Conti ‘flessibili’, la Commissione apre. La spesa per i fondi Ue accelera al 70,7 per cento”. “Aggiustamenti meno severi per i Paesi più penalizzati dalla crisi”.

Charlie Hebdo: la strage e la caccia all’uomo

Alla strage presso la sede di Charlie Hebdo La Repubblica dedica le prime 17 pagine. Bernardo Valli, inviato a Parigi, scrive che “l’attacco di Parigi spaventa l’Europa, impreparata alla guerra lanciata dal jihad”, “Errori nella sicurezza, indagini ancora in alto mare e previsioni dell’Intelligence spesso smentite. Il Vecchio Continente scopre di non essere pronto alla sfida lanciata dai terroristi. I dodici morti in pieno giorno, nel cuore della grande capitale, sono il segno di un conflitto che le società democratiche non sanno davvero come affrontare”. Scrive ancora Valli che la strage “ha colto di sorpresa, benché tanti segnali, non soltanto in Francia, annunciassero attentati imminenti da parte di fondamentalisti e ‘lupi solitari’”. Il quotidiano si occupa anche delle reazioni nel mondo politico francese: “Destra e sinistra unite nella Francia in lutto. Ma la Le Pen rilancia: ‘Ora la pena di morte’”. E sulla stessa pagina i lettori troveranno un’intervista a Wallerand de Saint Just, tesoriere del Front National: “Da tempo diciamo che bisogna chiudere le frontiere, controllare l’immigrazione e istituire la pena di morte per i terroristi e per chi uccide i poliziotti”. Per quel che riguarda la pena di morte, spiega che sul tema il Front National chiede un referendum: “e poi basta con i tagli alle forze di sicurezza iniziati da Sarkozy”. Ritiene che Hollande abbia responsabilità pwer l’attentato? “In Francia da tempo i presidenti di sinistra hanno paura di essere accusati si razzismo quando attaccano il terrorismo”. Alle pagine seguenti, Daniele Mastrogiacomo, inviato a Reims, ricostruisce il percorso e la storia dei due killer sospettati: “Dalla provincia alla jihad, il ‘viaggio di sangue’ dei fratelli Chérif e Said”, “Dalle consegne di pizza all’arruolamento in Siria, qui nei sobborghi di Reims i due killer hanno fatto il loro ‘salto di qualità’. E nel 2008 erano già ‘noti’ alla polizia”. Se ne occupa anche Adriano Sofri: “I giovani rapper tra Islam e violenza, diventati eroi delle banlieue”, “Chérif Kouachi, uno dei due killer di Parigi, nel 2005 si esibiva in rime di suo conio. ‘John’ il boia dell’Is è un dj. Ed è di pochi giorni fa il brano controverso di Médine che però si dissocia dal massacro”. Spiega Sofri che pochi giorni prima del massacro di Charlie Hebdo, il più famoso rapper francese, il profeta dei giovani islamisti Médine, un franco-algerino di Le Havre, aveva fatto uscire un nuovo brano, intitolato -con un gioco di parole sulla laicità- “Don’t Laik”: dove la laicità diventa il nemico numero uno, un feticcio bigotto. Alle pagine seguenti, Anais Ginori racconta da Parigi la vicenda di Ahmed Merabet, il poliziotto freddato a terra dai due killer. Christophe Crepin, un dirigente di polizia, ricorda come fosse “entusiasta del suo lavoro” e spiega: “aveva origini tunisine ma era francese. Era un musulmano praticante. Frequentava la moschea”, “Era un poliziotto del quartiere amato da tutti”. A pagina 16, ancora su La Repubblica, un’intervista allo scrittore francese Daniel Pennac, che dice: “Solo ora capiamo che per le nostre guerre lontane rischiamo di morire qui a casa”, “La Francia ha esportato il conflitto in Paesi come Mali e Afghanistan, credendo che gli estremisti non avrebbero colpito. C’è un solo rimedio: combattere sempre violenza e intolleranza”. Alla pagina precedente, un’intervista a Massimo Cacciari: “Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”, “Mancano leader politici all’altezza. Errore madornale additare l’Islam come nemico”.
Su La Stampa: “Chérif, il rapper donnaiolo, convertito da imam e carcerati”, “Il minore dei fratelli-killer – scrive l’inviato a Parigi Alberto Mattioli- aveva tentato di andare in Iraq e di far evadere uno stragista”. Lo stragista cui si fa riferimento è Smain Ait Ali Belkacem, che sta scontando un ergastolo per gli attentati alla metro di Parigi del 1995. Il “retroscena” firmato da Maurizio Molinari, corrispondente da Gerusalemme: “Il traffico andata e ritorno ‘sull’autostrada turca’ della jihad”, “le reclute agganciate sul web passano da Istanbul. In Siria e Iraq i campi per trasformarle in combattenti”. Francesca Paci, a pagina 8 de La Stampa, interpella il filosofo algerino Hamid Zanaz, secondo cui “l’Islam dei libri e l’Islam come ideologia sono incompatibili con modernità e democrazia, ma i musulmani possono integrarsi a patto di rileggere i testi sacri”. Vale a dire che l’Islam moderato non esiste ma i musulmani moderati sì? “la comunità musulmana -risponde il filosofo- non è monolitica. Chi è religioso e vive in Occidente senza passare alla violenza è moderato”, “per quanto l’intellighenzia occidentale l’abbia negato a lungo, c’è uno scontro di civiltà e vi siamo in mezzo”. Farid el Asri, docente di Islam politico all’università di Rabat e a quella belga di Louvain, sottolinea invece che “circa 15 milioni di musulmani vivono in Occidente senza ammazzare nessuno”.
La Stampa intervista Federica Mogherini, Alto Rappresentante della Politica Estera dell’Ue: “Non cediamo agli impulsi. La Ue difenda i valori della convivenza”, “Bisogna separare la parola ‘terrorismo’ da Islam”.
Su Il Fatto: “Hebdo, gli assassini erano schedati, ora sono fantasmi”, “I membri del commando sfuggono alla caccia organizzata da 88 mila uomini in Piccardia”. E si dà conto dell’attacco ad alcune moschee (a Le Mans, a Port-la-Nouvelle).
Sul Giornale si parla di una “pista italiana” a proposito dei due ricercati in Francia  e si ricorda che uno dei due ricercati, Cherif Kouachi ha conosciuto un carcere “Boubaker Al-Hakim, nome di guerra Abou Mouqatel”, “veterano dell’Iraq” , esponente “della cupola della guerra santa tunisina guidata da Londra da Seifallah Ben Hassine, nome di battaglia Abou Iyadh. La rete ha addentellati anche in Italia con il ‘gruppo di Milano’, che frequenta la moschea di viale Jenner. Gli uomini di Abu Iyadh nel nord Italia sono Sami Ben Khemais Essid and Mehdi Kammoun, che finiscono in una famosa inchiesta dell’allora pm Stefano Dambruoso. Ambedue vengono condannati per i complotti di Al Qaida in Europa e poi espulsi in Tunisia dove finiscono in carcere. Grazie alla primavera araba escono di prigione grazie ad un’amnistia. Stessa sorte riservata al capo Abou Iyadh ed Al Hakim, mentore dei sospetti terroristi dell’Hebdo, espulso dalla Francia”.
Un altro articolo del quotidiano si sofferma sul documento di uno dei terroristi che sarebbe stato ritrovato nella macchina: “Spara ma lascia i documenti. La strana storia del jihadista sorvegliato dai Servizi. Fu reclutato per l’Irak, finì in galera e gli 007 lo seguivano. La carta d’identità? Fumo per i media”. Secondo il quotidiano “la storia della carta d’identità ‘dimenticata’ sull’automobile della fuga da uno dei terroristi suona come un ‘escamotage’ per i media” da parte delle forze di sicurezza francesi, visto che “altrimenti sarebbe stato impossibile spiegare come si è arrivati in poche ore a identificare i sospetti assassini. In realtà l’antiterrorismo conosceva bene i fratelli Jihad. Non è escluso che dopo l’attacco all’Hebdo sia bastato mettere insieme le informazioni già in possesso per puntare su di loro”.
Sul Sole 24 Ore: “Il fallimento dei servizi di intelligence”. Dove si legge che “i fratelli Kouachi non erano certo degli sconosciuti, per i servizi e la polizia francesi. Tutt’altro. In particolare il più giovane dei due, il trentaduenne Chérif – che si faceva chiamare Abou Issen – una decina di anni fa era passato dalla piccola delinquenza al radicalismo islamico grazie all’indottrinamento, in una moschea dell’Est parigino, di un imam, Farid Benyettou, che aveva costituito una delle prime organizzazioni di reclutamento di giovani da inviare a combattere nelle fila di al-Qaeda in Iraq”. Anche in questo articolo si citano i legami di Cherif con “l’autore dell’uccisione di due politici tunisini, Boubaker Al-Hakim, che secondo il ministero dell’Interno di Tunisi è ‘un terrorista tra i più pericolosi’. Infine, i due fratelli sono da anni nella no-fly list delle autorità americane”. Insomma: ce n’è abbastanza “per chiedersi legittimamente come mai Chérif Kouachi non fosse sottoposto a uno stretto controllo da parte dell’intelligence e della polizia. Per domandarsi com’è possibile che abbia potuto organizzare e realizzare un attacco come quello di mercoledì scorso a Charlie Hebdo”. Ma la realtà è che il “nemico terrorista è profondamente cambiato”, si organizza in “mini cellule familiari”, e facilmente sfugge al controllo dei servizi.
Sul Corriere Claudio Gatti scrive che “nessuno lo dice” ma “la realtà è che tredici anni di sforzi per tagliare i finanziamenti al terrorismo islamista non hanno prodotto grandi risultati. Anzi”.
Si cita David Cohen, sottosegretario per il Terrorismo e l’intelligence finanziaria del Tesoro americano e una sua audizione al Congresso Usa: “‘Isis ha accumulato un patrimonio senza precedenti (…) ed è l’organizzazione terroristica meglio finanziata di sempre'”.
L’Isis avrebbe un “caveau pieno di denaro e di metalli preziosi”, dopo la presa di Mosul “le sue truppe hanno infatti preso il controllo di centinaia di milioni di dollari depositati in banca e di altre centinaia in beni di diversa natura”. Avrebbe ricevuto negli ultimi due anni “oltre 40 milioni di dollari in finanziamenti provenienti dai Paese del Golfo Persico, in particolare Arabia Saudita, Qatar e Kuwait”. Quelli dall’Arabia Saudita sarebbero stati arginati, non altrettanto quelli da Qatar e Kuwait. E tuttavia secondo Cohen “i fondi provenienti da benefattori esteri costituiscono una fetta quasi insignificante. Una ben maggiore fonte di alimentazione finanziaria è data dal contrabbando di greggio prodotto nei pozzi siriani e nord-iracheni”. Per vendre questo greggio l’Isis si è dotato delle necessarie infrastrutture, “incluso primitive raffinerie basate in Siria dove il greggio estratto nei pressi di Mosul viene trasportato per essere trattato”. Un’altra parte finisce di contrabbando in Turchia: “dalla cittadina siriana di Ezmerin si diramano circa 500 micro-oleodotti che arrivano al di là del confine, dove poi il petrolio viene venduto alla popolazione locale oppure caricato su autobotti per la vendita altrove”. Altre fondi di finanziamento: il contrabbando di reperti e i riscatti sui rapimenti, che avrebbero prodotto solo nel 2014 circa 20 milioni di dollari .
Ieri c’è stata anche una strage ad opera del gruppo islamista nigeriano Boko Haram. Sul Sole 24 Ore, sotto il titolo “gli altri fronti”, si racconta della offensiva armata che “travolge la città chiave di Baga”, nello Stato nord orientale di Borno, in Nigeria. “Si temono 2 mila morti nella offensiva che ha distrutto 16 villaggi in pochi giorni”. La fonte è un ufficiale militare del posto citato dalla BBC.
Su La Repubblica, pagina 23: “Nuovo orrore in Nigeria, vendetta di Boko Haram, rasi al suolo 16 villaggi, si temono 2mila morti”, “Gli estremisti conquistano la città di Baga, nel nord del Paese. Migliaia in fuga: ‘Ci hanno picchiato e sparato addosso’”. Ed è Paolo G. Brera ad occuparsene, ricordando che tra cinque settimane si vota per le elezioni presidenziali e che il presidente Goodluck Jonathan punta ad essere riconfermato.
La Stampa: “Nigeria, duemila uccisi dagli islamisti”. Giordano Stabile scrive che il presidente Jonathan è destinato a perdere le elezioni: ha cercato di debellare gli islamisti con un esercito di soldati senza paga e ufficiali che si arricchivano alle loro spalle. I prezzi del petrolio dimezzati hanno aperto voragini nel bilancio. La macchia nera del califfato scrive Stabile- si allarga inesorabile.
Sul Corriere Guido Olimpio racconta “la marcia feroce di un movimento senza veri rivali”, il gruppo Boko Haram guidato da Abubakar Shekau  che conterebbe su 15 mila miliziani, che domina sul Nordoves della Nigeria e “destabilizza il Nordest”.

Le vignette e l’Islam

Un capitolo a parte riguarda il dibattito sulla opportunità di pubblicare le vignette. La Repubblica: “Mostrare o censurare i disegni di Charlie Hebdo, ora i media si dividono”, “Il Washingto Post: ‘Non intendiamo offendere l’Islam’. Ma il Pulitzer Carl Bernstein lo critica. Il Times: ‘Siamo codardi’”. E il quotidiano riproduce l’appello lanciato da Timothy Garton Ash ai giornali europei: ‘Pubblicare le vignette, no al veto degli assassini”, “Il saggista britannico -spiega il quotidiano- chiede una settimana di solidarietà a difesa della libertà di parola”.
Su La Stampa: “Ma per l’America i disegni sul Profeta mancano di rispetto”, “La Casa Bianca nel 2012 le aveva stigmatizzate. E oggi i cattolici commentano: sono offensive”. Il quotidiano intervista il vignettista di Le Monde, Plantu: “Continueremo a prendere in giro -dice- Con le matite denunciamo le violenze”. Spiega Plantu: “A noi non interessa sapere se Gesù Cristo ha camminato sulle acque o cosa ha fatto Maometto. Quello che ci interessa è: c’è una donna lapidata? Non è un problema di religione ma di diritti umani, e prendiamo matite e pennarelli per denunciare le violenze”.
Sul Corriere Piero Ostellino (“Troppo tolleranti con l’integralismo islamico”) scrive che “l’Islam è una concezione teocratica della convivenza civile”, e dice che toccherebbe non all’Occidente riconoscere le ragioni dell’Islam ma a questi “riconoscere e accettare le ragioni dell’Occidente. Il guaio però è che non le capisce”. Ad eliminare le ragioni del conflitto insomma dovrebbe essere l’Islam “producendo la propria uscita dal medioevo nel quale sono ancora profondamente immersi e l’ingresso nella modernità”.
Sullo stesso quotidiano Bernard-Henry Lévy invita il suo Paese a non alzare muri: “È l’ora di smetterla, una volta per tutte, con i discorsi concilianti che ci propinano da tanto tempo gli idioti ammaestrati di un islamismo che si stempera nella sociologia della miseria e dell’esasperazione. Ma più di ogni altra cosa è venuta l’ora – adesso o mai più – di mostrare quel sangue freddo repubblicano che ci impedirà, pur guardando in faccia il male, di abbandonarci allo stato di emergenza e alle sue funeste semplificazioni. La Francia può – anzi, deve – ricompattare le difese che non siano, però, le mura di una fortezza assediata”.
Su Il Fatto: “E in Danimarca stavolta vince la paura”, “Il ‘Jyllands Posten’, il primo a pubblicare vignette blasfeme su Maometto nel 2005, va controcorrente”. Il direttore Joern Mikkelsen spiega: “Mantengo aperte tutte le possibilità, ma questo non è il momento giusto”.
Su Il Fatto anche un’intervista al sociologo di origine algerina Khaled Fouad Allam, il cui ultimo libro, “Il jihadista della porta accanto”, verrà rieditato con un aggiornamento sulla strage di Parigi. Dice Allam: “Uccidono per dare un senso alla vita”. Vorrebbero imporre un altro sistema “di valori e di vita”, spiega. Quale sistema? “Quello dell’Islam politico basato sui valori della sharia (la legge coranica) e non su quelli creati dall’Illuminismo: uguaglianza e libertà. Lo slogan dell’Islam politico è ‘islamizzare la democrazia’, ma per noi occidentali la democrazia è o non è”, “secondo questi militanti della jihad, soprattutto la Francia rappresenta la terra dei miscredenti perché lì c’è stata la rivoluzione francese, perché lì c’è stata la separazione tra politica e religione, ovvero la cosiddetta secolarizzazione”, “credo che ad agire sia innanzitutto il vuoto di significato, l’emarginazione viene dopo”.
Su Il Giornale Magdi Allam si sofferma sul fatto che nessuno “dei sedicenti moderati, pur condonnando la strage di Charlie Hebdo, ha difeso il diritto alla libertà d’espressione e per esempio twittato jesuischarlie. Perché nessun musulmano potrebbe contraddire sia il divieto assoluto di rappresentazione di Maometto sia il reato di blasfemia, che secondo la sharia sono entrambi. Allam ricorda che una legge sulla blasfemia è “ufficiale in Pakistan” e che è “di fatto vigente in tutti i Paesi musulmani con pene più o meno severe.
Ancora su Il Fatto, a commentare -anche- la strage di Charlie Hebdo è Dario Fo: “Ma quale Islam, questi assassini violano il Corano”. C’è una regia in questo nuovo terrorismo? “Non c’è una regia. Si spara e si uccide a libero soggetto, nella mancanza di una qualsiasi strategia. Gente che parla meglio il francese di quanto non parli l’arabo. Vanno ad addestrarsi in Siria e hanno una preparazione tecnica perfetta, poi tornano a Parigi e sbagliano indirizzo”.

Bce

Sul Corriere si dà conto della risposta scritta del Presidente Bce Mario Draghi all’europarlamentare irlandese Flanagan: “Il consiglio direttivo (della Bce ndr) rimane unanime nel suo impegno ad adottare nuovi strumenti non convenzionali nell’ambito del proprio mandato, qualora diventi necessario affrontare ulteriormente i rischi di un periodo di bassa inflazione troppo prolungato”. Inoltre, monitorerà con attenzione “i rischi per le prospettive evolutive dei prezzi nel medio termine” e “vigilerà con particolare attenzione sull’impatto più ampio dei recenti sviluppi del prezzo del petrolio sulle tendenze d’inflazione di medio termine nell’area euro”. Quanto all’accesso delle banche greche ai fondi della Bce, questo continuerà solo a seguito di una “conclusione positiva dell’attuale programma di salvataggio e di un successivo accordo” con la troika per estendere il sostegno finanziario. Tra le misure – scrive il quotidiano citando ancora Draghi – c’è anche l’acquisto di titoli di Stato. “L’attesa dei mercati dunque è tutta per il Quantitative easing”, scrive il quotidiano.
Secondo Morya Longo sul Sole i dati positivi della Borsa di ieri significano che “i mercati festeggiano per le manovre della Bce. E brindano per la ‘pazienza’ della Fed. Ma guardando al futuro, restano scettici sulla ripresa economica e sull’inflazione”. E insomma “dietro le quinte alcuni indicatori dimostrano che gli investitori non hanno alcuna fiducia sulla ripresa dell’economia mondiale nel lungo termine. E non ripongono grande speranza neppure sulla locomotiva americana. A gettare un’ombra sinistra sul futuro economico sono gli indicatori sull’inflazione attesa nei prossimi 10 anni: perché sono tutti sui minimi. E continuano a scendere”.

Politica

Sul Corriere: “Il blitz della minoranza contro Renzi”, ovvero la richiesta di Massimo Mucchetti al premier, ieri in Senato, di chiarire “per filo e per segno” come la norma sul 3 per cento sia finita nel decreto fiscale. Nello stesso articolo si dà conto delle dichiarazioni di ieri di Pierluigi Bersani, sia su questo argomento che sul prossimo presidente della Repubblica: “L’ho detto un mese fa che l’elezione del Presidente deve partire da Prodi, dal sanare la ferita dei 101 franchi tiratori che sanguina ancora”.
Sulla elezione del Presidente della Repubblica Lina Palmerini sul Sole scrive che oggi “sembra di essere piuttosto distanti da quel momento in cui non solo il Pd – tutto – ma anche Forza Italia (allora Pdl) votarono convintamente l’attuale capo dello Stato e lo schema delle larghe intese”. Si ricorda che ieri Bersani “ha lanciato di nuovo” il nome di Prodi, ma in gioco prima dei nomi c’è la questione di quali riforme condivise fare: “Se l’obiettivo della corsa al Quirinale è colpire Renzi, è chiaro che si sceglierà anche la discontinuità con un metodo seguito finora. A meno che non si pensi di azzerare le riforme. O tornare sullo schema di leggi a colpi di maggioranza”.
Sul Sole (“Tre buone ragioni per dire no a un rinvio”) Dino Pesole torna sul tema del decreto fiscale, che rischia di slittare ancora, e che invece sarebbe opportuno varare presto. Innanzitutto perché “va risolto in fretta” il “‘pasticcio del 3 per cento'”, ma anche perché lo stato in cui “versa la nostra economia non ammette deroghe o proroghe di sorta”.
Michele Salvati sul Corriere definisce “incidente” quello sul decreto fiscale ma augura a Matteo Renzi di poter proseguire “senza incidenti” con la sua “Renzinomics”, basata su “quattro pilastri” come l’aumento dei consumi (80 euro), la riforma della Pa, la riforma del lavoro e la riforma elettorale.
Sul Sole viene intervistato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Delrio, che parla dei fondi strutturali. Con la certificazione della spesa, dice, “abbiamo evitato due miliardi di disimpegno dei fondi strutturali”, e ora la sfida per il 2015 è spendere i 13,5 miliardi restanti della programmazione, di cui nove nel mezzogiorno. “La spesa dei fondi vale per il sud 2 punti di Pil”, il titolo.

E poi

Su La Repubblica, alle pagine R2: “Fracking. Se l’America ferma le trivelle”. Federico Rampini racconta: “New York dice basta alla tecnica di estrazione del gas dalle rocce che ha rivoluzionato il mercato: ‘Troppi rischi per la salute dei cittadini’. Gli ambientalisti plaudono ma la lobby delle energie fossili non si arrende”.

redazione grey-panthers:
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