Caos Pd, stop al tesseramento

Le aperture

La Repubblica: “Caos Pd, stop al tesseramento. Blitz dei falchi nel Pdl, il Cavaliere accelera la resa dei conti”. A centro pagina: “Berlusconi, frase shock sulla Shoah, ‘i miei figli come ebrei sotto Hitler’”. Di spalla, il direttore Ezio Mauro: “La tomba segreta di Erik Priebke”.

Il Corriere della Sera: “Il Pdl a un passo dalla rottura. Più vicina la resa dei conti, Consiglio nazionale il 16. Documenti degli alfaniani in difesa del governo”. E poi: “Berlusconi: i miei figli come ebrei sotto Hitler. Proteste e polemiche”.

La Stampa: “Tasse sul lavoro, mossa di Letta. ‘Niente taglio, i soldi ai poveri’. Il premier pronto a cambiare schema: no alle detrazioni in busta paga, sì a interventi per il sociale”

A centro pagina: “De Blasio: la mia New York di sinistra”.

Il Fatto quotidiano: “Il Pd: blocchiamo le iscrizioni. I falsi tesserati sono già dentro. Quando è troppo tardi e i giochi (sporchi) ono fatti, la segreteria dei Democratici vorrebbe fermare le adesioni. Ma sono contrari due dei quattro candidati: Pittella e Civati”.

L’Unità: “Epifani: stop al tesseramento. Appello ai candidati del congresso Pd:è la soluzione più seria per riportare serenità. Sulla proposta lanciata da Cuperlo l’ok di Renzi. Ma ora parliamo di cose serie. Civati e Pittella per ora dicono no”. A centro pagina: “Berlusconi: i miei figli come ebrei sotto Hitler”. E la foto è per il trionfo del Democratico De Blasio, eletto sindaco di New York: “La grande mela rossa”.

Libero: “Di che si occupa la Camera. Ecco il verbale del magna-magna. Con tutti i guai che ha il Paese, i deputati sprecano una mattinata a parlare dei loro ‘problemi’ col ristorante di Montecitorio. Tra strafalcioni e assurdità’”. Ieri a Montecitorio si discuteva il Bilancio interno dell’Assemblea. A centro pagina: “Caro Cavaliere, lasci perdere l’Olocausto”.

Il Giornale: “La moglie di Renzi fa la furbetta. Moralisti presi in castagna. Pizzicata su una corsia preferenziale col pass del marito. E nel Pd tesseramento chiuso per troppi brogli”. A centro pagina: “Forza Italia, si decide. E Berlusconi accelera”.

Partiti

Su La Stampa, una analisi dei flussi del voto sulle elezioni 2013: “giovani e operai, il segreto del boom dei 5 Stelle”. Sono i dati emersi dalla ricerca pubblicata da Il Mulino condotta dall’Italian election network study, con il contributo di varie università e dell’Istituto Cattaneo. “Voto amaro, disincanto e crisi economica nelle elezioni 2013”. Una ricerca fondata su quasi 10 mila interviste che, come scrive il quotidiano, parte dal primo dato eclatante di quelle elezioni, ovvero la mobilità senza precedenti degli elettori: il 50 per cento degli elettori ha cambiato partito, ma solo il 3 per cento ha passato le linee tra le due aree principali. Tra i disoccupati in cerca di prima occupazione il Pd allora guidato da Bersani viene superato persino dal Pdl. Il 44,6 per cento dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni ha votato per Grillo. Quanto al Pdl, chi non lo ha votato, lo ha fatto in larga parte per insofferenza nei confronti di Berlusconi: con ciò dimostrando quanto sia stretta, ma non impraticabile, la strada degli eventuali scissionisti alfaniani, visto che chi ha rivotato Pdl continua a stimare Berlusconi e all’88 per cento è pronto a rifarlo, mentre chi lo ha lasciato ha dato un giudizio negativo sul Cavaliere e sul suo governo.

Pdl

Su Il Giornale: “Silvio accelera su Forza Italia: è ora di decidere con chi stare”, “Berlcoi anticipa il consiglio nazionale al 16 novembre: vuole arrivare al voto sulla decadenza con una leadershio forte. L’idea dell’appoggio esterno al governo”. Insomma, secondo il quotidiano, l’intenzione del Cavaliere è quella di far sì che si arrivi alla “conta interna” prima del voto sulla Legge di Stabilità e di quello sulla sua decadenza. Il 16 novembre i delegati si riuniranno con il seguente ordine del giorno: “relazione del presidente” e a seguire “adempimenti conseguenti l’Ufficio di presidenza del 25 ottobre”. Traduzione de Il Giornale: “immediato ritorno a Forza Italia con azzeramento degli incarichi e pieni poteri a Silvio Berlusconi (che redistribuirà in seguito le deleghe)”. La Stampa: “Berlusconi anticipa la resa dei conti per stanare Alfano”, “Passa la linea dei falchi, consiglio nazionale il 16 novembre”. Anche qui si sottolinea come il gioco delle date collochi questa kermesse proprio a ridosso delle due scadenze parlamentari molto speciali :legge di Stabilità e voto sulla decadenza, fissato per il 27 novembre. “Impossibile che di larghe intese non si parli-scrive La Stampa- Anzi, tutto fa immaginare che il raduno chiarirà una volta per tutte la posizione del partito rispetto al governo: continuerà a sostenerlo? La convocazione del Gran Consiglio berlusconiano avrà l’effetto di mettere un termine al balletto crisi-non crisi. E visto che su 800 consiglieri, oltre 600 hanno sottoscritto le posizioni ‘lealiste’, la convocazione suona come un ultimatum quasi provocatorio per Alfano e per gli altri ‘innovatori’, come amano definirsi: se si arriverà alla conta, l’esito sarà scontato”.

“Caro Silvio, così diventerai prigioniero dei falchi”, dice il deputato Pdl Fabrizio Cicchitto in una lettera indirizzata a Berlusconi e pubblicata dal Corriere della Sera. Cicchitto viene anche intervistato da La Repubblica e dice: “Così è una scelta di rottura ma non ci intimidiscono”, è “una mossa azzardata, improvvida”.

Su Il Foglio, l’ex coordinatore del Pdl Sandro Bondi, intervistato, processa la classe dirigente berlusconiana e dice : “Questa storia è finita”, “dietro Berlusconi non c’era niente”. Se la prende con i ministri Pdl e “tutti gli altri che senza Berlusconi non sarebbero stati niente”, “soltanto delle rape. Almeno Casini e Fini avevan il coraggio di affrontare il Dottore nel fulgore dei suoi anni migliori, oggi è facile. Ma si illudono, spariranno anche loro, spariremo tutti”. Alfano, dice Bondi, “aspetta che il Dottore venga eliminato”, “non crede in niente, non ha una sola idea, attende che la mela del potere gli caschi tra le mani”.

Bondi ne scrive anche su La Stampa, che riassume così il suo intervento: “I filogovernativi? Anacronistici e senza idee”. Anacronistici perché per quel che riguarda il modello di partito, la visione “più aperta e moderna” è sempre stata quella di Berlusconi, “ispirata al modello americano, mentre anche fra i filogovernativi prevale ancora un modello di partito novecentesco, burocratico e centralista”.

Berlusconi

Spiega il Corriere della Sera che l’ennesima anticipazione del libro di Bruno Vespa ha scatenato un pandemonio al quale lo stesso Cavaliere è stato costretto a porre rimedio in serata, denunciando una “polemica strumentale” ai suoi danni. La frase che ha scatenato la polemica (“i miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo tutti addosso”) ha provocato la reazione del presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Gattegna: “Ogni paragone con le vicende della famiglia Berlusconi è non soltanto inappropriato e incomprensibile, ma anche offensivo della memoria di chi fu privato di ogni diritto, e, dopo atroci e indicibili sofferenze, della vita stessa”. Nella sua rettifica serale il Cavaliere ha respinto l’accusa di essere un antisemita, confermando la sua profonda amicizia verso Israele.

Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma: “Non credo che Berlusconi debba delle scuse agli ebrei, ma semmai a se stesso”.

La Repubblica intervista il premio Nobel per la pace Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio: “Ho letto la frase – dice Wiesel – certo l’uomo deve soffrire molto per dire qualcosa di così assurdo e indegno”. Lei ha mai incontrato Berlusconi di persona? “Sì, l’ho incontrato personalmente un paio di anni fa e mi fece tutto sommato una buona impressione, anche sul tema della amicizia con Israele. Mai allora avrei immaginato che egli avrebbe in futuro pronunciato frasi simili su un tema così importante, per la storia, il presente e il futuro della umanità. I politici devono sempre ricordare il legame tra il presente e quel passato che non passa”. Il quotidiano intervista anche Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di Auschwitz, che ricorda come, nel gennaio 2013, alla cerimonia di inaugurazione del binario 21 a Milano, da dove partirono oltre 600 ebrei verso Auschwitz, Berlusconi si fosse addormentato in prima fila: “Nella stessa occasione disse che Mussolini aveva fatto tante cose, anche egregie”. Come spiega queste dichiarazioni? “E’ un pericoloso mix di cose diverse: ignoranza della tragedia, indifferenza, cinismo”.

Mattia Feltri su La Stampa ricorda l’amicizia “solida nonostante le gaffes” del Cavaliere con Israele. Racconta del gelo della comunità ebraica romana nel marzo 2008, in occasione di una visita di Berlusconi, che decise di raccontare una barzelletta. “Un ebreo va dal rabbino e gli dice: durante la guerra ho nascosto uno dei nostri. Bravo, risponde il rabbino. Sì, ma gli ho fatto pagare 1000 dollari al giorno. Ah, un po’ tanto ma fa niente. Sì, ma ora dovrei dirgli che la guerra è finita?”. Ci fu un attimo di silenzio, poi una risata collettiva della comunità ebraica romana. Con gli ebrei Berlusconi ha avuto sempre un rapporto formidabile, il Jerusalem Post dava atto che il governo Berlusconi fosse il più israeliano che ci fosse stato in Italia. Feltri sottolinea che Berlusconi ha ribaltato la tradizione filo-araba italiana, fiorente nella Dc per tradizione cattolica e nel Pci per amore di Marx. Netanyahu elogiò Rosa, la madre di Berlusconi, che aveva salvato una ragazza ebrea incinta. E questo malgrado gaffe come quella del binario 21 a Milano. Ma nella biografia di Berlusconi “rimane prevalente, e di molto, il tratto filosemita che l’Anti Defamation League gli riconobbe nel 2003, assegnandogli il premio di statista dell’anno.

Un corsivo in prima pagina su Il Giornale (“Agli amici ebrei”) è dedicato alle parole del Cavaliere: “Dire di sentirsi come gli ebrei durante il nazismo non è un offesa. Qualche esempio fa capire meglio: diciamo tutti ‘è una Caporetto’ per parlare della sconfitta della Juve o del Milan, ma non vogliamo certo paragonare la disfatta dei calciatori alla morte dei soldati italiani in quella battaglia. Oppure diciamo ‘mi mettono in croce’ per stigmatizzare chi ci tedia, ma non pensiamo di essere Cristo”.

Pd

“Epifani: fermiamo le iscrizioni”, titola La Stampa. Su L’Unità, Claudio Sardo: “chiudere il tesseramento prima che inizi il voto nei circoli Pd, come proposto da Guglielm Epifani, sarebbe un segno di trasparenza. E anche un’opportunità autocritica per aver consentito, nella fase dei congressi provinciali, l’umiliante oltraggio agli iscritti da parte di truppe cammellate di vario ceppo. Speriamo che qualche opportunista non impedisca questo atto di pulizia, in extremis, gettando altro fango sull’ultimo partito che ancora resiste con questo nome”.

La Repubblica intervista Matteo Renzi, che dice: “Che pasticcio con gli iscritti, ero contro certe regole folli, ma ora voglio parlare dell’Italia”. E sulla Cancellieri dice: “non mi ha convinto”. “Sicuramente ci sono situazioni di tesseramento gonfiato -dice Renzi- Non ne so niente, non me ne sono mai occupato, ma alcuni sono evidenti. sarebbe stato meglio intervenire sui singoli casi, e ce sono, piuttosto che sparare nel mucchio. Però non sarò io a preoccuparmi delle regole. Voglio parlare dell’Italia. L’importante è che si dica forte e chiaro: l’8 dicembre possono votare tutti, tesserati e non”. Pensa che i suoi avversari puntino ad una partecipazione ridotta alle primarie? “Non credo. Ma mi ha colpito l’atteggiamento del comitato Cuperlo. Hanno voluto mettere delle bandierine sui segretari provinciali. Una gara assurda. I segretari provinciali non sono collegati ai candidati nazionali. Io stesso ho votato a Firenze u candidato bravo e mio amico che alle primarie sceglierà Cuperlo”.

Segnaliamo che su La Repubblica, alle pagine R2 ci si occupa proprio del tema “tessere”: “quello strumento democratico usato nelle lotte per il potere”. Se ne occupa Guido Crainz scrivendo che si sono fossilizzati gruppi dirigenti di “micronotabili” nutriti di vecchie logiche e impegnati a fare qualunque cosa tranne che a costruire un progetto comune. E Filippo Ceccarelli descrive “magie e conteggi al tempo della Prima Repubblica”

Internazionale

La Stampa parla di una “maggioranza bulgara” per descrivere quella che ha votato per Bill De Blasio alla carica di sindaco di New York. Ma l’ostacolo principale al successo della sua sindacatura potrebbe arrivare dal suo stesso campo. Sia per l’ombra dell’ultimo sindaco Democratico di New York, il nero David Dinkins, che fu accusato di debolezza in relazione agli assalti alla comunità ebrea ortodossa nell’agosto 1991, aprendo le porte a Rudolph Giuliani; sia per la rivalità con il governatore Andrew Cuomo, che vorrebbe abbassare le tasse, laddove De Blasio vorrebbe innalzarle per chi guadagna più di mezzo milione di dollari l’anno. De Blasio eredita un bilancio con un buco da 2 miliardi di dollari, e la richiesta dei sindacati comunali di ricevere aumenti retroattivi per 6,3 miliardi.

Vittorio Zucconi su La Repubblica scrive che tre mesi fa, all’inizio della campagna elettorale, appena due newyorkesi su 10 conoscevano il nome di De Blasio, che è, “il democratico classico, vintage, di sinistra, che vuole più eguaglianza, più giustizia per i dimenticati e per gli ultimi più distribuzione della ricchezza raggrumata nei castelli del potere finanziario a Times Square e nelle rocche di Park Avenue e della East Side. E però anche newyorkese ‘no nonsense’, poche storie, che prima solidarizza con i manifestanti di Occupy Wall Street per lamentare la concentrazione di denaro nei pochi rapaci, e poi si affretta a chiarire che ‘Wall Street è la principale industria della nostra città’ apparentemente contraddicendosi. Uno che sa bene da che parte è imburrata la fetta del pane e da che parte sarebbe tempo di spalmare più burro”.

La Repubblica intervista lo scrittore statunitense Paul Auster, che sottolinea come De Blasio non abbia paura di essere molto liberal. Come mai una città liberal come New York ha avuto per più di venti anni sindaci non democratici? Auster: “Dinkins, l’ultimo sindaco Democratico, era un uomo perbene ma non aveva il polso per guidare una città così complicata, e gestì in maniera molto debole gli scontri razziali del 1991 a Crown Height. Giuliani lucrò su quella vicenda, promettendo sicurezza e tolleranza zero. Poi, alla fine del suo mandato, ci fu l’11 settembre, e prevalse un indipendente abile e miliardario come Bloomberg, che cambiò le regole per rimanere sindaco per tre mandati. C’è da dire anche che i candidati della sinistra non sono sempre stati all’altezza”. Secondo Auster il fatto che a New York ormai solo un terzo della popolazione sia bianca “è uno dei fattori che ha segnato di più questo successo. La città è in perenne cambiamento e De Blasio lo interpreta in prima persona”.

Sulla elezione di De Blasio da segnalare una intervista a Nadia Urbinati su L’Unità. La docente di Teoria politica alla Columbia University parla di una vittoria straordinaria, di un messaggio che va molto oltre New York, e che “ci dice moltissimo sulla necessità di ricostruire una cultura politica della sinistra”. “Mi preme sottolineare l’utilizzo del termine ‘socialdemocrazia’ nel discorso di ringraziamento del neo-sindaco De Blasio – spiega Urbinati. “Se lo stato sociale si ritira la democrazia non ce la fa. Ha bisogno di Stato e di giustizia sociale. Per questo auspico che la sinistra, in particolare quella italiana, colga questa occasione per reagire e uscire da una visione remissiva e fatalista del mondo”. Non è un’eresia parlare di socialdemocrazia negli Usa? “Sì, ma questa è una città diversa dal resto dell’America. Qui l’acqua è davvero un bene pubblico, a differenza che in Italia, dove c’è stato un referendum totalmente ignorato. Per certi versi potremmo dire che New York è più ‘socialista’ di tante città italiane”.

La Urbinati commenta la vittoria di De Blasio anche su La Repubblica: “I doveri della sinistra” è il titolo di una sua analisi in cui stigmatizza il “giacobinismo liberistico che ha conquistato il Palazzo d’Inverno prima a Londra e Washington per mettere al bando in pochi anni la socialdemocrazia nel vecchio continente”.

Stefano Folli su Il Sole 24 Ore sottolinea come il caso De Blasio irrompa a sinistra cambiando il dibattito sui populismi. Scrive Folli: “Il nuovo sindaco è l’espressione moderna di una sinistra americana che è senza dubbio populista, secondo i canoni di certa dialettica politica di casa nostra. Ma perché il populista De Blasio è una figura positiva, mentre gli altri, quelli evocati da Letta, sono figure negative da combattere prima e dopo le elezioni europee? Vero è che gli americani hanno eletto un sindaco, non hanno mandato a Bruxelles un manipolo di avversari dell’Europa, e poi l’Ue di oggi annaspa nella deflazione imposta dalle politiche di rigore, e questo rende insidiosa l’esplosione del populismo, che in realtà può trasformarsi in una rivolta contro i limiti della democrazia e dei suoi istituti. Ma soprattutto, secondo Folli, il populismo ‘buono’ di De Blasio è figlio dell’ottimismo americano ma anche della ripresa dell’economia oltreoceano. Il populismo ‘cattivo’, diciamo così, del vecchio Continente, è invece figlio della paura e della incertezza. Il primo appartiene ad una illustre storia politica, di cui l’espressione più alta fu il Roosevelt della Grande depressione. Il secondo appartiene alla storia del 900, ed ha accompagnato quasi tutte le svolte autoritarie, a cominciare dal nostro fascismo”.

Su Il Giornale, ne scrive Anselma Dell’Olio: “De Blasio, sindaco dei ricchi che si vergognano di esserlo”. “Il primo cittadino è la perfetta espressione della metropoli più omologata a sinistra al mondo. Dell’Olio sottolinea che gli otto anni di Giuliani, seguiti dai 12 di Bloomberg hanno consegnato a De Blasio una città rinata, luccicante, splendida, con quartieri una volta infrequentabili diventati parco giochi per famiglie (come Times Square). Ma le esigenze cambiano, ed ora si narra del divario crescente tra ricchi e poveri, degli affitti stratosferiri a Manhattan: veri o esagerati, questi temi più l’odio per Wall Street e le banche hanno decretato il successo di un candidato Democratico”.

E’ stato rieletto a valanga anche il governatore del New Jersey, il Repubblicano Chris Christie, che esplicitamente punta alla Casa Bianca. In uno Stato liberal come il New Jersey, dove i Dem hanno 700 mila iscritti più dei Repubblicani e Obama ha vinto con uno scarto di 17 punti appena un anno fa, Christie rappresenta una coalizione assai simile a quella di Barack: è fondata su minoranze, done e indipendenti. A queste categorie Christie, da conservatore, somma uomini e moderati. Se a ciò si aggiunge, scrive ancora La Stampa, che Christie ha posizioni diverse dai Liberal su nozze gay, aborto e salario minimo, non è difficile arrivare alla deduzione che il governatore rappresenta una eccezione in America, come dice l’ex presidente della Camera Gingrich, spiegando che “vince per il carisma personale, più che per la piattaforma politica”.

Su La Stampa Gian Enrico Rusconi si occupa della trattativa in corso in Germania per la formazione della Grosse Koalition, dopo l’intervista che il quotidiano ha realizzato ieri con l’ex Cancelliere socialdemocratico Schroeder. Se i socialdemocratici condividessero le affermazioni di Schroeder (“Angela Merkel ha commesso errori terribili”, “la discussione sulla politica monetaria è completamente sbagliata, come è sbagliata la posizione della Bundesbank, l’austerità è il prodotto di una certa ideologia, anche in Merkel”), scrive Rusconi, dovrebbero alzarsi immediatamente e lasciare la sala. Rusconi ricorda quindi l’agenda 2010 che caratterizzò gli anni di Schroeder, politica di riforme che portarono però impopolarità e che l’Spd pagò in termini di consensi.

Sul Corriere il corrispondente da Gerusalemme dà conto del rapporto stilato da un team di medici dell’ospedale di Losanna, frutto delle ricerche sui resti del leader palestinese Arafat: hanno analizzato, su richiesta delle vedova, le ossa prelevate dal mausoleo a Ramallah un anno fa. Hanno trovato tracce di polonio 210, diciotto volte superiori alla norma. Dice la vedova, Suha: “è stato organizzato un complotto”, “spero che l’Autorità palestinese vada avanti con l’inchiesta e indaghi ogni aspetto di quello che è accaduto”. Perché la presenza del Polonio, spiega il Corriere, trasforma la fine di Arafat anche in un complotto di palazzo. E’ quel che pensa la vedova, allorché dice: “gli esperti mi hanno detto che la sostanza deve essere stata messa nel suo caffé o thé”, sottolinea ancora sul Corriere il corrispondente Davide Frattini, aggiungendo che è quel che pensa anche il presidente della commissione palestinese incaricata di investigare sulla morte del raìs, visto che è convinto che l’avvelenamento sia avvenuto con l’aiuto di qualcuno che faceva parte del circolo ristretto.

I servizi segreti israeliani, spiega La Repubblica, hanno sempre negato ogni coinvolgimento e ieri il governo ha parlato di “un’interminabile telenovela senza alcuna credibilità”. “C’è stato senza dubbio un traditore”, dice la Preventive Security, ovvero i servizi segreti palestinesi. Arafat mangiava pochissimo: una volta al giorno i suoi body guards andavano in un popolare ristorante di Ramallah a prendere l’unico pasto della giornata.

E poi

Il direttore de La Repubblica Ezio Mauro offre ai lettori uno “scoop”: “ecco il cimitero dove lo Stato italiano ha sepolto in gran segreto il boia delle Fosse Ardeatine”, Erik Priebke. “Si trova in un carcere. e sulla croce c’è solo un numero. Così la famiglia potrà ricordarlo. E tutti gli altri dimenticarlo”

 

redazione grey-panthers:
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