Le aperture
Corriere della Sera: “Balzo di Marine Le Pen, segnale all’Europa”, “Il voto utile nelle città boccia Hollande. Il Fronte Nazionale mai così forte in Francia”.
A centro pagina: “Super dirigenti tutti premiati: si danno il massimo in pagella”.
La Repubblica: “Spunta bonus in busta paga”, “L’ipotesi di una nuova misura al posto dei tagli Irpef”.
Di spalla a destra: “Amministrative francesi, schiaffo a Hollande, trionfa l’estrema destra”.
A centro pagina: “Piano carceri, soldi ai detenuti in caso di sovraffollamento”, “Per evitare multe della corte di Strasburgo. Dieci euro al giorno e condanne ridotte del 20%”.
La Stampa: “Francia, boom dell’estrema destra”, “Il partito della Le Pen in testa in diverse città. Crolla la sinistra di Hollande”.
In apertura a sinistra: “Renzi: il voto alle Europee non è su di me”.
Il Fatto: “Giustizia U.S.A e getta”, “Vicenza: Stupri, pestaggi, incidenti stradali. I soldati della base americana sono accusati di reati comuni”. Ma secondo il quotidiano si sottraggono alla giustizia italiana.
Il Giornale: “Dopo la casa i treni”, “Dietro le polemiche sullo stipendio del capo delle Ferrovie ci sono alleanze e interessi: Moretti è il grande nemico dei grandi amici del premier, Montezemolo e Della Valle”.
Francia
Scrive La Stampa che in Francia al primo turno delle elezioni amministrative il Front National di Marine Le Pen “dilaga nel Sud e conquista il primo posto in città impreviste”, per la sinistra di governo di Hollande “la disfatta è totale”, con i candidati dell’Ump (destra moderata) in testa a Parigi, dove Nathalie Kosciuko-Morizet è davanti di un punto abbondante alla candidata della sinistra Anne Hidalgo: andranno al ballottaggio. E l’astensione ha raggiunto la cifra record del 39%. Alle pagine interne si racconta proprio questo “testa a testa” tra le due donne per la conquista di Parigi: la socialista Hidalgo arriva da una famiglia di esuli franchisti, l’altra è erede della nobiltà. La sigla del suo nome è Nkm (e in Francia è segno di successo l’acquisizione di una sigla, fa notare il quotidiano) e aveva il compito più difficile: impersonare una ‘bobo’ di destra (bourgeois-bohème, parigini benestanti che generalmente votano a sinistra, e “Parigi è il loro regno”). Il quotidiano intervista l’ex direttore di Le Monde Edwy Plenel, secondo cui il presidente Hollande “vive in una bolla” e “non parla più alla sua gente”.
La Repubblica scrive che Marine Le Pen, “la Dama di ferro che cavalca la crisi” ha puntato sull’emergenza lavoro e i sentimenti anti-euro, con un cambio di strategia rispetto al padre e fondatore del Front National. Bernardo Valli, nella sua corrispondenza da Parigi, riferisce che il premier Ayrault ha definito inquietante il voto ed ha esortato gli elettori “di sinistra e di progresso” e mobilitarsi per arginarlo al secondo turno, domenica prossima. E’ stato evocato il Fronte Repubblicano, ovvero la tradizionale unione dei partiti democratici contro il Front National, un tempo apertamente xenofobo e reso più presentabile da Marine Le Pen.
Il Corriere della Sera intervista Dominique Reyné, politologo di Sciences-Po: “Alleanza anti Le Pne? Non ci sarà: è finita l’era del patto repubblicano”.
Governo
Scrive La Repubblica che il governo accelera sulla messa a punto del Documenti di Economia e Finanza, passaggio indispensabile per la definizione del Piano nazionale di riforme: entrambi i documenti devono essere inviati a Bruxelles entro il 15 aprile. Ma Palazzo Chigi punta a chiuderli entro la prima settimana del mese, per aver più tempo per scrivere i decreti legge che andranno a tagliare il cuneo fiscale. L’accelerazione è obbligata per assicurare, come promesso, gli 80 euro extra nel cedolino di maggio. La novità, secondo il quotidiano, è che potrebbero non arrivare attraverso il canale delle detrazioni Irpef, ma attraverso un “sistema di contributi” da rendere visibili tra le voci dello stipendio: un bonus. Che avrebbe il pregio di concentrarsi su alcune fasce di reddito prescelte.
Su La Stampa: “Lavoro, Senato e Irpef. La road map di Renzo per la sfida del voto Ue”, “Il premier vuole l’ok alle misure entro maggio”. Domani pomeriggio approda al Senato la legge che dovrebbe portare all’abolizione delle Province; il giorno seguente verrà incardinato in commissione il disegno di legge governativo sul lavoro ; venerdì Renzo si presenterà alla Direzione Pd con i progetti per l’abolizione del Senato e la riforma del titolo V della Costituzione. Entro il 10 aprile verrà presentato il Def e di conseguenza dovrebbe esser varato il decreto che consentirà di inserire il taglio dell’Irpef nelle buste paga di maggio e quello dell’Irap.
Su Il Giornale, Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia, insiste: “Il grande bluff del premier: non ha i soldi per fare i tagli”, “20 miliardi di coperture sono incerte”.
In un “colloquio” con La Stampa lo stesso Renzi dice: “Il mio nome nel simbolo? Vedremo alle Politiche”, “Alle Europee non ci sarà, per il 2018 c’è tempo…”.
Governo e supermanager
Il Corriere riferisce le parole pronunciate dal patron della Tod’s (nonché socio di Ntv, diretto concorrente delle Ferrovie con Italo), Diego Della Valle, sull’amministratore delegato di Ferrovie Mauro Moretti: se avesse “il coraggio e la dignità di andarsene, troverebbe milion di italiani pronti ad accompagnarlo a casa: sono tutti quei passeggeri costretti a viaggiare su treni vecchi e ad usare stazioni decrepite e poco sicure”, “è ora di alzare il velo sulle Ferrovie e su Moretti, per capire perché il Palazzo è succube di questo signore”. Il quotidiano riferisce anche come il premier abbia insistito sulla propria linea, in materia di stipendi dei supermanager: “noi non molliamo”, “resisteranno a parole, ma poi ovviamente è naturale che le cose cambino. Non è possibile che l’a.d. Di una società guadagni mille volte più dell’ultimo operaio, torniamo ad un principio di giustizia sociale”.
In prima su Il Giornale il direttore Alessandro Sallusti scrive che non si capisce “l’accanimento” del premier nei confronti di Moretti, “quasi lo stipendio fosse un pretesto per costringerlo alle dimissioni. E perché mai? La verità è che Moretti è il nemico numero uno degli amici numero uno di Renzo. Parlo di Luca Montezemolo e Diego Della Valle, i due bravi e prestigiosi imprenditori che hanno cercato, con il progetto Italo, di togliere allo Stato il monopolio delle Ferrovie. Un’operazione da miliardi di euro che stenta a decollare proprio per l’opposizione, i dispetti e le ripicche di Moretti, che ha blindato a suo favore la rete italiana.
Renzi versus Confindustria e Cgil
La Stampa si occupa delle tensioni tra governo e parti sociali. Con un’intervista alla segretaria generale Cgil Susanna Camusso: “Le posizioni di Renzi indeboliscono la democrazia”, “non puoi semplificare una società complessa perché prima o poi tutta questa semplificazione ti si ritorce contro. La rappresentanza sociale è qualcosa che arricchisce e rafforza la democrazia”. Il quotidiano ricorda in un altro articolo che il premier definisce “la strana coppia” quella formata da Camusso e dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. E raccoglie le opinioni di alcuni esperti e rappresentanti di associazioni di categoria, secondo cui esiste insofferenza verso i rituali di sindacati e Confindustria (“La concertazione ha deluso e il premier se ne approfitta”). Roberto Weber, di Swg, dice che “c’è sintonia” tra quel che dice il presidente del Consiglio e quel pezzo di popolo italiano, “lui non parla ai suoi, ma ad una platea molto più ampia e trasversale. E non tollera elementi di interposizione tra sé e il destinatario del suo messaggio”.
Sul Corriere, ampio spazio per questo tema: “Renzi: le parti sociali? Mi interessano le famiglie”, “Il premier su Cgil e Confindustria: si arrabbiano da vent’anni, ce ne faremo una ragione”. E nella stessa pagina, un’intervista a Giampaolo Galli, che è stato direttore generale di Confindustria e ora è deputato Pd: “Da Camusso al massimo non ostilità. Ma Squinzi può essere un sostegno”. Sottolinea che “Squinzi è per il cambiamento. Confindustria è sempre stata a favore della riduzione della spesa pubblica”. Ma “come ogni imprenditore, Squinzi crede più ai fatti che alle promesse”. Sull’insofferenza di Renzi per l’idea di dover concordare ogni cambiamento Galli dice: “il presidente del Consiglio ha molte riserve sulla concertazione. E’ sacrosanto dire che il governo decide anche senza il consenso delle parti sociali. Certo, se c’è il consenso è meglio”.
La Repubblica intervista il giuslavorista e ora senatore di Scelta Civica Pietro Ichino: “La concertazione è una palla al piede, parti sociali in ritardo sulle riforme”, “l’esecutivo fa bene a procedere e a non concedere veti”. Ichino spiega così il fuoco incrociato di Confindustria e sindacati: “E’ possibile che questo accada quando, per esempio, il governo si propone di correggere incisivamente una prassi consolidata seguita dalle associazioni sindacali e imprenditoriali da decenni per affrontare le crisi occupazionali aziendali: quella che consiste nel fingere che i rapporti di lavoro continuino indefinitamente, mettendo i lavoratori in freezer per anni, con la cassa integrazione. Oggi Cisl e Uil hanno capito che occorre cambiare sistema; una parte della Cgil e una parte della Confindustria su questo punto sono invece in ritardo. Proprio su questo terreno si cimenta molto incisivamente il governo, proponendosi di portare a compimento la riforma degli ammortizzatori sociali delineata nella legge Fornero del 2012: quella che Squinzi, non a caso, definì elegantemente ‘una boiata’”.
Moro
I quotidiani riferiscono ampiamente delle ultime rivelazioni giunte sul caso Moro da un ex ispettore della Digos. La Repubblica: “’In via Fani due agenti dei Servizi, furono loro a sparare per coprire le Br’. L’indagine di un ex poliziotto: trovai gli uomini sulla Honda, ma mi fermarono”.
La Stampa: “Moro, il giallo degli agenti segreti, ‘In via Fani con il commando Br’. Un ex ispettore di polizia: aiutarono i brigatisti a fuggire. I dubbi della Procura di Roma”,
Giovanni Pellegrino, ex presidente della Commissione d’inchiesta sul caso Moro, intervistato da La Repubblica, afferma: “Mi sembra solo l’ennesima bufala, chi esplose quei colpi era un pasticcione”, “L’ipotesi più credibile è che i centauri fossero esponenti del mondo dell’Autonomia in cerca di gloria”. Sullo stesso quotidiano, un commento del deputato Pd Miguel Gotor, secondo cui si tratta del “solito depistaggio dei Servizi sul rapimento di Moro”. Lo ribadisce anche in un’intervista a La Stampa: “Non ci sono prove e i due protagonisti sono morti da tempo”, “Forse facevano parte del partito armato”.
Sul Corriere se ne occupa Giovanni Bianconi: “Il giallo della lettera sugli 007 che coprono i brigatisti in via Fani”, “La rivelazione di un ex poliziotto. Ma l’inchiesta è già archiviata”.