Le aperture
Il Corriere della Sera: “Gli aerei italiani contro Gheddafi”. “Distrutta una parte del bunker. Tripoli proclama il cessate il fuoco. Frattini: spero che sia vero”. “Continuano i raid, proteste della Lega Araba. Il Colonnello: Roma ci ha tradito, ma vinceremo”. L’editoriale, firmato da Angelo Panebianco, sottolinea come, tra i Paesi della coalizione che ha deciso l’intervento in Libia, “noi siamo quelli che rischiamo di più, non solo economicamente, ma anche fisicamente, essendo il Paese più vicino e più esposto alle ritorsioni”. Panebianco sottolinea come si sia in guerra, ma in una guerra di cui “non sono chiare le finalità e gli sbocchi possibili”. Al momento c’è un obiettivo minimo, che è quello di impedire a Gheddafi di sopraffare l’intera Cirenaica, che potrebbe portare alla definitiva divisione della Libia in due tronconi. L’obiettivo di massima è “Infliggere così tanti danni” alle forze di Gheddafi “da spingere le tribù che lo sostengono a ‘scaricarlo’ consentendo così la riunificazione del Paese”.
La Repubblica: “Caccia italiani sulla Libia. Nuove incursioni su Tripoli, bombardato il bunker di Gheddafi. Il Colonnello in tv: ‘Traditi da Roma’, poi annuncia il cessate il fuoco”. “In azione sei Tornano, colpite postazioni anti-aeree. Sequestrato un nostro rimorchiatore”. A centro pagina: “Sulla missione si spacca la maggioranza”. “Calderoli: blocchiamo i profughi, no a operazione neo colonialista. D’Alema sì all’Onu, Vendola contrario”.
Il Giornale: “L’Italia si blinda. La Libia annuncia il cessate il fuoco, ma nessuno ci crede. La Lega araba fa dietrofront e non vuole più le bombe Nato. I nostri aerei in volo, a terra ora la paura è il terrorismo: presidiate città e basi. E intanto Bossi è sempre più scontento”. “Occhio agli estremisti” è il titolo dell’editoriale firmato da Magdi Cristiano Allam. Un altro commento in prima pagina è firmato da Marcello Veneziani: “Quanti sbagli per un obiettovo giusto. Cacciare un dittatore fuori controllo è una buona causa, ma l’attacco militare resta un errore”.
La Stampa, oltre alla notizia dei “caccia italiani in azione”, dà un’altra notizia: “Gli Usa: la Nato non avrà il comando”. E si sofferma anche sul “giallo” su un rimorchiatore napoletano con a bordo 11 uomini bloccato al porto di Tripoli. Secondo il ministro Frattini “potrebbe essere un sequestro”.
Libia
Lucio Caracciolo, su La Repubblica, ricorda che “al netto della retorica, questa è la guerra di Nicolas Sarkozy” che l’ha voluta perché “è convinto che sarà breve, trionfale, e gli garantirà anche la rielezione all’Eliseo”. Caracciolo si augura che Sarkozy abbia ragione anche perché l’Italia non è in condizione di sostenere un conflitto prolungato. Una guerra breve e la caduta di Gheddafi permetterebbero all’Italia di condividere, dal suo “strapuntino”, un “sia pur transitorio e ingannevole sentimento di successo”. Potremmo rivendicare di aver contribuito alla caduta di un odioso dittatore, cancellando l’umiliante immagine del bacio dell’anello da parte di Berlusconi, e “ci illuderemo per un attimo che gli alleati vorranno premiare la nostra relativa fedeltà, ad esempio proteggendo il primato dell’Eni nella nostra ex colonia, e contribuendo al contenimento dei flussi migratori via canale di Sicilia. Salvo poi accorgerci che così non sarà”.
E’ il concetto che Caracciolo ribadisce anche in una intervista all’Unità, così sintetizzata: “Comunque vada noi non potremmo uscirne vincitori”. Per lo studioso, se cade il regime, “i successori privilegeranno i rapporti con Parigi e Londra, minimizzando il nostro ruolo nel cambiamento”. Rispetto alle rivolte nel mondo arabo, Caracciolo sottolinea che “la guerra in Libia è una storia a parte. L’errore di collocarla in una serie, dopo la Tunisia e l’Egitto, è alla radice della scelta franco-americana di entrare in guerra. Non esiste una rivoluzione popolare in Libia, e comunque Gheddafi può contare ancora su un forte consenso in Tripolitania. Consenso che sarà rafforzato dall’attacco occidentale. Non ci resta che sperare che qualcuno dei suoi lo faccia fuori, ma mi pare una speranza ardita”.
Libia e Usa
Su La Stampa viene intervistato Robert Kaplan, stratega militare del Center for a new american security. Secondo Kaplan “stanno tentando di far cadere Gheddafi come avvenne per Milosevic negli anni 90”, usando la no-fly zone come si fece nel 1994 in Bosnia e nel 1999 in Kosovo. “Ma quelle due operazioni militari non portarono alla caduta di Milosevic, perché una no-fly zone non è in grado di innescare cambiamenti di regime”. Le no-fly zone indebolirono Milosevic, e a quanto appare l’intento è simile. Ma “la Libia non è la Serbia”, “non ha forze politiche interne”, prevalgono le identità regionali, e il rischio è che l’attacco produca una situazione di stallo, con “la Cirenaica in mano ai ribelli, la Tripolitania a Gheddafi” e la regione sconosciuta del Fezzan, desertica, “senza governo”. Quanto agli Usa, “Obama finora è stato molto abile”, scegliendo di sostenere una una coalizione senza guidarla”, cosa che lo mette al riparo “dal rischio di fallimento”. Se l’operazione non riuscirà saranno gli alleati europei, in primo luogo Francia e Gran Bretagna, ad averne una maggiore responsabilità, visto che hanno spinto per l’attacco. Kaplan infine esclude che siano presenti truppe speciali Usa in Libia: “Questa volta il presidente si è impegnato con gli americani a non mandare truppe di terra, dunque se avesse ordinato l’impiego di unità speciali avrebbe mentito alla nazione. E mi pare improbabile”.
Un altro articolo dello stesso quotidiano si sofferma proprio sulla strategia Usa: “Un nuovo Kosovo per Obama. La dottrina del Presidente ricalca l’intervento del 1999. L’America non vuole rovesciare Gheddafi”. L’articolo spiega anche che la coalizione “stenta a nascere” anche per la posizione della Lega Araba, che “dopo aver appoggiato la no fly zone nel vertice di sabato scorso, nelle ultime 24 ore, con il segretario Moussa, ha fatto marcia indietro”. Tra i 22 Stati membri solo il Qatar ha accettato di partecipare all’attacco. Sebbene Obama abbia chiamato lo sceicco degli Emirati Arabi e Biden abbia fatto lo stesso con i leader di Algeria e Kuwait, non sono arrivati altri assensi. L’Unione Africana, con un comunicato, ha chiesto “l’immediata fine di tutti gli attacchi alla Libia”.
Libia e Lega Araba
Su L’Unità un articolo approfondisce le perplessità della Lega Araba: “abbiamo detto sì alla no-fly zone, non alle bombe”, ha detto il Segretario Moussa ieri alla agenzia di stampa egiziana Mena. Non sono solo le 64 vittime collaterali dei bombardamenti su Tripoli e Bengasi a far vacillare l’appoggio all’operazione in corso, ma anche il fatto che è la prima volta che la Lega Araba “si assume la responsabiltà di autorizzare un’azione militare contro uno dei suoi membri”. Alla riunione dell’Eliseo di sabato, con la Clinton, non c’era l’Arabia Saudita, e la cosa è stata interpretata come un segnale. Inoltre hanno espresso netta contrarietà all’interento la Siria, lo Yemen, l’Algeria, il Sudan.
Su La Repubblica: “La Lega Araba: ‘Missione oltre i limiti'”. Ricorda il quotidiano che il segretario della Lega Araba Moussa era stato il primo esponente arabo a sostenere la no-fly zone. Moussa convocherà un vertice di emergenza della organizzazione. Casa Bianca ed Eliseo gli hanno ricordato che la risoluzione 1973, adottata dal Consiglio di sicurezza, parlava di “tutte le misure necessarie” per proteggere i civili.
La Repubblica parla anche della richiesta della Turchia, che va nel senso di una revisione dei piani operativi della Nato in Libia, alla luce delle perdite tra i civili che i bombardamenti in atto possono provocare.
Libia e Italia
Due pagine de La Repubblica sono dedicate alle ripercussioni sul piano della politica interna italiana dell’azione in Libia: “Il governo si spacca sull’intervento. La Lega: le navi respingano i profughi”. Oggi si terrà infatti un consiglio dei ministri dedicato alla questione, e La Repubblica spiega le richieste della Lega, anche con una intervista al ministro per la Semplificazione Calderoli, che ricorda: “Nel Consiglio dei ministri di venerdì avevamo avuto garanzia che prima di qualsiasi azione ci sarebbe stato un passaggio in Parlamento, e non solo nelle commissioni”. Calderoli spiega: “In Parlamento avremmo chiesto quei caveat che oggi qualche ministro dice non esserci, e avremmo votato dei documenti”. Il problema posto dalla Lega è legato ai rischi di sbarchi che, con la guerra in Libia, secondo Calderoli, “aumenteranno”.
L’intervista viene sintetizzata così dal quotidiano: “‘No ad una operazione neo colonialista, ora vogliamo il voto in Parlamento’. Calderoli contro La Russa: ‘E’ ministro della Difesa, non della Guerra’”. Il quotidiano spiega che la Lega chiede l’impegno di tutte le nazioni della coalizione a prendere una quota dei profughi; chiede poi che il blocco navale sia utilizzato per impedire esodi di massa verso il nostro Paese.
Il Giornale intervista proprio Ignazio La Russa, che dice: “Siamo lì (in Libia) con il preciso scopo di difendere la popolazione libica, quindi la missione durerà il tempo necessario a proteggerla”. Al cronista che gli ricorda come Mussolini dicesse che l’Italia “è una enorme portaerei” e che è come se ora dessimo le chiavi di casa agli eserciti stranieri, La Russa dice che “non si poteva fare altrimenti. E se la Germania si è astenuta, “noi non avremmo potuto! Proprio perché siamo noi a mettere a disposizione le basi. La nostra non sarebbe stata una astensione, ma un voto contrario, perché avremmo reso impossibile la risoluzione”.
Sulle richieste della Lega, su quote dei profughi e blocco navale anti-esodo, dice che “la discussione in Parlamento ci sarà, e proprio il Parlamento potrà chiedere queste cose. Io non solo le appoggio, ma ne sono promotore”.
E poi
L’inserto “Cose dell’altro mondo” de L’Unità contiene una intervista al fotografo di guerra del New York Times Tyler Hicks, inviato in Libia; un intervento della premio Nobel per la pace Wangari Maathai (“guerre e rivolte: lo strano silenzio dell’Unione Africana”, priva di esercito e di forze di peacekeeping), una analisi di Anne Appelbaum dedicata al nucleare (“La sicurezza non ha prezzo. E infatti non esiste”).
Su La Stampa un ritratto di José Luis Rodriguez Zapatero, in cui si spiega che il premier socialista non si ripresenterà alle elezioni del 2012. “Zapatero addio”, “tramonta l’era del premier socialista. I sondaggi lo danno perdente sui popolari”.
Sul Corriere della Sera viene recensito il libro di Paolo Bertezzolo dedicato alla strategia di Umberto Bossi verso il Vaticano e la Chiesa, dal titolo “Padroni a chiesa nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord”, “dal Wojtyla imperialista all’uso identitario del cattolicesimo”.
Su La Stampa la notizia della “condanna del Vaticano” nei confronti della fecondazione assistita, con la motivazione che “il concepimento deve avvenire in modo naturale tra coniugi, mentre gli embrioni sono persone”, come sintetizza il quotidiano.
Gian Enrico Rusconi su La Stampa torna sulla sentenza della scorsa settimana della Corte Europea di Strasburgo, e scrive che “il crocifisso non è innocuo”: “Quello che non capisco (si fa per dire) è l’entusiasmo delle gerarchie ecclesiastiche. Non si rende conto dell’equivoco che promuovendo il crocifisso come simbolo di universalismo e umanitarismo in esclusiva nazionale, negando di fatto spazio ad altri simboli religiosi, lo priva della sua specifica autenticità religiosa?”, si domanda Rusconi, sottolineando come la sentenza stabilisca in qualche modo che, in tema di religione, il criterio nazionale ha la precedenza su ogni altro. Prevarranno in Europa linee interpretative diverse da Paese a Paese, “con buona pace dell’universalismo e del messaggio cristiano, ridotto a principi generalissimi diversamente intesi e praticati a Parigi, Berlino, a Roma o ad Atene”.
(Fonte: La Rassegna italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)