Le aperture
Il Corriere della Sera: “Trionfo dei sì, un colpo al governo. L’affluenza al referendum sfiora il 57 per cento. La festa dei promotori in tutta Italia. In Borsa volano i titoli legati alle energie rinnovabili. Il 95 per cento ha scelto di cancellare le leggi su acqua e legittimo impedimento, fermato il nucleare. Bersani: il Cavaliere vada al Quirinale e si dimetta. Di Pietro: sbagliato strumentalizzare”. A centro pagina: “La Lega: stufi di prendere sberle. Maggioranza di nuovo in fibrillazione. Formigoni duro: insofferenza verso chi guida il Paese”.
La Repubblica: “Valanga di sì, schiaffo a Berlusconi. Stop al nucleare, alla privatizzazione dell’acqua e al legittimo impedimento. Festa in piazza, esulta l’opposizione. Il presidente del Consiglio: rispetteremo il voto del popolo”. “Referendum, quorum al 57 per cento. La Lega: stanchi di prendere sberle. Il Pd: il premier si dimetta”. L’editoriale, firmato dal direttore Ezio Mauro: “Il flauto magico spezzato”. A centro pagina un retroscena: “La tentazione di Bossi: crisi di governo a ottobre. Il Cavaliere rassicura i suoi: ‘Non cambia nulla’. Ma i colonnelli lumbard preparano la svolta di Pontida”.
La Stampa: “Boom di sì, messaggio al governo. Toccata quota 57 per cento, validi tutti i quesiti: è il divorzio tra il Palazzo e il Paese. Un sondaggio gela il premier: se si andasse alle urne domani per le politiche, perderebbe. Il Pd a Casini: subito al voto. Di Pietro frena”. A centro pagina: “La Lega: stufi di prendere sberle”.
Il Sole 24 Ore: “Ai referendum stravincono i sì. Votanti oltre il 55 per cento. Alt con il 95 per cento a nucleare, servizi ai privati, legittimo impedimento. Berlusconi: vado avanti, a me non c’è alternativa. La Lega: stufi di prendere sberle. Il Pd chiede le dimissioni del governo”. Una analisi del voto, firmata da Roberto D’Alimonte, è titolata: “Schiaffo bis dal Nord”.
Il Giornale: “Ha vinto la paura. Passano i referendum. Gli italiani sono andati a votare con il terrore del nucleare. E’ l’effetto del disastro atomico del Giappone. Sbaglia chi pensa che questa sia la spallata al governo. La vera sfida di Berlusconi è la riforma del fisco”. E poi: “Ecco quanto ci costano le favolette ambientaliste”. E ancora: “il trionfo del vendolismo chiude l’era dei riformisti”.
Libero: “Botta continua”, con l’immagine del premier ammaccato. “Silvio, apri la borsa. Un’altra delusione dalle urne per il presidente del Consiglio. La Lega attacca: ‘Basta sberle’. Per restare in sella Berlusconi ha un’unica via: abbassare le tasse e puntare tutto sul rilancio dell’economia”.
Il Fatto quotidiano: “26.857.452 hanno detto basta. Dopo 17 anni di sudditanza al Sultanto, gli italiani con i referendum tornano cittadini e si riprendono la Politica. Di Pietro, che ci ha creduto per primo, non infierisce sugli sconfitti: ‘Voti anche da destra’. Pd e Terzo polo: Berlusconi si dimetta. La Lega: stufi di prendere sberle”.
Il Foglio: “Guarda com’è nervosa Pechino, tra rivolte e candidati indipendenti”. Si racconta che alle elezioni amministrative previste nei prossimi mesi “in quaranta sfidano il partito comunista presentandosi da soli”. “Tecnicamente si può (ma non si deve)”. Di spalla la politica italiana: “Ecco i pochi contenti e i molti scontenti della riforma tremontiana. Il Cav sbuffa e la Lega incalza, ma le novità allo studio non prevedono una riduzione secca delle imposte”.
Politica italiana
Sul Corriere della Sera ci si sofferma sulla reazione della Lega al voto e viene intervistato Leonardo Muraro, presidente della provincia di Treviso, che dice che “sono tutti convinti dell’alleanza con il Pdl” e che semmai il problema è che “è Berlusconi ad aver perso credibilità”. Nella provincia di Treviso l’affluenza è stata del 58,8 per cento, e il presidente della Provincia dice: “Curioso come i votanti in Veneto corrispondano più o meno alle mie preferenze”.
La Stampa intervista Ignazio La Russa, che, a proposito della Lega e del tradizionale raduno di Pontida, previsto domenica 19, dove potrebbe chiedere di cancellare le missioni militari italiane per finanziare il taglio delle tasse, dice: “Quella di Bossi sarà solo facile propaganda se lo chiede da Pontida mi sta anche bene. Non otterrà quello che chiede, ma come si sa la graduale riduzione della nostra presenza in Kosovo e in Afghanistan è stata decisa con i nostri alleati, quelli delle missioni ovviamente”. Sul voto: “io non ho mai detto che non bisognava andare a votare, e in verità stavo per farlo, ma a quel punto l’affluenza era talmente alta che mi è sembrato di saltare sul carro del vincitore. Ma c’è un problema con la Lega e uno interno alla Lega. Quella frase di Maroni, non si può tirare a campare, è una legittima posizione a seguito delle amministrative. Non del referendum. Io non so, ma sono sicuro che quella posizione di Maroni sia diversa da quella di Bossi”.
Secondo Maurizio Belpietro, che firma l’editoriale di Libero, “il sentimento di insoddisfazione dell’elettorato” può essere recuperato dal governo. Ma “non bastano le chiacchiere né gli effetti speciali usati negli ultimi tempi”. Servono “alcune cose concrete”, a partire dalla riforma del fisco. Che va fatta “ma non domattina, come si pretende”. Nel frattempo “Berlusconi rinunci a aparlare di giustizia, dato che ormai quella è una battaglia persa. E Bossi lasci perdere la Libia”.
Sullo stesso quotidiano un altro ministro, Paolo Romani, spiega che “la Lega sbaglia a interpretare il risultato del referendum come una sberla politica. Perché sono andati a votare anche i loro elettori e i loro amministratori. Il referendum ha intercettato un moto trasversale ai partiti. Per questo è necessario fare scelte chiare per ripartire”.
Una analisi sul voto di ieri, sul Sole 24 Ore, si sofferma sul contributo degli elettori tradizionalmente berlusconiani. Alle elezioni del 2008 in 18 milioni di elettori hanno votato per il centrodestra, e altri 18 milioni hanno votato per l’opposizione (da Fed a Udc). In questo referendum hanno votato per il sì oltre 24 milioni sui 27 che sono andati alle urne. Una parte di questi viene dall’astensionismo, ma gli altri vengono certamente dai partiti di centrodestra”.
Stefano Folli, su Il Sole 24 Ore, sottolinea come nelle urne sia scritto “il fallimento della politica”: chi pensa che il governo e la legislatura possano andare avanti con qualche piccolo aggiustamento ha capito ben poco di quello che sta accadendo – sottolinea Folli. Ma “il problema è che nemmeno gli altri, coloro che intuiscono il cambiamento e magari lo cavalcano con la retorica delle grandi occasioni, nemmeno loro sanno dove dirigersi. Si sta aprendo un vuoto nella politica italiana, e continua a non essere chiaro chi e come riuscirà a riempirlo”. Il quarto quesito – scrive ancora Folli – quello sul legittimo impedimento, in condizioni normali difficilmente avrebbe raggiunto il quorum. Ma stavolta “si è giovato della corrente ascensionale”. Non è “in alcun modo un plebiscito per questo centrosinistra, è un voto di stanchezza che esprime voglia di cambiare”.
Su Il Giornale Vittorio Feltri definisce “insensata” l’esultanza dei referendari, non perché gli elettori siano stati sciocchi ma perché i “furbacchioni dei palazzi romani li hanno infinocchiati usando la disinformazione che vari media si sono prestati a diffondere a piene mani” sul merito dei quesiti. “Adesso, nell’euforia della falsa vittoria, gli avversari della maggioranza si sono inventati uno slogan mortuario: il berlusconismo è defunto. Spacciano un auspicio per un accadimento”. Perché “dal voto amministrativo, un paio di settimane fa, e dalla consultazione referendaria non è emersa una maggioranza, o almeno un gruppo in grado di diventarlo, ma un coacervo di illusi accomunati dalla voglia di cambiare. Cambiare cosa con cosa? Mistero”.
Secondo Giuliano Ferrara, che firma un editoriale in prima pagina su Il Foglio, “la crisi del berlusconismo c’è, e la si può leggere anche nei risultati del referendum, né si intravedono energie capaci di sanarne gli effetti con un cambiamento politico e simbolico all’altezza della situazione”.
Il segretario del Pd Bersani viene intervistato da La Repubblica e dice che il centrodestra ha “divorziato dai cittadini”. Sulla ipotesi di un governo che vari una riforma elettorale, Bersani dice che “aveva poche chances prima, ne ha poche adesso”, perché “dall’altro lato non c’è ancora nessuno che abbia immaginato un percorso alternativo, che si sia posto l’esigenza di come uscire da questa crisi”. E un governo che metta mano alla legge elettorale con Berlusconi in maggioranza, cioé con il Pdl, è “praticamente impossibile”. Bersani sottolinea anche che la metà degli elettori di centrodestra ha votato ai quesiti.
La Stampa intervista Rosy Bindi, che commenta anche il “valore politico” del voto di ieri: “Un no netto al populismo, al leaderismo, un sì chiaro alla partecipazione. Che tanta gente si sia ritrovata attorno ai quesiti referendari, non disertando le urne, è un fatto in sé. E io lo considero un messaggio importante per la politica, che aveva visto cedimenti culturali di non poco conto. Dopodiché naturalmente il voto è anche un pronunciamento forte e chiaro contro il governo. Ma riterrei sbagliato fermare l’analisi solo a questo aspetto qui”.
La direttrice de L’Unità Concita de Gregorio pone l’accento sul fatto che si sia trattato di “politica”: “Non è antipolitica velleitaria e populista. E’ politica che nasce dal basso, dai comitati di cittadini che si organizzano, che passa anche attraverso i partiti ma non solo, che è capace di disubbidire”. Gli elettori hanno imparato a dissentire dalla linea dettata dalle segreterie dei partiti, vanno a votare anche quando i loro leader dicono di no: hanno fatto come volevano, a sinistra come a destra e al centro. Inoltre, “torna al voto il partito del non voto”, quel 30 per cento di italiani che non si fida e non si identifica più con nessuno. Fondamentale la mobilitazione dei ragazzi, dei giovani, che hanno usato mezzi e linguaggio nuovo: il web, l’ironia, i videomessaggi, la satira. “Vale più una vignetta che gira in rete di un comizio”. Già con il voto delle amministrative si era certificata “la fine dell’era televisiva”: “L’inizio della fine, certo, perché ci vorrà tempo. Ma oggi non c’è chi non veda come questo voto non sia stato in alcun modo determinato dalle tv. A parte 3 o 4 dibattiti televisivi, sempre gli stessi, del referendum non ha parlato nessuno”.
Anche su Europa si analizza il ruolo della rete per la vittoria referendaria. Questa volta essa non si è limitata a fare da cassa di risonanza, da amplificatore di messaggi e strategie confezionate altrove, ma si è confermata come la vera quarta dimensione di questa stagione politica”. Europa si sofferma anche sulla mobilitazione dal basso dei cattolici per la vittoria del referendum: “Nonostante anni e anni in cui sono stati mortificati da un soffocante clericalismo di ritorno, i laici credenti dimostrano di esserci”, e da moltissimi anni l’universo cattolico non si mostrava così compatto e attivo. Diversamente da quanto accade nelle elezioni politiche – sottolinea Europa – dove i credenti risultano spesso imprigionati dai riti più o meno velati della gerarchia e dai ricatti del centrodestra, il referendum è diventato l’occasione per liberare energie che da tanto tempo aspettano di potersi attivare.
Sulle conseguenze del voto indagano approfonditamente tanto il Corriere della Sera che il Sole 24 Ore. Sul quotidiano di Confindustria si sottolinea come per acqua, rifiuti e trasporto locale si torni al predominio del “in house”, ovvero dell’affidamento diretto alle municipalizzate. Un predominio che nelle risorse idriche riguarda il 60 per cento delle attuali gestioni, a scapito dei concessionari privati e delle spa miste, che hanno bisogno di una gara per acquisire la gestione. La gara non è più obbligatoria, sono le aziende pubbliche controllate al 100 per cento dagli enti locali e affidatarie del servizio senza alcuna gara i veri vincitori del referendum.
Il Corriere della Sera sottolinea che, ora che ha vinto il sì sull’acqua, restano i problemi: 10 milioni di italiani che dispongono di acqua ad intermittenza, il 20 per cento senza fognature, il 30 per cento non allacciato ad impianti di depurazione; una percentuale di dispersione dell’acqua che- per esempio – nell’acquedotto pugliese sfiora il 50 per cento. La prima domanda da porsi è: chi deciderà gli investimenti. Risposta: i 92 Ato (Ambiti territoriali ottimali, creati dalla legge Galli). E con quali denari si finanzieranno le opere? I referendari duri e puri citano le public authorities americane, che si finanziano emettendo obbligazioni garantite dai governi locali. Ma gli Usa non hanno vincoli esterni sul debito pubblico.
Anche La Repubblica si occupa delle conseguenze della vittoria dei sì: “Via il legittimo impedimento, e il premier rimane senza lo scudo processuale. Ma secondo il quotidiano Palazzo Chigi punta sulla prescrizione breve. Sull’acqua: i sì travolgono i privati, ma ora i comuni avvertono che servono nuove norme”. Sul quesito sul nucleare viene data evidenza al fatto che – tra l’altro – in Borsa sono volati i “titoli verdi”.
(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)