Si può immaginare Venezia senza gondole? Ovviamente no, eppure pochi sanno davvero che cosa è una gondola e cosa ci sta dietro in termini di lavoro, conoscenze, tradizione, artigianato
La gondola, barca-simbolo della città è stata perfezionata attraverso i secoli da generazioni di artigiani. Che ancora oggi tengono vivi i saperi e i mestieri della Serenissima.
Abiti di alta sartoria
La “culla” della gondola è lo squero (il cantiere). Un tempo numerosi, oggi in città ne restano cinque. Il più famoso (visitabile su prenotazione) è lo Squero San Trovaso (tel. 0415229146), simile a uno chalet perché a costruirlo, forse ai primi del ‘600, furono artigiani del legno originari del Cadore, da cui proveniva anche la materia prima. Negli squeri si lavora come secoli fa. Niente centimetri o metri, ma le unità di misura della Serenissima: il passetto, i piè e le once. E niente disegni, ma il sesto, una sagoma in legno, simile a un boomerang, che permette di ricavare tutte le coordinate di base dello scafo. Del resto le gondole sono come i violini di Stradivari: tutte diverse tra loro, ciascuna disegnata per il gondoliere che deve usarla. In base al suo peso, alla statura, alla personale tecnica di voga. Come un abito di alta sartoria. E per lavorare i legni: ascia, pialla, sega e martello rigorosamente a mano. E poi il fuoco. Un aspetto che rende a volte lo squero simile a una fucina infernale. A proposito di legni, in una gondola se ne usano otto solo per la struttura: quercia, abete, ciliegio, larice, tiglio, noce, mogano, olmo. Completa delle finiture, la barca è composta da 280 parti, ciascuna con una precisa funzione strutturale od ornamentale.
Prodigio d’idrodinamica
«La gondola come la vediamo oggi è il frutto di modifiche e perfezionamenti secolari che l’hanno resa una “macchina” perfetta per le “strade” di Venezia» dice Gilberto Penzo, esperto di imbarcazioni con laboratorio e negozio vicino ai Frari (tel. 041719372). «La riprova? Qualsiasi altra imbarcazione, anche la canoa più leggera, crea una scia. La gondola no. La gondola “pattina” sull’acqua come una piuma a dispetto dei suoi quattro quintali di peso cui ne vanno aggiunti altrettanti tra gondoliere e passeggeri. Un prodigio d’idrodinamica. Per giunta, lo sforzo che serve a muoverla non è superiore a quello di una semplice camminata: parola di fisiatri. Che sono arrivati a questo risultato dopo severi test clinici sulla tecnica di voga dei gondolieri» conclude Penzo. Dunque la gondola è davvero la punta di diamante dell’ingegnosità veneziana.
Metti la dolaóra nel motore
Il “motore” della gondola si deve ai reméri (fabbricanti di remi), che modellano anche le fórcole, ossia gli scalmi usati nella tipica voga veneta: in piedi e in avanti. Anche la fórcola è personalizzata per ciascun vogatore. Il suo aspetto la fa somigliare a una scultura astratta, ma le sporgenze e gli incavi servono alle diverse manovre (spinta, arresto, indietro…) che si devono compiere per muoversi con precisione millimetrica. Anche gli strumenti di lavoro dei reméri sono immutati da secoli: ascia, coltello a due mani, pialla e la dolaóra (scure) dalla tipica forma a trapezio. La si vede, identica a oggi, in una miniatura del ‘500 nella mariègola (il regolamento) della corporazione. In tutta Venezia restano tre soli remèri, i cui laboratori sono visitabili: Paolo Brandolisio, vicino San Marco, Franco Furlanetto, vicino ai Frari, e Saverio Pastor, vicino al Museo Guggenheim.
Austerità per decreto
Completato lo scafo, per le finiture in legno intervengono marangoni (falegnami), intagiadori (intagliatori) e indoradori (doratori) cui si aggiungono fravi (fabbri) e ottonari (maestri dell’ottone) per le decorazioni in metallo (cavalli, sirene, delfini…) e per il ferro di prua, elemento caratteristico di questa imbarcazione. Sfarzoso nella sobrietà, debordante e discreto allo stesso tempo, l’apparato decorativo delle gondole si concentra nei sedili (il simier, il cimiero) e nelle tavole superiori dello scafo perché nel 1633 il Magistrato alle Pompe della Serenissima (una specie di “commissione sul lusso”) stabilì che la gondola dovesse essere nera e priva di orpelli. Le famiglie più ricche fecero comunque a gara per impreziosire le proprie barche, ma senza dare nell’occhio. Concentrando appunto nelle parti non strutturali quanto di meglio offriva l’ebanisteria dell’epoca.
Al tempo del doge
Vestita la gondola, bisogna vestire i gondolieri. Giuliana Longo è una baretéra ossia fabbrica baréte (berretti) e cappelli. Nel suo minuscolo negozio a due passi da Rialto si trova l’autentico berretto del gondoliere: una specie di basco con pompòn. «I gondolieri non erano altro che servi da barca delle famiglie nobili e perciò anche il loro abbigliamento era codificato. Semplice e funzionale, per non intralciare i movimenti, e sobrio, per via del Magistrato alle Pompe» spiega Giuliana. E la paglietta? «Si deve al film Venezia, la luna e tu (1958) di Dino Risi, con Alberto Sordi e Nino Manfredi. Niente a che fare con la tradizione veneziana, anche se ormai la usano tutti». Per vedere l’autentico abbigliamento dei gondolieri bisogna avere la fortuna di incappare in qualche evento, quando i vogatori sono vestiti di bianco con una fascia in vita e uno scollo rosso e, appunto, la baréta in testa. Come ai tempi del doge.
Battute a raffica
A proposito dei gondolieri: dislocati nei punti strategici della città, oltre che portare i turisti sulle loro barche, fanno anche da vigili urbani e ufficio informazioni. In ogni caso sono il gazzettino (giornale) più informato della città: “radio gondola” non sbaglia mai e arriva sempre prima. Con il formidabile corredo di battute per le quali la categoria è insuperabile. Del resto, le più feroci i gondolieri le riservano a loro stessi mettendole nel nastro di poppa della propria barca: una specie di “firma” che caratterizza ogni gondola. Qualche esempio? Mejo i corni che le moroidi. (meglio le corna che le emorroidi), me consolo, se son beco no son solo (mi consolo, se ho le corna, sono in compagnia), daghe giro ai schei che la cassa da morto non ga scarsele (fai girare i soldi perché nella bara non ci sono tasche), chi no ghe piase el vin, Dio ghe toga l’acqua (a chi non piace il vino, Dio gli tolga anche l’acqua), mejo una braga rota in culo che un culo roto in braga e qui ci fermiamo per carità di patria.
Marieta monta in gondola...
Ma perché la gondola si chiama così e quando è comparsa?L’etimologia del nome è controversa. C’è chi lo fa derivare dal latino cymbula (barchetta) oppure cuncula (piccola conchiglia) mentre per altri viene dal greco kundy (navicella). Più sicura la “data di nascita”. In un decreto del doge Vitale Falier del 1094, si dispensano gli abitanti di una località tributaria dal fornire un’imbarcazione chiamata gondulam. Per vedere invece com’era Venezia gremita di gondole, bisogna andare nella pinacoteca della Fondazione Querini Stampalia e ammirare le 67 tele settecentesche di Gabriel Bella in cui è descritta la Venezia popolare dell’epoca. Lo straordinario rapporto di Venezia con il mare è invece documentato dal Museo Storico Navale, a pochi minuti da San Marco. Pezzi unici, dal medioevo a oggi, modelli, barche, accessori e molto altro materiale nautico con la gondola, naturalmente, a farla da padrona. Ma perché chiunque vada a Venezia è irresistibilmente attratto da questa strana barca, nera, sghemba, priva di valore d’uso, ma che costa due euro al minuto di noleggio? Ci risponde il Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia: per indicare una sensazione di grande gioia si può dire andare in gondola. Più chiaro di così…
Informazioni: Apt Venezia tel. 0415298711