Nel delta del Po, in cerca di antiche melodie magiare e ricordi delle Rapsodie di Liszt

Il delta del Po, caratterizzato da un paesaggio unico, vasto e umido, sorprendente e affascinante per la cultura, la storia e la biodiversità della sua natura, suscita inevitabilmente intense emozioni. E riporta alla memoria antiche melodie magiare e rapide Rapsodie di Liszt

Una vacanza trascorsa nel suo territorio incanta e conquista per la varietà e la molteplicità degli ambienti e per la ricchezza della fauna terrestre, di fiume e di stagno. La quiete che trasmette una sosta nella nebbia tra i canneti delle basse lagune salmastre o l’armonia goduta durante una passeggiata lungo gli argini e i litorali sabbiosi, permettono alla mente di sgombrarsi dai pensieri e dalle preoccupazioni e di farsi trasportare dalla fantasia in un viaggio senza tempo né spazio. Questo luogo tanto caratteristico e altamente evocativo riporta alla mente nozioni scolastiche relative all’Unità d’Italia e a Giuseppe Garibaldi, “eroe dei due mondi”, protagonista importante del Risorgimento Italiano. Il generale e uomo politico, infatti, nell’agosto 1849, insieme a un manipolo di soldati superstiti e ad Anita morente, dopo numerose battaglie e inseguito dalle milizie Austriache e papaline approdò nelle paludi di Comacchio trovandovi soccorso, supporto e sostegno. Al ricordo di questa vicenda storica si è prontamente associato quello relativo alle gesta eroiche compiute da una gran moltitudine di gente di ogni ordine e grado sociale -anche di opposte fazioni e convinzioni- che intorno alla metà del XIX secolo lottò e si sacrificò per una aspirazione di libertà, non solo in Italia, ma in tutta Europa. In particolare il 1848 fu definito “anno della Primavera dei popoli” perché vide in quasi tutti i Paesi d’Europa lo svilupparsi di movimenti liberali che insorsero e lottarono per un ideale di unità nazionale, contro regimi assolutisti o stranieri. L’ impatto storico di quei moti rivoluzionari patriottici fu così profondo, sconquassante e violento, che nel linguaggio corrente popolare fu coniata l’espressione «fare un quarantotto» per sottintendere uno scompiglio sconvolgente e improvviso.

Nel delta del Po tra ricordi di scuola e reminiscenze musicali

Rammentare le insurrezioni di quei tempi remoti accaduti in nazioni diverse genera l’eco, non ancora sopito, di reminiscenze musicali relative alle Rapsodie Ungheresi di Franz Liszt e in particolare alla Rapsodia n.2. Ecco perché è facile scivolare nel fantastico mondo musicale costituito dalle Rapsodie Ungheresi…
È cosa nota che la raccolta delle diciannove Rapsodie, composta da Franz Liszt in un arco di tempo che va dal1846 al1885, fu per lo più ideata in onore dei moti patriottici avviati in Ungheria il 15 marzo 1848 e guidati dall’eroe e capo politico nazionale Lajos Kossuth, icona e simbolo carismatico nella lotta degli ungheresi per l’indipendenza dall’Austria.
Franz Liszt era ungherese e per elaborare l’opera si ispirò alle melodie e ai canti popolari dei contadini magiari, tipici della sua terra nativa. In particolare si rifece alla musica del Verbunkos che, impregnato di caratteristiche nazionali, cioè di giri armonici e stereotipi linguistici riconosciuti e accettati in tutto il Paese, costituiva un simbolo di associazione e di identità per tutto il popolo ungherese.

Il Verbunkos fu un genere musicale con danza molto diffuso in Ungheria, dove apparve e si affermò intorno al 1760. Generalmente la sua musica era suonata dai numerosi violinisti gitani nomadi che percorrevano il Paese in lungo e in largo. Al riguardo, in un saggio scritto dallo stesso Liszt si legge: “Ho voluto fare una specie di epopea nazionale della musica tzigana. Con la parola rapsodia ho inteso alludere all’elemento fantasticamente epico che ho creduto di riconoscere in questa musica. I Magiari hanno adottato gli tzigani come loro musicisti nazionali. L’Ungheria può dunque a buon diritto avocare a sé quest’arte, nutrita del suo pane e del suo vino, maturata al suo sole e alla sua ombra, e tanto strettamente penetrata nelle sue abitudini da legarsi alle più gloriose memorie della patria» (Des Bohémiens et de leur musique en Hongrie, Parigi, 1859).
In realtà, nonostante il contributo apportato dai musicisti tzigani itineranti con il loro stile magnetico, versatile e fantasioso, il Verbunkos costituì il frutto di una tradizione pastorale e popolare ungherese costantemente ritoccata e modificata dalle svariate melodie arcaiche -appartenenti a un passato indefinibile e sfumato- che la influenzarono. Tra gli elementi dell’antica tradizione popolare confluiti nel Verbunkos si può includere l’Hajduk, un’antica danza marziale dal carattere violento dei primi anni del XVI secolo, tipica dei soldati dell’Europa orientale dai quali prese il nome.
Non è chiara l’etimologia della parola Hajduk, secondo una teoria essa deriva dall’ungherese hajdó che vuol dire “mandriano”, secondo un’altra teoria la parola deriva dal turco haydut cioè “bandito” e veniva usata dagli ottomani per indicare i soldati della fanteria ungherese. In ogni caso, molto probabilmente la danza venne introdotta dai numerosi Huszár della Serbia, bande di guerrieri mercenari o di militari cristiani che, in fuga dalle loro terre conquistate dagli ottomani, trovavano rifugio nel Regno d’Ungheria dove venivano inseriti nella cavalleria leggera dell’esercito magiaro. Si trattava di uomini ardimentosi, audaci e coraggiosi, generalmente armati di sciabola (szablya) o scimitarra turca, di arco, di ascia o picco d’armi. Il loro compito consisteva nell’esplorare il territorio, tagliare le linee di rifornimento nemiche, molestare gli schermagliatori avversari, instillare confusione in battaglia e inseguire le truppe nemiche in fuga.

La danza Hajduk veniva eseguita con asce o spade mimando movimenti di guerra, quindi effettuando nel contempo salti acrobatici, accovacciamenti, rotazioni del corpo, fischi e grida ritmate. La musica era prodotta dagli strumenti tipici del tempo: il tárogató (detto anche pipa turca), la gajda, una sorta di cornamusa ricavata con la pelle di capra o pecora e caratteristica dei Balcani, il tamburo.
Molto probabilmente la danza Hajduk fu una derivazione dall’antichissima Saltatio Pyrrhus, una danza di guerra la cui invenzione si colloca nell’età mitica cretese o spartana e della quale riporta qualche accenno il viaggiatore inglese Edward Brown in “Brief account of some travels in Hungaria, Servia ecc.”, B.Tooke, 1673.

Il delta del Po ricorda le vaste incursioni magiare lungo il Danubio

Oltre all’Hajduk si potrebbero considerare altri componenti che, veicolati dalle continue migrazioni, dalle influenze dovute alle innumerevoli guerre ottomane o al dominio asburgico, contribuirono a creare la tradizione popolare ungherese del Verbunkos. Tra essi si annoverano elementi balcanici e slavi a loro volta legati a influssi turchi ed arabi, l’uso di strumenti derivanti dai più antichi Rebab e Lira bizantina* e alcuni schemi ritmici e melodici tipici dei numerosi popoli della valle del Danubio. Non mancano inoltre ispirazioni provenienti dalla musica sacra (gregoriano) e dalla musica viennese che veniva suonata presso le corti reali. Secondo le parole di Béla Bartók, uno dei massimi studiosi delle radici della musica popolare ungherese: ”La musica popolare è la somma di melodie usate per un certo tempo e in un’area da qualche comunità umana come espressione spontanea dell’istinto musicale…Ma se le melodie venissero cantate di generazione in generazione, allora saranno trasformate qui in questo modo, lì in modo diverso, là di nuovo in altro modo; in altre parole, da un lato sorgeranno varianti della melodia, dall’altro melodie con strutture originariamente diverse si trasformeranno in melodie simili: vengono create, cioè, melodie con una caratteristica comune, da cui risulta uno stile musicale uniforme” (La musica del nostro popolo e dei popoli vicini, Budapest, 1952).
L’argomento si rivela decisamente avvincente e volentieri si proseguirebbe nell’esplorazione del ricco patrimonio culturale -storico/sociale- che si cela dietro agli elementi confluiti nel Verbunkos e senza dubbio si resterebbe stupiti nello scoprire una moltitudine di contaminazioni tra frammenti di varie etnie musicali che nel corso del tempo si alimentarono, compenetrarono e influenzarono vicendevolmente, arricchendosi. Tuttavia, nonostante ciò, conviene riallacciarsi al tema iniziale.

Il Verbunkos aveva la funzione di reclutamento dei soldati, infatti il nome deriva dal verbo tedesco Werben che significa “reclutare”. La cerimonia del Verbunkos veniva eseguita nelle piazze dei villaggi, nelle locande delle contrade o presso le osterie di campagna (csárdás) da soldati reclutatori in uniforme, con lo scopo di galvanizzare i giovani magiari e indurli ad arruolarsi nell’esercito austroungarico. In genere alla danza partecipava una dozzina di Ussari capeggiati da un sergente che la introduceva con movimenti lenti e malinconici, quindi alcuni militari si univano ad esso per le parti e i passi più energici ed infine i soldati più giovani la concludevano con salti, schiocchi di tacchi, fischi, battiti di mani su stivali e ginocchia seguendo un ritmo incalzante, vivace e sfrenato. A sua volta la musica che accompagnava il ballo era costituita da una parte lenta (Lassan) dal caratteristico ritmo puntato e una parte veloce (Friska) con passaggi di note crescenti in brillantezza e fervore. Queste due parti (lento/veloce) si alternavano tra loro con scansioni di tempo di diversa durata.
Come accennato, le Rapsodie Ungheresi sono brani la cui struttura deriva dal Verbunkos e in quanto tali costituiti da una forma libera, cioè senza un tema portante; non hanno un ritornello ma si suddividono in più parti formate da tempi molto diversi per armonia e ritmo, inoltre sono caratterizzati da due movimenti in misura binaria*: “Lassan”(=lento) e “Friska”(= rapido) che, privi di passaggi intermedi, si alternano bruscamente. Queste peculiarità erano tipiche delle bande musicali tzigane e Liszt, conquistato dalle loro estrose esecuzioni, ebbe a scrivere al riguardo: “Per gli tzigani in musica non vi sono leggi, principi, regole, disciplina…Per essi tutto va bene purché piaccia a loro e piace a loro a patto che il loro sentimento ne sia esaltato…Gli tzigani non arretrano in musica di fronte a nessuna audacia purché essa si accordi con gli impulsi del loro cuore e purché vi scorgano l’immagine fedele della loro natura.” (Des Bohémiens et de leur Musique en Hongrie, Parigi, 1859).
Le Rapsodie dunque si innestano sul Verbunkos e nell’ascoltarle l’immaginazione fatalmente
si perde nell’affascinante atmosfera di un’estesa e dorata steppa ungherese, attraversata da piccole mandrie di cavalli allo stato brado, o nell’ospitale contesto di una osteria di campagna, mentre un gruppo di tzigani lăutari improvvisa una musica complessa, ricca di melodia e ritmo, oppure ci trasporta tra contadini ungheresi durante un’ allegra festa nuziale o di battesimo, mentre un giovane musicista girovago fa volteggiare con incredibile destrezza le sue bacchette ricoperte da morbido cuoio prima di percuotere le corde di un cimbalom sonoro.

Tra tutti i brani della raccolta il più celebre può considerarsi la Rapsodia n. 2, nota anche per la risonanza ottenuta nel 1946 in seguito alla vincita di un oscar dal cartone animato “The Cat Concerto” con Tom e Jerry.
Il pezzo, brioso e frizzante, composto nel 1847 e dedicato allo scrittore ungherese conte László Teleki, è senza dubbio di grande effetto e costituisce uno dei componimenti più difficili in assoluto da eseguire al pianoforte perché la sua esecuzione richiede una notevole bravura e una abilità tecnica elevata, che Liszt, uno dei massimi virtuosi del pianoforte, possedeva ampiamente. Il brano inizia con una breve introduzione dall’andamento largo, lento e scandito, che avvince e fa percepire il silenzio e la desolazione delle terre brulle e steppose della puszta magiara. Segue un motivo marziale, marcato e profondo, da marcia militare, che dopo un fugace accenno grave si incupisce e si smorza pian piano per lasciare spazio a una dolce melodia che riporta serenità. In seguito il tema si accentua e si apre articolandosi in molteplici cambi di tonalità, ossia in frammenti costituiti da un rincorrersi e avvicendarsi di melodie e ritmi lenti e veloci, dolcissimi e tristi, cupi e rasserenanti, fino a quando il suo carattere diventa brioso e allegro, poi di nuovo nettamente calmo, austero e solenne, quasi mesto, per riproporsi ancora estatico e soave, quieto e calmissimo. E daccapo svelto e gioioso e così via, in una enfatica alternanza di variazioni continue.
Per concludere, appare appropriato rimarcare che nella spumeggiante e frenetica conclusione capricciosa, i trilli, gli abbellimenti, i rapidi accordi fantasiosi, l’accelerazione e il grande virtuosismo dei numerosi passaggi, dopo essersi acquietati brevemente per riproporre il tema maggiormente noto del brano, riprendono foga e vigore in un turbinio che, avviato dolcemente, assume via via un andamento rapido fino a divenire incalzante, energico e brusco, vigoroso e brillante, tale da travolgere gli ascoltatori e trascinarli in uno stato di totale ammaliata ed entusiasmante esaltazione. Insomma, un vero e proprio tripudio per la mente e i sensi!
Anche le Rapsodie dunque conquistano e reclutano i loro ammiratori.

Il viaggio nelle straordinarie Rapsodie di Liszt finisce qua. Ora non resta che mettersi comodi e riascoltarne qualcuna tra le diciannove arie della raccolta. Si potrebbe anche programmare una vacanza sul Delta del Po, dove scoprire, con stupore, che il suo paesaggio offre sempre nuove ed emozionanti ispirazioni.
M. S. Spiniello


*I primi strumenti a corde strofinate si presentarono solo nel corso del X secolo. Prima di questo periodo gli strumenti si suonavano pizzicando le corde, come per esempio con la Lira. Le corde da strofinare comparvero nell’impero cinese, bizantino e nel mondo arabo/ mussulmano più o meno allo stesso tempo. Gli strumenti si strofinavano con un archetto elaborato a partire dal crine di cavallo (Storica di National Geographic).

*Il tempo binario fornisce una suddivisione estremamente marcata ed è tipico delle marce militari, ma anche di marce funebri o di componimenti drammatici.

redazione grey-panthers:
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