Alto, magro, la bocca sottile, Vitaliano Brancati nasce a Panchino in provincia di Siracusa il 24 luglio 1907 da una famiglia che ama molto la letteratura. Dopo il liceo, si trasferisce a Catania per studiare alla facoltà di lettere. Qui inizia a frequentare gli ambienti culturali e nel 1929 si laurea con una tesi su Federico De Roberto. Poi per qualche anno insegna a Caltanisetta all’Istituto Magistrale. Ben presto egli coglie nella siciliana quella sorta di ossessione per l’erotismo presente nella mente del maschio italico. Fedele fino al 1934 al fascismo, Vitaliano sbarca a Roma, dove inizia la carriera giornalistica dando alla stampa quattro opere legate alla propaganda di regime, ma nel 1933, dopo essere entrato in contatto con gli intellettuali Alberto Moravia e Corrado Alvaro, la sua fede mussoliniana comincia a vacillare ed egli si rende conto dell’ottusità e della stupidità del fascismo. Il suo romanzo “Singolare avventura di viaggio” (1934) tratta per la prima volta il tema dell’erotismo e dell’esistenza. Subito stroncato da implacabili censori, viene ritirato dal mercato (solo 339 copie riescono ad arrivare nelle mani dei lettori). Deluso dalla situazione, lo scrittore ritorna a Catania per dedicarsi all’insegnamento, collaborando con la rivista Omnibus edita da Leo Longanesi e destinata alla chiusura nel 1939.
Due anni dopo Brancati, ritornato nuovamente a Roma, dà alle stampe una serie di romanzi di prestigio, a cominciare da “Anni perduti”, storia di un italiano costretto ad iscriversi al partito fascista per poter sopravvivere, ma poi epurato nel dopoguerra dal sindaco ex fascista che nel frattempo si è “convertito” per interesse alla neonata democrazia. Seguono “Dongiovanni in Sicilia”, “Il bell’Antonio”, “Paolo il caldo”(che sarà pubblicato però dopo la sua scomparsa), testi incentrati sull’ossessione erotica del maschio, sull’impotenza sessuale, sullo sfondo di un’Italia immatura e arretrata. Nel 1942 in piena Seconda Guerra Mondiale decide di dedicarsi alla sceneggiatura cinematografica, ma solo per motivi economici. Nello stesso anno conosce nel teatro dell’Università di Roma l’attrice Anna Proclemer, che sposa nel 1947 e da cui avrà una figlia. La loro unione terminerà nel 1953.
Vitaliano Brancati, considerato un fascista non convincente e allo stesso tempo un comunista poco credibile, si dimostra un ottimo sceneggiature di cinema. Nel ’51 scrive il copione dei film “Signori, in carrozza!” e “L’arte di arrangiarsi” diretti da Luigi Zampa e ancora di “Guardie e ladri”, 1951 di Mario Monicelli; “Altri tempi”, 1952, di Alessandro Blasetti e nel ’54 di “Dov’è la libertà..?”e “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini. La censura italiana però lo tiene d’occhio. Nel 1952 la sua piéce teatrale “La governante”, protagonista una ragazza francese lesbica al servizio di una famiglia siciliana benestante che vive a Roma, sarà vietata.
Nel 1954 nel corso di un’operazione chirurgica non particolarmente rischiosa eseguita dal professore Achille Mario Dogliotti, considerato un medico di fama, muore in una clinica di Torino.
Il cinema, che come abbiamo visto lo ha utilizzato come valente sceneggiatore, non si scorda delle sue opere letterarie. Nel 1960 Mauro Bolognini firma “Il bell’Antonio”, sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini e Gino Visentini, interpretato da Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale. Èla storia del giovane e bello Antonio Magnano, ambito da tutte le ragazze di Catania, la sua città. Dopo essere ritornato a casa da Roma, dove ha studiato all’università e vissuto per diverso tempo, Antonio conosce Barbara Puglisi, figlia di un notaio. Innamoratosi pazzamente, la sposa con grande felicità di entrambe le famiglie dei due giovani. Però un po’ di tempo dopo le nozze si sparge la voce che Barbara sia ancora vergine non essendo stato consumato il matrimonio per l’impotenza dello sposo. Il padre del giovane disperato non sa darsi pace (“Non ho più figlio” dice). Quando però Antonio, allontanatosi temporaneamente da Catania per lo scandalo, vi ritorna, scopre con sua grande sorpresa il desiderio sessuale che provoca nelle donne convinte di essere in grado di curare la sua disfunzione. Una sfida alla quale tutte vogliono partecipare!
Nel 1967 è Alberto Lattuada a portare sullo schermo il romanzo “Don Giovanni in Sicilia”. Protagonista l’avvocato Giovanni Percolla (Lando Buzzanca), un siciliano circondato dall’amore e dalla devozione delle sue tre sorelle, che vive a Catania la sua vita mediocre tra fantasie sessuali e il modesto lavoro di legale. Un giorno incontra Ninetta, una ragazza educata in Svizzera e la prende in moglie. Poi parte per Milano assunto da una grande industria. Qui ottiene grandi successi professionali lanciandosi anche in conquiste femminili. La vita milanese però non fa per lui e così insieme a Ninetta torna in Sicilia. Meglio la tranquilla vita di sempre che le nevrosi della moderna metropoli. La pellicola, che ci mostra una Milano nebbiosa e dedita alla ricerca ossessiva del successo, per la verità non è delle migliori della filmografia di Lattuada.
Nel 1973 tocca al regista Marco Vicario trasformare per immagini il libro “Paolo il caldo”, uscito postumo nel 1955, con un cast di tutto rispetto formato da Giancarlo Giannini, Gastone Moschin, Rossana Podestà e Adriana Asti. Il barone catanese Paolo Castorino (Giancarlo Giannini), appartenente ad una famiglia aristocratica, è attratto fin da piccolo dal sesso femminile. Tra le sue prime esperienze, quella con la domestica Giovanna (Ornella Muti), che è in sintonia con le tradizioni familiari da seduttore ereditate dal nonno (Lionel Stander), dallo zio isterico Edmondo (Gastone Moschin), ma non dal padre Michele (Riccardo Cucciolla), che al contrario è una persona equilibrata di forte simpatie socialiste, un vero modello per Paolo. Quando Michele muore, il giovane Paolo si trasferisce a Roma deciso a vivere una vita tranquilla. Invece dentro di lui prevale la sua esuberanza sessuale che lo porta a passare da una relazione sentimentale ad un’altra inseguendo una ossessione erotica senza fine. Il film, poco apprezzato dalla critica, è considerato il meno convincente dei tre romanzi dello scrittore siciliano tradotti sul grande schermo.
Vitaliano Brancati, cantore del gallismo italico e fustigatore dei vizi del nostro Paese, ha saputo deridere il modello maschile di una subcultura che oggi fortunatamente è in declino. La sua sensibilità e la sua capacità di leggere la realtà del mondo di casa nostra è stata espressa pienamente anche nel suo lavoro di sceneggiatore. Il già citato Anni difficili, 1948 e il secondo capitolo Anni facili, 1953, entrambi diretti da Luigi Zampa e scritti da Brancati, ci raccontano le difficoltà nel dopoguerra degli italiani onesti costretti a rinunciare alla loro moralità per poter sopravvivere. Per il copione di Anni difficili lo scrittore sarà accusato di qualunquismo (a difenderlo solo il collega Italo Calvino), mentre il secondo film, interpretato da Nino Taranto, subirà tagli da parte della censura e perfino una querela del maresciallo Rodolfo Graziani, che si era riconosciuto in uno dei personaggi della pellicola. Vitaliano Brancati, uomo e scrittore tormentato, ha saputo raccontare con intelligenza e sensibilità le speranze e le delusioni della provincia meridionale italiana.