Israele è un luogo difficile, lo si ama o lo si odia, ma non resta mai indifferente. Nel mio viaggio non sono stata in Palestina; avevo noleggiato una macchina in Israele e con quella non potevo andarci. Mi manca, perciò, una fetta grossa del Paese. Ma anche così è stato impossibile non notare le immense contraddizioni di questo Paese, ricco e poverissimo, pacifista e guerrafondaio, orgoglioso e arrogante, intelligente e ottuso.
Un viaggio in Israele è comunque un viaggio nella storia della civiltà, di tutte le civiltà. Ed è un viaggio mistico nel cuore delle tre maggiori religioni del mondo. Il viaggio di solito inizia a Tel Aviv o almeno il mio è iniziato lì. Tel Aviv è una città non particolarmente bella, ma con molto carattere. E’ una città almeno all’apparenza molto rilassata, una città di mare dove tutti vanno in giro in shorts e sandali, dove sembra di stare sempre in vacanza e dove si respira un’atmosfera allegra e rilassata. Soprattutto Tel Aviv è una città giovane, mai visto tanti giovani in vita mia, abituata come sono a una società di vecchi quale è la nostra.
Io mi sono innamorata dei suoi mercati, coloratissimi, pieni di dolci troppo dolci, che sono la passione degli Israeliani. Mi sono poi arrampicata nella casa museo di Ilana Goor, un’artista di qui con una grande passione per la cucina, e infatti la sua è davvero una cucina preziosa con le sue pentole di rame e la sua vista sul Mediterraneo.
Israele è un paese molto piccolo, ma ha tutto ciò che serve a conquistare chi ci viene: mare, montagna, deserto, città che entrano nell’anima. Come Gerusalemme, un esempio di schizofrenia sacra, in quale altro luogo al mondo, infatti, le religioni si confondono una sull’altra in un’impossibile convivenza? Dove puoi pregare, quasi senza spostarti, il Dio dei cristiani, quello degli ebrei e il dio musulmano? La città vecchia risuona da mane a sera dei canti sacri e del salmodiare di preti, muezzim e rabbini che si mescolano alle grida dei venditori di erbe, di tappeti, di pesci e di spezie. Ma è tutta la città, non solo la citta vecchia, a essere intrisa di una sorta di follia che solo qui può sembrare normale. La follia ad esempio di Mea Shearim, il quartiere ultraortodosso, dove chi non lo è diventa invisibile. A me è capitato. Ho attraversato il quartiere circondata da gente che mi passava attraverso come non esistessi. Moltitudini di uomini con i loro cappelloni neri, tutti occhialuti (mai visti tanti uomini con gli occhiali, tutti sembrano avere seri problemi di vista), le donne sempre qualche metro indietro, con il capo coperto e una quantità incredibile di bambini attaccati alle lunghe gonne. La cosa che colpisce è l’assoluta mancanza di interesse e di curiosità verso qualsiasi essere umano che sia altro da loro.
Quello che impressiona di Israele poi è che non esiste altro Stato che abbia tanto in comune con il mondo arabo eppure sia così incapace di conviverci pacificamente, sono infatti molte di più le cose che li uniscono di quelle che li separano, il cibo, le spezie, i profumi, le facce. Eppure anche dopo esserci stata e aver tentato di capire cosa accade in questa parte del mondo, sono tornata a casa convinta soltanto di non aver capito niente e che il modo in cui l’Occidente guarda a questa nazione sia profondamente sbagliato. Qui non ci sono ragioni o torti, qui ci sono errori e torti di ognuno. E qui si litiga, per principio, su tutto. Persino sull’hummus, il piatto nazionale israeliano, che in realtà israeliano non è al punto da aver scatenato quasi una guerra tra Libano e Israele, Beirut, infatti, combatte per affermare le origini libanesi del piatto dopo che Israele si è proclamato l’inventore della ricetta. L’hummus si mangia ovunque, per strada, nei mercati, nelle trattorie, nelle case, spesso accompagnato da ceci, fave o carne trita. E’ il modo più semplice per riconoscere chi è turista e chi indigeno, i turisti, infatti, lo mangiano col cucchiaio o con la forchetta, i locali con la pita, il pane arabo piatto e saporito. Ed è facilissimo da fare. Bastano ceci lessati e ben scolati che passerete nel mixer con olio di sesamo, aggiungete la tahini (la densa salsa di sesamo), uno spicchio d’aglio, abbondante peperoncino, molto succo di limone e un po’ di prezzemolo. Tritate bene tutto fino a ottenere una crema densa. Potete servirlo spalmato sulla bruschetta, ma se volete invece sentirvi un vero israeliano, mangiatelo con la pita, partendo dal centro del piatto dove avrete versato un filo d’olio aromatizzato al peperoncino. Et voilà, Israele è servito!