Ora, al ritorno dal viaggio, porto nel mio bagaglio molte emozioni forti: l’impotenza rispetto a condizioni di vita tanto disagiate, la forza dirompente delle contraddizioni esistenti, ma tra tutto emerge la gioia degli incontri fatti, che mi hanno dato calore, permettendomi di calarmi maggiormente in una realtà cosi complessa e difficile.
I pastori del parco Iona. È mattina quando ci inoltriamo nel parco Iona, la strada è sterrata, ma in buone condizioni. Il paesaggio si presenta desertico, sassoso con contrafforti di pietra dai colori dorati e dalla forma molto variegata, costituiti da materiale sabbioso, levigato dal tempo e dal vento. La strada corre dritta tra le pietre e le numerose Welwitschia mirabilis, piante millenarie tipiche di questa zona. Gli unici rari incontri, in questo percorso, sono piccoli gruppi di pastori. Incontriamo un primo gruppo per strada: camminano, ai piedi hanno sandali ricavati dai copertoni delle macchine, ci chiedono dell’acqua. Quando li rivediamo al ritorno, dopo diverse ore, li ritroviamo ancora sulla stessa strada, ci chiedono ancora acqua e ci colpisce la voracità con cui la bevono.
Arriviamo poi a un piccolo assembramento di pastori semi-nomadi: i ragazzini giocano in gruppo con un bastone, ragazzi più grandi sono vicino all’abbeveratoio accanto ad alcune mucche scarne, una donna a seno nudo, con accanto un bambino, è un po’ in disparte, poi si allontana, elegante e flessuosa, con un recipiente d’acqua sulla testa.
Ci avviciniamo, rispondono un po’ stupiti al nostro saluto e proviamo a instaurare una semplice conversazione fatta più di gesti che di parole. Dal loro comportamento, dall’espressione dei loro volti, capiamo che non è frequente che qui arrivino dei bianchi, ma sono molto cordiali, incuriositi, accettano di farsi fotografare e “fare foto” diventa un gioco condiviso nel momento in cui la macchina fotografica passa anche nelle loro mani.
Incontriamo altri due giovani lungo la strada accanto a un pozzo, probabilmente sono di guardia, un pannello solare serve ad alimentare la pompa, anche loro rispondono, cordiali, al nostro saluto, ci sorridono e ci chiedono del cibo.
Accorrono altre donne, ognuna col figlio, sono felici di rivedere le immagini dei loro bambini nel display della macchina fotografica! Mi colpisce una donna che a gesti mi fa capire che gradirebbe una foto da sola: una femminilità timidamente reclamata, oltre quella dell’essere madre!
Più in là, su una spiaggia, altri ragazzini giocano: uno spinge con abilità un copertone di gomma, altri parlottano tra loro, mi vedono, mi chiamano, chiedono di essere fotografati e, ancora una volta, la macchina fotografica diventa l’occasione per interagire quasi una forma di gioco. È come se, per loro, entrare nell’inquadratura corrisponda alla possibilità di entrare, anche solo virtualmente, in un altro mondo, meno duro!
La semplicità dei giochi fatti con nulla o con oggetti riciclati, che ci riportano a un’epoca ormai per noi molto lontana, coesistono con i cellulari, con il potere dei network: anche da queste contraddizioni emergono i forti contrasti che caratterizzano questa terra, estremi nelle condizioni di vita: il contrasto dei colori forti degli abiti, il contrasto che sprigiona l’asprezza di alcuni paesaggi incontaminati, nelle lunghe spiagge che vengono battute dall’oceano, negli infiniti spazi naturali, interrotti da cumuli di immondizie, da agglomerati di capanne fatiscenti, dalla vivacità caotica dei mercati.
Un recente articolo pubblicato su Il sole 24 ore, riporta che l’Angola è il paese più felice dell’Africa: secondo il World happiness report del 2013, uno studio voluto dalle Nazioni Unite per stabilire i livelli di felicità nel mondo, ai primi posti della classifica mondiale ci sono paesi del Nord Europa, ma nel continente africano è l’Angola il Paese che ha livelli di felicità più alti, al 61esimo posto. Ma che cos’è la felicità? E quanto ha a che fare con un atteggiamento ottimistico che riesce a intravedere possibilità per il futuro, piuttosto che con condizioni di vita e oggetti posseduti?
L’Angola, quindi, è un paese pieno di contraddizioni, che suscita nell’immaginario collettivo molte paure: pericoli di mine inesplose per la guerra civile che lo ha devastato e rischi sanitari. Oggi, invece, chi arriva in Angola, si confronta con un paese pacifico, con una popolazione ospitale e cordiale, che ben accetta il confronto con il turista, a cui non è certo abituata. I segnali di devastazione della guerra sono ancora molto presenti e, nell’interno, verso i confini con il Congo e lo Zambia, ci sono molti territori dove è ancora elevato il pericolo di mine inesplose, ma è un paese in grande crescita[1] pur con grandi problemi: la problematicità delle infrastrutture, le precarie condizioni igienico sanitarie e la piaga dell’analfabetismo: è curioso notare che nelle facciate degli spazi di vendita piuttosto che scritte ci sono disegni di ciò che viene offerto.
Questo viaggio è stato organizzato da Accademia geografica mondiale www.accademiageograficamondiale.com
[1] Il tasso di povertà in Angola è sceso dal 63% del 2002 al 38% del 2009 (Wikipedia), ma l’aspettativa di vita è sempre molto bassa (i dati riportati dall’ambasciata riferiscono 41 anni per gli uomini e 49 per le donne, altre fonti riportano che questo tasso sta fortunatamente crescendo).
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Veramente commovente e ben scritto