“Mostramania 2012. Le mostre al tempo della crisi”– ricerca promossa daFondazione Florens, ideata e realizzata da Fondazione Venezia e a cura di Guido Guerzoni – ha analizzato il sistema degli eventi espositivi allestiti nel 2009 e nel 2011 presso strutture pubbliche e private no profit.
In Italia, il numero di mostre inaugurate ogni anno supererebbe le 10.000, una cifra quantomeno dubbia in termini di sostenibilità: questa esplosione è infatti coincisa con un drastico ridimensionamento dei finanziamenti accordati ai musei, alle biblioteche e agli archivi, ai luoghi istituzionalmente deputati a conservare il nostro patrimonio culturale.
Sollecitato su questi aspetti Guido Guerzoni ci dice: “C’è una profonda differenza tra le mostre prodotte da non profit o associazioni che utilizzano risorse proprie e quando invece sono usati i fondi pubblici; io penso che l’eccesso non privilegi i soggetti più capaci ne’ i temi più interessanti. (…)
L’attività delle associazioni è un segnale di vitalità, ma auspico il fatto che nei circuiti gestiti dagli enti locali – con investimenti medi molti più elevati – ci siano dei progetti di razionalizzazione e di selezione delle mostre da realizzare con finanziamenti pubblici.
Progetti in grado di privilegiare la qualità delle proposte e di remunerare le persone più correttamente, perchè se si fanno così tante mostre è anche perchè la gente coinvolta è sotto pagata o lavora gratis.”
Un altro aspetto interessante è quello della distribuzione geografica delle esposizioni dove si trovano “Ai primi 4 posti le prime regioni per arrivi turistici (ma) senza i numeri di Milano la Lombardia non potrebbe capeggiare le classifiche di entrambi gli anni, e considerazioni analoghe valgono per Roma“.
D’altronde “esaminando il rapporto tra il numero delle mostre e la consistenza della popolazione residente i risultati cambiano, quantomeno nelle relazioni tra Nord e Centro. In base a tale ratio nel 2009 al primo posto si trova la Valle d’Aosta, con un evento ogni 2.283 abitanti, seguita dalla Toscana, con uno ogni 3.760”
E qui Guerzoni afferma che “La densità degli eventi culturali è il risultato della ricchezza di un territorio. Quanto più un territorio è ricco e può permettersi di mantenere il surplus tanto più è ricca la programmazione.”
Ancora dalla ricerca si estrae: “A dispetto di quanto spesso affermato dai policy maker, che intravedono negli eventi temporanei un valido strumento di valorizzazione del patrimonio culturale locale e di promozione territoriale, gli eventi espositivi temporanei rimangono un fenomeno prevalentemente urbano/metropolitano, ripresentando la medesima polarizzazione dei flussi di visitatori che si registra nelle principali città d’arte e sedi museali italiane” .
Tuttavia Guido Guerzoni afferma: “Gli eventi espositivi faticano a funzionare come leve di attrazione turistica o di valorizzazione del territorio perchè per farlo c’è bisogno di accreditare uno spazio e ci vogliono almeno 4 anni, quindi è necessaria una programmazione intensa ma duratura. Poi sono le grandi città quelle dove c’è un pubblico che ti consente di fare più cose…
I policy maker sono prevalentemente i decisori pubblici, possono essere gli assessorati, gli uffici provinciali del turismo, gli uffici competenti della Regione, i consigli d’amministrazione delle fondazioni bancarie. Gli eventi temporanei sono prevalentemente pagati dagli enti locali, a parte alcuni soggetti privati che però hanno ragioni diverse.
Il punto è: quanti assessori di Comuni con 30/40.000 abitanti hanno le competenze per valutare le proposte che ricevono? Quanti CDA delle fondazioni bancarie di provincia hanno le competenze per scegliere una cosa piuttosto che un’altra?
Alla fine chi decide le policy e alloca le risorse fa sempre più fatica a scegliere tra questo marasma di proposte e finisce per preferire chi ha relazioni più forti o “spalle comunicazionali” più coperte.”
Secondo la ricerca, dall’analisi delle sedi espositive si possono comprendere i meccanismi di malfunzionamento della struttura del sistema espositivo nazionale, questo risente del processo di spettacolarizzazione e mediatizzazione delle attività culturali iniziato negli anni Ottanta.
La mostra-botto, quella in grado di attirare centinaia di migliaia di visitatori, ha dei costi di realizzazione altissimi e drena risorse pubbliche e private preziose.
Inoltre le mostre blockbuster sono spesso allestite in musei a cui di fatto non portano visitatori, o nascono per dare lustro a quegli edifici storici che rappresentano più del 70% delle sedi ospitanti, dove “la strategia espositiva italiana sembra più reattiva, a giustificare gli ingenti investimenti nelle opere di recupero immobiliare, che proattiva, quasi che il mattone, così amato dai nostri connazionali, prevalga comunque sul cervello, in un impari confronto tra strategia e tattica, piano e trovata, programmazione e colpo di teatro.”
Tra le note si legge che “L’Italia è l’unica nazione europea il cui ministero deputato alle attività culturali ha di recente ridimensionato la propria presenza nel campo della produzione artistica contemporanea. (…) Si allungano gli acronimi, si accorciano le linee di finanziamento.” Si sono, cioè, accorpati i compiti come recentemente successo con le Provincie. Ma alcuni dati sembrano contraddire il diffusissimo lamento circa lo scarso interesse dedicato in Italia alla contemporaneità.
Sono diminuite le mostre dedicate all’arte antica (e Moderna) “penalizzate dai sempre più elevati costi di realizzazione rispetto all’arte Contemporanea. (…) Dove la ‘contemporaneità’ di certe produzioni è certificata solo dalla permanenza in vita dei relativi autori.”
In conclusione “La risposta fornita alla sfida rappresentata dalla crisi delle finanze pubbliche e dalla crescita dei costi è stata la più facile da immaginare: invece di rischiare sul palinsesto editoriale, investendo in produzioni dedicate a nuovi mercati o in nuovi prodotti (vedi hands-on exhibition, mostre itineranti a basso budget, mostre di processo ecc.), la maggior parte degli organizzatori nazionali ha preferito puntare sul sicuro, sul visto e rivisto, sul trito e ritrito, contando semmai sull’arretratezza culturale di taluni bacini di utenza.“
Cari amici grey-panther, sono proprio le indagini a confermare il forte interesse dei senior per manifestazioni di questo tipo. Vogliamo dunque esprimerci sull’argomento? Che ne dite: troppe? Tutte significative? Potremmo cominciare con il dire che se nelle sale delle mostre venissero allestiti posti a sedere ad altezza umana (giuste cioè per le nostre ginocchia) e più frequenti, riusciremmo a visitare interi palazzi museali o mega esposizioni con maggior agio. E poi …. Volete continuare?