The Lost City di Adam e Aaron Nee
titolo originale The Lost City sceneggiatura Adam Nee, Aaron Nee, Oren Uziel, Dana Fox cast Sandra Bullock (Loretta Sage) Channing Tatum (Alan Caprison/Dash McMahon) Daniel Radcliffe (Abigail Fairfax) Brad Pitt (Jack Trainer) Da’Vine Joy Randolph (Beth Attine) Oscar Nuñez (Oscar Austin) Patti Harrison (Allison) genere avventura lingua originale inglese produzione Usa 2022 durata 112 min.
Ecco un bel fumettone d’agosto per serate al gusto di cocomero e al fantozziano «rutto libero». Fumettone, appunto. Come ormai solo in America: pacchiano, ingenuo, scontato e politicamente corretto. A partire dal pretesto narrativo: Loretta Sage è una scrittrice di successo di popolari romanzi di avventure ambientati in luoghi esotici. Protagonista dei suoi racconti è Dash McMahon, personificato per i mass media dal cover boy Alan Caprison. Mentre costui è in tour con Loretta per promuovere il suo nuovo libro, la donna viene rapita dagli scagnozzi di Fairfax, eccentrico miliardario convinto che lei possa condurlo al tesoro di un’antica città perduta, descritta in un suo romanzo. Spinto dalla voglia di dimostrare che può essere un eroe anche nella vita reale, Alan si prodiga per salvarla. Nella giungla, l’improbabile coppia è costretta ad andare d’accordo per sopravvivere, ma soprattutto per trovare l’antico tesoro prima che sia perso per sempre. Mancano Paperino, Qui, Quo, Qua, Zio Paperone, la Banda Bassotti e il Gran Mogol delle Giovani Marmotte e poi il cast è al completo.
Per dire che il voluto taglio fumettistico si spinge ben oltre il sommario riassunto della trama, ma entra fin dentro le minute scelte della messa in scena, come quell’abito di paillettes con scarpe tacco 12 che la protagonista indossa durante un evento letterario e che poi si trascina disinvoltamente nel folto della foresta pluviale. A sottolineare le ancora invidiabili forme della 58enne Bullock e far risaltare di conserva tutto il falso e il finto della scenografia circostante. Con Beth Attine, la più improbabile delle agenti letterarie, all’inseguimento di un inevitabile happy end lavorativo&sentimentale.
Dire fumetto, a questo punto, non basta più. Vogliamo parlare di «boiata pazzesca», sempre per restare nell’alveo della critica cinematografica fantozziana? Eppure, oggi, il cinema è “anche” questo. Fatto con dovizia di mezzi, ottimi attori, ritmo, swing e cha-cha-cha, ma privo di qualsiasi utilità che non sia appunto la “serata cocomero” d’agosto.
E allora perché vederlo?
Perché il cinema può anche servire a mettere il cervello a riposo per un paio d’ore, ogni tanto.