L’opero originale da cui è tratta questa rappresentazione teatrale è un romanzo terminato da Pirandello nel novembre del 1903, l’anno in cui, a seguito della rovina economica (e dei conseguenti primi segni della malattia mentale della moglie), lo scrittore pensò seriamente al suicidio.
La trama è semplice e complessa allo stesso tempo. Mattia Pascal, erede di una ricca famiglia, sperpera il patrimonio e sopravvive con moglie, madre e suocera che in modo diverso lo schiavizzano. Per campare si riduce a “levare la polvere” nella biblioteca del paese, dove però acquista dimestichezza con libri e letture. Durante una delle solite liti la madre muore lasciandogli poveri risparmi gelosamente conservati. Mattia ricorda di aver letto di una specie di mondo dei sogni, Montecarlo, e decide di scappare. Il gioco, che gli è sempre stato nemico, è il deus ex machina dell’opera e gli fa vincere una enorme quantità di denaro.
Mattia decide di tornare al paese da vincitore, ma apprende dal giornale che Mattia Pascal, al paese è stato identificato come morto affogato dalla suocera e dalla moglie.
Mattia diventa il “Fu Mattia Pascal” e nasce il nuovo Adriano Meis, uomo senza passato, ma con un possibile felice futuro e che può viaggiare dove e come vuole. A Roma, Adriano, abita in una pensioncina gestita da Adriana, strano destino dei nomi, e frequentata da personaggi amanti dello spiritismo. Durante una seduta, uno dei partecipanti trafuga dalla sua “valigetta dei sogni” una ingente somma di denaro contante. E’ questo il secondo punto di svolta, Mattia ora Adriano si rende conto che in quanto “non esistente” non può sporgere denuncia per il furto, malgrado le sollecitazioni di Adriana che lo ama profondamente.
Per sfuggire il suo destino di personaggio e non persona, Mattia finge il suicidio e torna al paese. Ma anche qui è una figura ingombrante perché la moglie ha un nuovo marito e nuovi figli. Siamo così arrivati al finale: Mattia prende realmente coscienza di se e, a chi visita la sua tomba, si presenta come “Il fu Mattia Pascal”.
Il romanzo ha avuto una prima riduzione cinematografica nel 1925: regia e sceneggiatura di Marcel L’Herbier; interpreti Ivan Mousjuokine, Lois Moran, Pierre Batcheff.
Una riduzioni teatrali di Tullio Kezich è stata messa in scena da Luigi Squarzina (1974) e Maurizio Scaparro (1986) . Nel 1960 andò in onda una riduzione televisiva con la regia di Diego Fabbri
L’opera presentata ieri al Quirino non è una nuova riduzione teatrale, ma piuttosto una specie di alternarsi di flash-back onirici e di scene teatrali che si aprono e si chiudono con i movimenti propri di un sogno.
Bravissimo il protagonista, e sceneggiatore, Tato Russo, che è sempre alla ribalta sia personalmente che come voce fuori campo.
Attorno a lui Katia Terlizzi e Francesco Acquaroli con inoltre Renato De Rienzo, Sarah Falanga, Giulio Fotia, Marina Lorenzi, Antonio Rampino, Carmen Pommella, Francesco Ruotolo, Massimo Sorrentino.
Interessante questa nuova messa in scena che non ha voluto trasformare il romanzo di Pirandello in commedia recitata e lo ha trasformato in azione teatrale suggestiva e coinvolgente che ci accompagna, se mi è permessa questa licenza letteraria, nel processo che potremmo definire continuamente catartico ed anticatartico,.
Un lungo applauso finale ha concluso la rappresentazione che si replica, per quet’anno, sino al 12 maggio al Teatro Quirino di Roma.