E’ uno Stato il Portogallo che comincia a essere conosciuto e amato solo ora, per anni è stato considerato il fanalino di coda dell’Europa ricca. A me è è restato negli occhi e nel cuore. Io di questa terra sapevo poco, certo Pessoa, Tabucchi, il fado, Amalia Rodrigues, ma queste sono cose che sanno tutti. E dunque per me il Portogallo è stato una vera sorpresa, la sua luce, i suoi colori, quella indefinibile atmosfera da fine del mondo.
Un luogo dove l’Europa trascolora prima di diventare Nuovo Mondo. Un Paese dove si abbracciano tante culture, spagnola, araba, indiana, francese, e dove questo abbraccio si trasforma in una cultura nuova, portoghese appunto. Dopo un viaggio in Portogallo non si può non scrivere di baccalà.
I Portoghesi vivono di baccalà, respirano baccalà, sospetto anche che ci dormano avvinti al baccalà. E infatti l’aria portoghese sa di baccalà, cammini per le strade e da negozi, bar, ristoranti, dalle case, ti assalgono gli stordenti, decisi, aromi di questo pesce. Ora c’è un piccolo problema: io questo pesce non lo amo affatto e questo in Portogallo è un problema serio. E’, insieme al fegato, o meglio, alla fettina di fegato, il solo cibo che non mangio. Me ne hanno dato troppo da piccola, la responsabilità è tutta della mia mamma, che, senza molta fantasia, ce lo propinava spesso e volentieri semplicemente lessato e con l’aggiunta di un po’ d’olio, di modo che il terribile sapore di olio di fegato di merluzzo (altra tragedia di noi bambini degli anni ’50) non venisse nascosto o addolcito da nulla. Noi insomma lo mangiavamo in purezza.
Così nel mio viaggio non lo ho nemmeno assaggiato. Lo so, i suoi amanti, che sono molti, inorridiranno, ma il mondo, anche se non lo sapete, è diviso in due: coloro che lo amano, questo pesce, e quelli che lo odiano. E tra i due gruppi non c’è dialogo possibile. Però girando per strade e vicoli non era comunque possibile evitarlo.
A Lisbona ci sono negozi, pescherie, in cui si vende solo baccalà, in tutte le forme e in tutto lo spettro dei colori che vanno dal bianco crema, al grigio, al giallo ocra. al rosato pallido. Così mi sono fatta forza e sono entrata in uno di questi negozi. Non potete immaginare l’odore, o meglio, perdonatemi, la puzza. Acre, acuta, ti prende alla gola, ti entra dentro e poi per ore non riesci a spostarla da lì. A vederli queste bestie, rinsecchite contorte, sembrano reliquie del passato, strani oggetti preistorici ritrovati in qualche remoto angolo della terra.
Per fortuna però i Portoghesi amano i dolci. Tantissimo. Ci sono più pasticcerie a Lisbona (e nel resto del Paese) che semafori. Il profumo di zucchero caramellato, di creme calde, di vaniglia e cannella, di cioccolato e canditi, di panna e pasta sfoglia, si srotola per le strade, scivolando giù per salite e discese e arrampicandosi su per i muri dei palazzi, infilandosi nelle finestre e planando infine nelle nostre narici. Un richiamo a cui è impossibile resistere. E infatti io non ho resistito. Fin dal primo giorno. La casa che abbiamo affittato a Lisbona si trovava a Belèm. E questo già dice tutto. Chi conosce Lisbona lo sa, Belèm oltre ad essere un quartiere delizioso, vicino al fiume, ricco di giardini, musei, grandi piazze e una torre, quella appunto di Belèm, famosa nel mondo, è anche il luogo di nascita delle pastèis di Belèm.
La pastèis è un piccolo scrigno di sottilissima e croccante pasta sfoglia che racchiude come uno scrigno il suo prezioso ripieno, una dolce e leggera crema spolverata di cannella. Vi assicuro, un vero sballo. Il solo guaio è che quando si comincia non si riesce a smettere. Peggio dell’eroina. Al decimo pasticcino mi sono dovuta arrendere. Adesso avevo anche io uno scopo nella vita: trovare la ricetta di quel dolce. Per lei avrei dimenticato affetti, doveri, lavoro ma ne sarebbe valsa la pena. Solo che la ricerca è praticamente impossibile. Già perchè la ricetta dei pastèis è segreta, anzi segretissima. Per capirsi il Terzo segreto di Fatima al confronto è una passeggiata. E come ogni ricetta segreta è avvolta nella leggenda. E così malgrado abbia in ogni modo tentato di circuire il proprietario (gli avrei regalato anche i miei figli in cambio e avrei sottoscritto qualsiasi atto e giuramento, pena il taglio della testa), me ne sono tornata a casa con le pive nel sacco. E per i restanti quindici giorni del viaggio non ho mai smesso di mangiare pastèis di Belèm, a pranzo, cena e colazione. Tornata a casa ho cercato ovunque la ricetta e sono riuscita a trovarne una, quella che mi sembra si avvicini di più all’originale. Provatela e sappiatemi dire. Oppure, meglio ancora fate un salto a Lisbona.
Stendo un foglio di pasta sfoglia molto sottile e fodero uno stampo per muffins o piccoli stampini precedentemente imburrati. Preparo la crema montando 4 tuorli con 100 g di zucchero, poi aggiungo 1 cucchiaio di farina, 2.5 dl di panna, la scorza del limone e mescolo bene. Metto sul fuoco e porto ad ebollizione, quindi levo dal fuoco, elimino la scorza del limone e lascio raffreddare la crema. Riempio le “coppette” di pasta sfoglia con la crema e cuocio in forno già caldo a 225°C per circa 10/12 minuti. Le pasteis devono risultare molto dorate con la superficie un pò caramellata. Servo tiepide, spolverizzate di cannella e zucchero a velo.