sceneggiatura Matteo Garrone, Massimo Ceccherini cast Roberto Benigni (Geppetto) Federico Ielapi (Pinocchio) Gigi Proietti (Mangiafuoco) Massimo Ceccherini (Volpe) Rocco Papaleo (Gatto) Alida Baldari Calabria (Fata bambina) Marine Vacht (Fata adulta) Alessio Di Domenicantonio (Lucignolo) Maria Pia Timo (Lumaca) Davide Marotta (Grillo parlante) genere fantasy prod Fr, Ita 2019 durata 120 min.
Dopo il tonfo del “Cunto de li cunti” (Il racconto dei racconti-Tale of Tales, 2015), Garrone torna al fantasy trasferendo in immagini la fiaba delle fiabe ossia le immortali Avventure di Pinocchio-Storia di un burattino di Carlo Lorenzini, in arte Collodi. Forse il libro italiano più noto, letto e tradotto al mondo dopo la “Divina Commedia”. E va dato subito atto al regista di aver centrato il bersaglio con una trasposizione cinematografica scintillante anche se va subito aggiunto che a tanta opulenza d’immagini non corrisponde un adeguato supporto drammaturgico. Degli intenti pedagogici del romanzo, per esempio, non resta nulla. Vero che la società dell’Italia umbertina ha poco a che fare con quella contemporanea, ma qualsiasi autore contemporaneo che guardi al passato e si ispiri ad esso deve mostrare che da quel serbatoio è capace di attingere acqua che irrighi la propria poetica.
E con il suo Pinocchio Garrone si conferma illustratore, non narratore. Lo sviluppo narrativo avviene infatti per episodi, tra noti, ultranoti e poco noti, che non compongono unità espressiva, ma si sgranano come un rosario di perle: preziose sì, ma uguali e indifferenti l’una all’altra. Nonostante il dispiegamento di effetti speciali e un manipolo di ottimi attori. I primi, capaci di rendere quanto mai prima d’ora al cinema la fervida immaginazione dello scrittore toscano, il secondo, con un Benigni su tutti in stato di grazia, e una recitazione efficace sul filo sottile che unisce realismo e magia. Nonostante le tonnellate di trucco e parrucco. Insomma: una bella festa per gli occhi. Un fastoso e festoso invito al cinema per adulti e bambini, ma che allo spettatore più esigente lascia alla fine poco sapore in bocca. Per questi ultimi il vero, unico, autentico Pinocchio cinematografico resta e resterà sempre quello di Benigni. Ma attenzione: non il Pinocchio del 2002 di un Benigni cinquantenne che si atteggia a fare il burattino (oltre che il regista) bensì il metaforico Pinocchio interpretato da Benigni in Chiedo asilo (1979) di Marco Ferreri, un grandissimo autore ormai, purtroppo, ingiustamente dimenticato.
E allora perché vederlo?
Perché Pinocchio è sempre Pinocchio. E su questo non si discute.