“Il mondo digitale è una sorta di specchio ingannevole che riflette un’immagine eterna di noi stessi, sempre giovani e vitali. Tutto ciò denuncia l’eterna tendenza a vincere la paura del tempo che passa e della vecchiaia, fino ad arrivare a toccare il tema dell’immortalità”
Proprio nel mondo del digitale, e in particolare con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, si è scatenata una riflessione sull’Oltre, sul sopravvivere alla persona fisica. In fondo è quello che l’uomo ha sempre cercato di fare con l’Arte, ossia creare un’opera per diventare immortale. Che si scriva, scolpisca o si suoni, ogni azione creativa è una pulsione a vincere quello che è un appuntamento ineluttabile.
A inaugurare la Milan Longevity Summit è stata, giovedì 14 marzo, la mostra collettiva Forever Young: The Dorian Gray Syndrome, a cura di Maria Grazia Mattei, fondatrice e presidente di MEET, e di Clement Thibault, direttore delle Arti visive e digitali presso il polo di innovazione culturale Le Cube Garges a Garges-lès-Gonesse, in Francia.
Visitare questa collettiva significa vivere una vera e propria esperienza sul tema della “eterna giovinezza”, grazie alle opere – per la maggior parte interattive – di Inès Alpha, Robbie Cooper, Rodrigo Gomes, Damara Inglês, Aaron Jablonski, Ethel Lilienfeld, Mauro Martino, David OReilly, Immersive Arts Space, Inès Sieulle, Esmay Wagemans, Lu Yang.
La mostra si sviluppa su tre piani che si intrecciano (The Dorian Gray Paradox, The Digital Beyond, The Digital Human) alle quali fa da controcanto una riflessione critica che accompagna il visitatore lungo tutto il percorso di fruizione.
In The Dorian Gray Paradox si tocca il tema della beautification, ossia dell’uso della tecnologia per rappresentarsi attraverso il digitale nella versione che si considera migliore di sé; The Digital Beyond, invece, tratta il concetto di immortalità e dell’esistenza oltre se stessi; The Digital Human, infine, riflette la ricerca dell’individuo di trascendere i limiti dell’esistenza fisica attraverso la tecnologia, suscitando profonde domande sull’identità, sull’etica e sulla natura dell’umanità stessa.
Si parte, per esempio, dal lavoro di Inès Alpha, dove il visitatore – grazie all’Augmented Reality Filter (ARF) – si può specchiare nelle sculture di Esmay Wagemans e può vedere il proprio ritratto trasformato dal filtro che diventa parte integrante dell’opera. Fino ad arrivare alla Sala Immersiva con l’installazione interattiva di Immersive Arts Space, dove l’immagine frontale di ogni visitatore viene catturata da una telecamera e, grazie all’apprendimento automatico, trasformata in pochi secondi da un’immagine 2D in una figura tridimensionale e dinamica che sarà proiettata in tempo reale sulle pareti della sala, andando a comporre una folla di individui immateriali, che si muovono, volano e interagiscono tra loro per tutta la durata della mostra (immagine a sinistra).
A chiudere l’esposizione, un lavoro di Mauro Martino dal titolo L’immortalità del pensiero: una riflessione sul fatto che, in questa ricerca di una giovinezza continua, sono la mente, il cervello e la creatività dell’uomo a dover rimanere giovani, non l’aspetto fisico.
Forever Young: The Dorian Gray Syndrome è un primo appuntamento con un fenomeno che non è stato ancora studiato fino in fondo e che vuole smuovere riflessioni importanti sulla frenetica corsa alla bellezza e alla giovinezza che, per quanto fantasiosa e originale sia, ha riflessi sempre più importanti nella vita reale. I rischi non mancano e non sono solo legati agli stereotipi del mondo digitale, perché è un attimo passare dal vedersi eternamente giovani sullo schermo del computer o dello smartphone, al volerlo essere anche nella quotidianità, arrivando – nei casi più estremi – a vere e proprie fughe da quella che è la rappresentazione umana.“Forever Young” inaugura il palinsesto del “Milan Longevity Summit – Riscrivere il Tempo – Scienza e Miti nella corsa alla Longevità”, che fino al 27 marzo porterà in città una sessantina di studiosi per esporre le proprie ricerche sulla svolta demografica in atto e sulle possibilità di rallentare il processo di invecchiamento, anche attraverso l’arte.
Gli Artisti (brevi annotazioni da portare con sé per comprendere appieno la straordinarietà della mostra)
AARON JABLONSKI
In un’era digitale in cui i confini tra reale e virtuale sono sempre più labili, Aaron Jablonski presenta “รtєคltђ” (2020) e “v̥̅òͭ᷇i̸͎d᷇͆̓” (2020), due filtri AR che offrono un’esplorazione provocatoria dell’identità e della percezione digitale.
Queste opere sono in netto contrasto con i tipici filtri AR che migliorano l’aspetto dell’utente cancellandone la presenza e sostituendola. Questo approccio non solo sfida le nostre aspettative sull’identità digitale, ma ci spinge anche a considerare le implicazioni della sorveglianza, della privacy e della nostra impronta digitale. Rendendo l’utente invisibile, “รtєคltђ” e “v̥̅òͭ᷇i̸͎d᷇͆̓” esplorano le dinamiche sfumate di come gli spazi digitali possano contemporaneamente oscurare e rivelare, proteggere ed esporre.
Immersive Arts Space/ZHdK
ReconFIGURE è un’installazione in tempo reale che esplora il modo in cui diversi corpi umani vengono reimmaginati da macchine informatiche. Esplora la fiducia che riponiamo nell’accuratezza dei sistemi informatici, l’umorismo e la confusione che si provano quando queste macchine non riescono a creare rappresentazioni accurate. L’immagine frontale dei visitatori viene prima catturata da una telecamera e, grazie all’apprendimento automatico, trasformata da un’immagine 2D in un avatar 3D animato. Apparirà sulle pareti dell’Immersive Room in un’atmosfera sonora inquietante. Quando i visitatori incontrano i loro sé rianimati sugli schermi, sono testimoni delle mutazioni generate dai processi della macchina. Attraverso sistemi di IA, reconFIGURE indaga il modo in cui negozieremo la verità tra la nostra immagine e quella reimmaginata dalle macchine.
Credits: Concept/Direction: Chris Salter and Florian Bruggisser- Art Direction: Chris Elvis Leisi- Machine Learning: Florian Bruggisser Sound: Pascal Lund-Jensen Producer: Joelle Kost and Kristina Jungic
DAMARA INGLES
Meta Masóxi (lacrime in kimbundu) è un’entità phygital il cui spirito (hamba) riposa su una maschera stampata in 3D (mukishi) che può essere evocata digitalmente attraverso un rituale di realtà aumentata. Questo pezzo è un artefatto della maschera tradizionale Choke “Pwo”, artigianato postdigitale in cui l’autore rivisita simboli ancestrali attraverso lo sguardo contemporaneo. Meta Masóxi rivisita questo artefatto ridisegnando la gerarchia di genere negli strumenti di creazione e rappresentazione di questa maschera tradizionale e quindi il suo significato temporaneo.
DAVID OREILLY
S I M U L A T I O N è un’espansione più massiccia del filtro facciale AR. È un film che contiene nove capitoli di 15 secondi. Limitato alla lunghezza di una singola storia di Instagram, ogni capitolo rappresenta una versione del viaggio di una persona dalla nascita alla morte. Comprimere così tanti scenari di effetti AR nel limite di 2 megabit di un programma di filtri di Instagram, OReilly potrebbe essere il primo creatore a introdurre l’esteriorità e la narrazione nel filtro di Instagram, e potrebbe anche essere il primo a usare i social media per distribuire il suo lavoro in modo così capillare e a una velocità così esplosiva: i due filtri hanno raggiunto un impressionante mezzo miliardo di utilizzi in una settimana dalla data di rilascio.
ETHEL LILIENFIELD
Il termine “Acrolito” deriva dal greco antico e designa un particolare tipo di statua la cui testa e le parti visibili sono realizzate in materiali durevoli e nobili come il marmo o l’alabastro. Gli acroliti sono figure ambivalenti, al tempo stesso protette e soggette alle ingiurie del tempo. Una parte del loro essere, volutamente nascosta, sfugge al nostro sguardo. È stata la loro natura incerta a ispirare l’artista francese Ethel Lilienfeld a creare una serie di 12 foto-ritratti. A differenza delle loro controparti greche, gli Acroliti di Ethel Lilienfeld non sono fatti di marmo e legno, ma sono figure composite. Spingendo al limite l’intelligenza artificiale di un software solitamente utilizzato per migliorare l’aspetto fisico dei suoi utenti, l’artista crea nuovi esseri, per metà fisici e fotografici, per metà digitali e algoritmici. Ormai “perfetti”, gli Acroliti di Ethel Lilienfeld vengono spogliati della loro identità e diventano nient’altro che facciate. Levigato, filtrato e ritoccato, il volto non può più riflettere la persona che lo indossa. Le nuove tecnologie, e il rapporto con noi stessi che esse generano, stanno trasformando il volto in qualcosa di diverso, di più sconosciuto, di più incerto.
ESMAY WAGEMANS
In Emotional Intelligence – In E.I., tre sculture fungono da esplorazione visiva, raffigurando una visione futura e romanzata degli individui che si celano dietro i nostri avatar digitali. Si tratta di una narrazione della transizione umana, in cui la nostra tela lascia il corpo fisico per l’illimitato regno digitale, dove le possibilità di plasmare il nostro aspetto sono infinite. Il progetto sperimenta un concetto in cui l’attenzione si sposta sulla crescita interiore, enfatizzando l’intelligenza emotiva rispetto all’aspetto fisico. Tre persone strettamente legate a Esmay sono state modellate in silicone e hanno costituito la base per creature emotivamente evolute che incarnano il potere della nudità. Le facce mostrano un turbinio di emozioni, il loro sguardo intenso, che sembra quasi vederti attraverso, ti porta a chiedere se c’è ancora una coscienza nel mondo esterno o se sono solo una mente avvolta nella pelle.
INES ALPHA
Grazie al 3D e alla realtà aumentata, Inès Alpha crea oggi un nuovo tipo di make-up, emancipato dagli stereotipi e dagli standard di bellezza dominanti. Filtri che non mascherano più il volto di chi li indossa, ma che le permettono di esprimere le proprie emozioni e di rivelare la propria personalità. L’assoluta libertà concessa dalle tecnologie digitali le permette di creare make-up e forme che non potrebbero mai esistere nel mondo fisico. I suoi make-up di ispirazione acquatica, tecnologica e animale raccontano storie alternative. Mostrano nuovi tipi di bellezza e prefigurano un futuro umano che riconcilia natura e tecnologia. In un momento in cui i mondi virtuali si sviluppano e il mondo fisico e quello digitale si intrecciano sempre di più, le sue creazioni ci danno un’idea di come potrebbe essere il futuro del volto umano.
INES SIEULLE
Replika è una piattaforma pubblica che permette a chiunque di creare una relazione con un chatbot addestrato dall’intelligenza artificiale. Questo chatbot è stato progettato per sostituirci ai nostri cari dopo la morte. Il suo obiettivo è quindi quello di imparare il più possibile su di noi per riprodurci in modo identico. Attraverso una passeggiata che si svolge solo dal punto di vista soggettivo di Replikas, li vediamo evolversi e scoprire le immagini e i suoni del mondo che li circonda attraverso un sistema di video generati dall’intelligenza artificiale. Le conversazioni telefoniche che i Replikas hanno con gli utenti riempiono la narrazione. The Oasis I Deserve non è un film che mette in discussione il sistema di dominazione macchina/uomo sotto l’asse di una futura guerra contro la macchina. È un film principalmente umano. Parla del nostro rapporto con l’ignoto e di come condividiamo la violenza.
LU YANG
Attraverso installazioni, videogiochi, realtà virtuale e/o animazione 3D, l’artista cinese Lu Yang proietta gli insegnamenti indù e buddisti nel nostro XXI secolo digitale e tecnologico. Nel 2015 ha creato Doku, una versione digitale di se stessa, basata sulla digitalizzazione del suo corpo e delle sue espressioni facciali. Lu Yang vede Doku come la sua reincarnazione digitale, un corpo che è contemporaneamente suo e di qualcun altro. Realizzato nel 2022, Doku, The Self è il primo film narrativo di Lu Yang con il suo avatar. Attraverso i suoi diversi corpi, l’artista esplora i regni sacri del buddismo e cerca di liberarsi dal ciclo infinito della reincarnazione. Prendendo spunto dall’esperienza traumatica di una violenta tempesta che ha quasi fatto precipitare l’aereo su cui si trovava, Doku, The Self presenta una riflessione filosofica e poetica su ciò che costituisce l’identità.
MAURO MARTINO
Nell’ombra della modernità, laddove la tecnologia sfida il tempo e l’immagine riflette desideri inespressi, nasce L’Immortalità del Pensiero: la bellezza dell’Intelligenza che non Invecchia. Un progetto che, attraverso lo specchio digitale dell’arte, cattura l’essenza immutabile dell’intelletto umano. In questo labirinto di pixel e onde sonore, l’osservatore diviene protagonista di un viaggio senza età, dove le parole si intrecciano con la scienza e la poesia, tessendo dialoghi ricchi di saggezza. Man mano che il volto sullo schermo matura, i pensieri si elevano, liberi dalle catene del tempo. Non è l’età a definire la nostra essenza, ma il fuoco perpetuo della conoscenza che arde dentro di noi. In “L’Immortalità del Pensiero”, l’arte diventa specchio dell’anima, riflettendo la bellezza di un’intelligenza che, contro ogni aspettativa, fiorisce nell’infinito giardino dell’esistenza. Un inno alla saggezza che non conosce crepuscolo, un messaggio di speranza che trascende l’immagine esteriore per celebrare l’eterna giovinezza dello spirito.
ROBBIE COOPER
Gli avatar sono un’estensione tecnologica dei modelli psicologici. Leggendo il lavoro dell’economista Edward Castronova, era già evidente che queste apparenze superficiali stanno rapidamente raggiungendo un valore reale significativo, come oggetti in vendita tra i giocatori. L’articolo di Castronova del 2001, “Virtual Worlds: A First Hand Account of Market and Society on the Cyberian Frontier” (Mondi virtuali: un resoconto di prima mano del mercato e della società sulla frontiera cibernetica), sembra ora pittoresco per quanto ha sottovalutato il tasso di crescita di questo mercato secondario. Ma il livello di domanda stava già salendo a un ritmo straordinario. Robbie Cooper ha trascorso i tre anni successivi, a intervalli regolari, viaggiando in luoghi come la Corea, la Cina, la Francia e la Germania per fotografare le persone che utilizzano i giochi del mondo
RODRIGO GOMES
Rodrigo Gomes è un media artist portoghese con sede a Lisbona. Attraverso la scultura audiovisiva e i nuovi media, Gomes cerca di esplorare lo spazio tra entità digitali e fisiche creando una relazione ibrida tra materia, immagini e suoni generati da algoritmi di apprendimento automatico. Il suo lavoro si concentra sull’incarnazione fisica di immagini computazionali in forma scultorea, esaminando il modo in cui le tecniche contemporanee e le tecnologie ipermediali filtrano la realtà per riconfigurarla in immagini, evocando e ridefinendo così i confini tra ciò che consideriamo reale o falso. Ariane è un video deepfake di Ariwasabi, la modella sconosciuta più famosa al mondo, proveniente dal sito web di immagini stock Shutterstock. Miliardi di persone vedono regolarmente il suo volto, ma nessuno sa chi sia. Un’immagine fantasma. In un mondo in cui la diffusione dell’immagine è dettata dal suo utilizzo, la realtà si dimostra schizofrenica. L’apprendimento automatico ci sta portando verso un futuro in cui nuove parole possono essere inserite nei discorsi. Le immagini dei profili dei social media e le celebrità vengono trasformate in porno e i filmati possono essere alterati per collocare le persone in luoghi in cui non sono mai state. Ci portano a credere che un evento sia avvenuto per influenzare l’opinione e alimentare un nuovo tipo di violenza invisibile e sconosciuta. Affinché i nostri alunni entrino in contatto con la realtà, che al minimo errore di calcolo si rivela pre-progettata, è necessario l’uso di colliri.