titolo orig. La vérité sceneggiatura Kore-eda Hirokazu cast Catherine Deneuve (Fabienne) Juliette Binoche (Lumir) Ethan Hawke (Hank) Clémentine Grenier (Charlotte) Ludivine Sagner (Amy adulta) Manon Clavel (Manon) Alain Libolt (Luc) Christian Crahay (Jacques) Roger Van Hool (Pierre) genere commedia prod Francia, Giappone 2019 durata 107 min.
Fabienne, grande attrice francese, è impegnata sul set di una fiction di fantascienza e ha appena dato alle stampe un libro di memorie. È il motivo per cui torna, ospite da lei, sua figlia Lumir che vive a Hollywood dove fa la sceneggiatrice. Con Lumir ci sono anche suo marito Hank (attore di serie B con problemi di alcolismo) e Charlotte, simpatica marmocchietta figlia della coppia. Tra una capitolo e l’altro del libro e alcune scene sul set, Fabienne e Lumir hanno modo di rievocare i tempi andati, le amicizie, le passioni, gli amori, ma anche i rancori e gli errori, amplificati dalla costante presenza di una “messa in scena” dovuta alle rispettive professioni. Estesi naturalmente agli uomini di casa: Hank, in primo luogo, ma anche Luc, il fedele segretario di Fabienne, Jacques, il nuovo compagno, e Pierre, ex marito e padre di Lumir.
A confondere ulteriormente le acque, mescolando realtà e finzione, anche il set di lavoro che, guarda caso, parla di un rapporto madre-figlia. Kore-eda, autore di Father and Son (2013), Ritratto di famiglia con tempesta (2016) e Un affare di famiglia (2018), si conferma cantore autentico delle dinamiche domestiche del terzo millennio, nonché degno erede di Yasujiirō Ozu. Ma qui la lezione di Ozu si arricchisce ulteriormente contaminandosi con Effetto notte (1975) di François Truffaut e le riflessioni del regista francese sulla “settima arte”. Senza dimenticare altri riferimenti (e omaggi) iconografici disseminati quasi per caso nel film come il poster di Fabienne giovane che richiama Bella di giorno (1966) di Buñuel.
“Nel cinema deve esserci poesia” afferma quasi distrattamente la grande attrice. Ed è proprio l’autentica poesia che non manca nel film di Kore-eda il quale, con questo quindicesimo lavoro, il primo girato fuori dal Giappone, con attori e maestranze non giapponesi, in una lingua (anzi: due idiomi) diversi dal suo, entra nel ristretto numero degli autori che stanno dando un futuro al cinema. Che lo stanno salvando dal Pompierismo Holliwoodiano. Spieghiamo il concetto, aiutandoci con Alberto Savinio. I pittori “pompiers”, così chiamati per gli elmi, simili a quelli dei vigili del fuoco, calzati dai personaggi delle loro tele, erano gli esponenti più conservatori dell’accademia. Autori di opere a soggetto per lo più mitologico o classicheggiante, gonfie di enfasi, ma prive di contenuto. A loro si contrapponevano gli artisti delle avanguardie, a cominciare dagli Impressionisti che uscivano dagli atelier per raccontare la vita “vera” in una forma innovativa. Ebbene oggi Hollywood, con le sue baracconate fumettistiche, le sue commedie melense, i suoi drammi da quattro soldi è affetta da Pompierismo acuto. O, se preferite, dalla Sindrome di Casablanca, come la definisce Peter Greenaway. Ossia il cineromanzo e l’eccesso di narratività: “Si continuano a raccontare storie sempre con le stesse vicende, con gli stessi caratteri psicologici. A differenza di altre arti, il cinema si è evoluto ben poco in cento anni. È un mezzo passivo e dittatoriale. La pittura nel ’900 ha conosciuto molte sperimentazioni. Il cinema non è ancora arrivato al suo periodo cubista” ha dichiarato più volte il regista inglese, capofila del piccolo gruppo di autori che abbiamo ricordato e che comprende Lars Von Trier, Alejando Amenábar, Michael Moore e, adesso, anche Kore-eda Irokazu.
Due piccole chiose per concludere: perché tradurre al plurale il titolo originale La vérité? Forse che non ne bastasse una? Vero che nel corso della vicenda di verità ne emergono molte, ma è proprio questo a dare forza al singolare del titolo. Proprio perché la singola verità, nella finzione del cinema, non basta a spiegare le molteplici verità della vita. E viceversa. Ogni personaggio è portatore di una “propria” verità che quasi mai collima con quella degli altri. Anche di chi gli sta più vicino: madre, figlia, marito, compagno, amico, amica, collega. Dunque: viva la verità che non è una, ma multipla. E poi il solito, doveroso sparo sulla croce (non rossa) di un doppiaggio becero. Che, tanto per cambiare, spalma tutto in italiano, anche le parti in cui, in originale, Binoche e Hawke (per esempio in camera da letto), ma anche Deneuve e la piccola Grenier recitano in inglese anziché in francese. Annullando proprio l’effetto straniante che si ha quando due personaggi parlano lingue diverse e non si capiscono. O si capiscono solo per empatia.
E allora perché vederlo?
Perché è un bel film. Cosa piuttosto rara di questi tempi.