Illusioni perdute, ambientato nella Francia della Restaurazione, narra l’ascesa e la caduta di un giovane intellettuale di belle speranze
Con un formidabile sceneggiatore alle spalle che si chiama Honoré de Balzac è difficile sbagliare. Ambientato nella Francia della Restaurazione Illusioni perdute narra l’ascesa e la rovinosa caduta di un giovane intellettuale di belle speranze stritolato dalla macchina dell’industria culturale che, benché ancora in fasce, presenta già tutte le malizie, le iniquità, le discriminazioni di una società molto più evoluta. “È terribile per un genio nascere in provincia”. E se a scrivere queste parole è stato un certo Søren Kierkegaard (nato a Copenaghen, peraltro, non a Canicattì) probabilmente c’è qualcosa di vero.
Il povero Lucien Chardon, che per nobilitarsi si fa chiamare con il cognome materno De Rubempré, effettivamente nasce e cresce in provincia, ad Angoulême, che potrebbe essere una Ascoli Piceno per Italia. Tipografo per mestiere e necessità è però vocato alla poesia che coltiva grazie all’appoggio (non proprio disinteressato) di una nobildonna del luogo con cui intreccia anche una liaison sentimentale. Tutto bene (o quasi) finché i due si trasferiscono nello sfavillante, caleidoscopico, vorticoso Tout-Paris ossia nel cuore pulsante, pettegolo, elitario, perbenista e sottilmente razzista della capitale. Tralasciamo il resto della trama per la sua prevedibilità, ma già queste prime due parti del racconto (accompagnato da una voce off narrante di cui scopriremo solo alla fine a chi appartiene) si prestano ad alcune considerazioni.
Alcune considerazioni su Illusioni perdute
L’avvio, ossia la descrizione della vita nel placido conformismo provinciale, è farraginosetto, lentino, con la sordina inserita o, se preferite, il freno a mano tirato. Al punto da far quasi pensare che regista e sceneggiatore vogliano reinventare la macchina da scrivere nell’era del computer. Poi però la musica cambia. Con l’arrivo a Parigi si suona la carica di cavalleria e si sciolgono le briglie. È la parte migliore del film. Spumeggiante, serrata, ironica, feroce come il mondo che rappresenta. Fatto di attivismo esasperato, ma anche di cinismo, malaffare, ipocrisia elevati a sistema. E la stessa macchina da presa sembra coinvolta in tale tourbillon. Veloce, mobilissima, insinuante, compiacente e complice dello spettatore. Poi però, quando Lucien ritrova la “purezza” perduta, la narrazione torna a incartarsi, ma a questo punto possiamo stare tranquilli perché l’epilogo è vicino.
Che altro aggiungere? Sicuramente alla verve che contraddistingue il ritratto in nero di Parigi, con i suoi riti sociali, i teatri boulevardier e il Palais-Royal, le miserie, le nobiltà, gli affari sottobanco, le gazzette e la claque, contribuisce non poco la presenza in scena di un vecchio marpione come Depardieu mentre Cécile de France è perfetta nel ruolo di acqua cheta sotto cui ribolle un torrente di passioni. Un po’ più legnosi i giovani Voisin, Lacoste e Nolan mentre il comparto femminile del cast è eccellente. E adesso alcune chicche dai dialoghi che la dicono lunga sul significato profondo del film. Anche perché, con ogni probabilità, sono farina del sacco di Balzac: “La letteratura serve solo a nutrire delle illusioni”. “Oggi si può pagare per tutto: è il progresso” e, ciliegina sulla torta capitalistica, “Come dicono i miei amici inglesi, il liberalismo economico sarà la libertà di una volpe libera in un pollaio libero”.
E allora perché vedere Illusioni perdute?
Perché come si dice ancora nel film in fatto di asterischi, quando vide Gesù camminare sulle acque un critico disse: “Beh, non sa nemmeno nuotare!”.
Dettagli di Illusioni perdute di Xavier Giannoli
titolo orig. Illusions perdues sceneggiatura Xavier Giannoli, Jacques Fieschi cast Benjamin Voisin (Lucien Chardon) Cécile de France (Louise de Bargeton) Vincent Lacoste (Étienne Lousteau) Xavier Dolan (Nathan d’Anastazio) Gérard Depardieu (Dauriat) Salomé Dewaels (Coralie) Jeanne Balibar (marchesa d’Espard) André Marcon (barone du Châtelet) Louis-Do de Lencquesaing (Finot) Jean-François Sténevenin (Singali) genere drammatico lingua orig. francese prod Fr, 2021 durata 141 min.
DVD selezionati da Riccardo E. Zanzi, recensione di Auro Bernardi