L‘America delle disillusioni di Francis Scott Fitzgerald

Dopo la fine della prima guerra mondiale gli Stati Uniti d’America vivono fino al 1928 un periodo di grande prosperità economica e un’esplosione di gioia e di serenità. Sono i cosiddetti ruggenti anni Venti, l’età del jazz e il periodo d’oro di George Gershwin, una stagione che terminerà giovedì 24 ottobre 1929 con il crollo della borsa di Wall Street e l’inizio della Grande Depressione.

Protagonista e testimone con i suoi racconti e romanzi di questo periodo di effimera felicità è Francis Scott Fitzgerald, l’autore di “Il grande Gatsby”, narratore delle problematiche della sua generazione. Nato il 24 settembre 1896 a Saint Paul nel Middle West, figlio di un gentiluomo del sud, Francis cresce in un ambiente aristocratico e studia in diversi collegi cattolici iniziando giovanissimo a scrivere brevi racconti. Il suo periodo più felice è quello vissuto durante gli studi all’università di Princeton tra feste, attività sportive e frequentazioni di spettacoli musicali. Nel 1917, dopo aver conseguito la laurea, si arruola nell’esercito e da sottotenente aspetta di essere inviato al fronte in Europa, mentre sta correggendo il suo primo romanzo “Di qua dal paradiso”. In Alabama a Camp Sheridan dove il suo reparto si sta addestrando e preparando al battesimo del fuoco, incontra a un ballo Zelda Sayre, figlia di un giudice e se ne invaghisce perdutamente.

La moglie Zelda, il grande amore

“Tenera è la notte”

La fine della prima guerra mondiale nel novembre 1918 gli porta il congedo senza aver mai attraversato l’Atlantico e il giovane scrittore trasferitosi a New York, è profondamente deluso dal rifiuto di Zelda di sposarlo (la ragazza non vuole accasarsi con un uomo di fatto squattrinato), ma si consola con il grande successo ottenuto dal suo libro. Poi grazie ai soldi guadagnati Francis può finalmente sposare Zelda dando inizio insieme a lei ad un’esistenza brillante e anticonformista. Nel 1920 Scott parte per l’Europa. Prima è a Londra, poi in Italia, in Francia e infine a Parigi. L’anno seguente nasce sua figlia Frances, chiamata affettuosamente Scottie e contemporaneamente si manifestano i primi sintomi della malattia mentale di cui soffre sua moglie. Nel 1922 scrive il suo secondo romanzo “Belli e dannati”, storia di un amore tragico tra vizio ed etilismo seguito dalla raccolta “I racconti dell’età del jazz”. Nel 1925 è la volta di “Il grande Gatsby”, ritratto di una classe sociale agiata ma destinata alla sconfitta, la sua opera più famosa e nel 1926 dà alle stampe “All The Sand Men Young”. Fitzgerald è ormai uno degli scrittori più importanti del Ventesimo Secolo, simbolo della cosiddetta ‘generazione perduta’, che deve affrontare la rottura morale causata dalla Prima guerra mondiale, ma anche godersi benessere e prosperità destinati a scomparire dopo la crisi del 1929. Nel 1934 pubblica “Tenera è la notte” incentrato sull’infelicità della coppia, nel libro rappresentata da uno psichiatra e da sua moglie che viaggiano agiatamente per l’Europa degli anni Venti. Ricco e famoso insieme all’amata Zelda vive un’esistenza fatta di bagordi, di sprechi immensi di denaro, di fiumi di alcool e di droghe nel felice periodo vissuto a Parigi con i colleghi e compatrioti Hemingway, Stein, Don Passos, poi sulla Costa Azzurra, in Italia e di nuovo nell’affascinante e vitale della New York dell’epoca, per nulla domata dal proibizionismo vigente. La malattia mentale della moglie, costretta a frequenti ricoveri in cliniche specializzate, lo porta lentamente all’autodistruzione e all’alcolismo.

“Il grande Gatsby”- 1949

Hollywood, la Mecca del Cinema

Negli anni Trenta tenta senza successo l’avventura come sceneggiatore a Hollywood. Nel 1937, a causa dei debiti contratti per la sua vita dispendiosa, accetta un’offerta della Metro Goldwyn Mayer di 1000 dollari la settimana per sei mesi, ma il suo inserimento nella Mecca del Cinema non funziona. Dopo diversi tentativi umilianti, il romanziere riesce a malapena a portare a termine la sceneggiatura del film “Tre camerati”, tratto da un romanzo di Remarque per la regia di Frank Bozage. Poi gli viene data la possibilità di lavorare sul copione di “Via col vento”. Il risultato è però disastroso e Hollywood lo licenzia. Deluso, amareggiato e disperato, Scott Fitzgerald scrive agli amici e riprende a bere (la vicenda viene raccontata nel libro “Sarà un capolavoro. Lettere all’agente, all’editor e agli amici” di F. Scott Fitzgerald a cura di Leonardo G. Luccone Minimum fax 2017). Il 21 dicembre 1940 a Los Angeles durante la stesura del suo ultimo romanzo “Gli ultimi fuochi”, muore d’infarto.

I romanzi di Francis Scott Fitzgerald sul grande schermo

Nonostante la difficoltà di portare sul grande schermo le sue opere, il cinema, che è ancora nel muto, già nel 1926 accetta la sfida di tradurre in immagini “Il grande Gatsby” per la regia di Herbert Brenon, sceneggiato da Becky Gardiner ed Elizabeth Meehan, una pellicola andata perduta e mai più ritrovata di cui rimangono solo alcune sequenze, che vede protagonista Nick Carraway, un giovane del Midwest abitante a Lond Island, attratto dalla vita lussuosa del suo vicino, il ricco e bello Jay Gatsby. Nel 1949 è la volta di Elliott Nugent, autore del nuovo adattamento dello stesso romanzo incentrato sull’imminente disfacimento di una società e di un modo di vivere che sarebbero stati cancellati dal crack del 1929. Il film, interpretato da Alan Ladd, Harry Sullivan, Sherley Winters, Betty Field, Ruth Hussey, Howard De Silva, non piace al pubblico e alla critica, nonostante la buona prova di Alan Ladd. Dopo venticinque anni il regista Jack Clayton ci riprova. È il 1974 e “Il grande Gatsby” con la sceneggiatura di Francis Coppola, è nuovamente sul grande schermo interpretato da Robert Redford. “Negli anni Settanta – scrive Giuliana Muscio nel suo “Robert Redford”, Gremese editore – l’attore completa il profilo dell’eroe WASP anche nel versante femminile, attraverso la figura dell’uomo oggetto inafferrabile”. Anche questa versione non è apprezzata dalla critica. Per Tullio Kezich “Gatsby è un personaggio che respinge la concretezza della rappresentazione; era già accaduto nei film con Warner Baxter (1926) e Alan Ladd (1949), ma neanche Robert Redford convince fino in fondo. Mia Farrow, poi, riduce Daisy a una rompiscatole un po’ esaltata e un po’ ipocrita, che non sarebbe piaciuta all’autore”.

“Il grande Gatsby” – 2013

Nel 2013 è la volta di Baz Luhrmann con Leonardo Di Caprio  protagonista di questa versione in 3D a ritmo di Hip hop presentata al festival di Cannes. Il film, del costo di 200 milioni di dollari, è un melodramma sfarzoso e kitsch, un fumettone a colori girato per buona parte in Australia, che ottiene incassi da capogiro, ma divide la critica cinematografica.  Il cinema però non ha trascurato anche altre opere di Fitzgerald come il racconto “Babylon Revisited”, pubblicato il 21 febbraio 1921 sul quotidiano The Saturday Evening Post diventato “L’ultima volta che vidi Parigi” del 1954 di Richard Brooks, con Elizabeth Taylor e Van Johnson; storia di Charles, un ufficiale americano che conosce nella capitale francese subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, Helen, una ragazza appartenente ad una famiglia benestante. I due si sposano e hanno una figlia, Vicki. Lui, scrittore frustrato, inizia a bere e manda all’aria il matrimonio. La donna poi si ammala e muore. Charles tornerà  in America lasciando la figlia che verrà allevata dalla cognata Marion (Donna Reed). Anni dopo ormai un romanziere rinnomato, l’uomo tornerà a prendersi Vicki per riportarla a casa. Grande successo al botteghino (il tema musicale scritto da Jerome Kern è indimenticabile), la pellicola permette a Van Johnson, attore non eccelso, di dimostrare finalmente la sua bravura. Dopo “Tenera è la notte” (1962) per la regia di Henry King con Jennifer Jones, Jason Robards e Joan Fontaine, nel 1976 Elia Kazan dirige “Gli ultimi fuochi”, romanzo incompiuto sceneggiato da Harold Pinter con un memorabile Robert De Niro nei panni Monroe Stahr, autoritario capo di produzione di una grande major hollywoodiana, che si innamora di una ragazza molto somigliante alla moglie defunta. Il personaggio è chiaramente ispirato al geniale Irving Thalberg, il boss della Metro Goldwyn Majer e fondatore dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences che creerà il Premio Oscar. Questa volta il film fa centro perché riesce a esprimere pienamente l’atmosfera raccontata dal libro interrotto dalla scomparsa dello scrittore. Nel 2008 arriva ancora sugli schermi un racconto breve di Fitzgerald tratto dalla raccolta “L’età del jazz”, “Il curioso caso di Benjamin Button” diretto da David Fincher e interpretato da un ottimo Brad Pitt. Al centro della vicenda un uomo affetto dalla sindrome di Hitchinson-Gilford, la cui vita va indietro invece che avanti e novant’anni Benjamin si ritrova neonato. Il film si aggiudica tredici nomination all’Oscar e tre statuette. Francis Scott Fitzgerald è un autore, che attraverso i suoi romanzi ci ha raccontato i sogni e le sconfitte di una generazione, ma leggendo le sue pagine possiamo anche scorgere le luci e le ombre della nostra epoca.

“Il curioso caso di Benjamin Button”
redazione grey-panthers:
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