Dove eravamo rimasti

Dove eravamo rimasti

regia Jonathan Demme sceneggiatura Diablo Cody cast Meryl Streep (Linda Rendazzo-Ricki Flash) Rick Springfield (Greg) Kevin Kline (Pete Brummell) Mamie Gummer (Julie) Sebastian Stan (Josh) Nick Westrate (Adam) Audra McDonald (Maureen) durata 102′

Questioni di famiglia a ritmo di musica. E di un tipo di famiglia ormai molto diffuso nel mondo occidentale: allargata, innanzitutto, a motivo di doppi matrimoni e incroci esistenziali di varia natura, nonché allegramente assortita. Con coppie miste, sul piano razziale e su quello di genere, ovvero etero e omo. Insomma un bel quadretto che non trascura nemmeno i dati macrosociali, con la ex moglie che vive di musica nella liberale California, ma è sull’orlo della bancarotta e l’ex marito che, nella grigia Indianapolis, ha fatto un carrierone e vive nel classico “ghetto per ricchi”, blindato e protetto da guardie armate. Ma il guazzabuglio del cuore umano ha il torto di essere sempre lo stesso, a ogni latitudine e a dispetto di ogni mutamento storico. Con il discrimine tra le classi non più dato dal colore della pelle, ma dal colore dei soldi.

Sicché il padre-paperone, nostante i suoi mezzi, si trova disarmato di fronte alla crisi esistenziale della figlia, mollata dal marito per un’altra donna. E siccome la seconda moglie è lontana, ad accudire l’anziano genitore affetto da Sla, ecco che all’altro capo degli States squilla il telefonino della ex, madre naturale della giovinotta. Lei che, nonostante l’età non più verdissima, se la tira ancora da rockettara dura&pura con la sua band di sciamannati coetanei in locali di quartordine. Rientrata in famiglia, Linda-Ricki è perciò costretta a (ri)fare i conti con la propria esistenza, con il passato, ma, ancor più, con il presente di madre “nonostante tutto”. E a trovare le risorse e le energie per rendersi comunque utile. Non solo con quella figlia squinternata, ma anche con gli altri due rampolli. A loro volta, marito, figli e nuova moglie, con relativo coté di sussiegosi parenti, devono affrontare la sua scomoda e ingombrante presenza, accuratamente rimossa fino a quel momento.

Film di garbata ironia, compiacente e frizzante, pesa quasi per intero sulle spalle di Meryl Streep che pure aveva “già dato” in un ruolo analogo nel musical Mamma mia! (2008). Questo non è un musical, anche se la colonna sonora assume un’importanza primaria proprio come contrappunto di situazioni topiche e snodi drammaturgici del narrato. Gli altri comprimari sono all’altezza della star, anche se in funzione subalterna. Caso emblematico: Meryl che recita avvolta in un asciugamano davanti alla “rivale” in abito firmato. Solo una signora della scena come la Streep se lo può permettere. Altra piccola annotazione: il film è noto anche perché nel ruolo della figlia di Ricki recita la “figlia nella vita vera” di Meryl. Brava, efficace, ma priva di quel qualcosa di indefinibile che fa di una buona attrice una star. Quanto alla regia, finalmente anche i fan più accaniti dell’autore del Silenzio degli innocenti e di Philadelphia si renderanno conto che Demme non è un maestro del cinema, ma un onesto mestierante di Hollywood. Il che non è affatto riduttivo.

Mamie Gummer (Julie) e Meryl Streep (Ricki)
Audra McDonald (Maureen) e Kevin Kline (Pete)

 

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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