Alberto Moravia, il rapporto controverso tra lo scrittore e il cinema

“Il cinema è un’arte diversa dal film” affermava Alberto Moravia, uno dei più importanti romanzieri del XX secolo scomparso il 26 settembre 1990, i cui trenta romanzi sono stati portati sullo schermo da cineasti del calibro di Bertolucci, Blasetti, Bolognini, De Sica, Godard, Maselli, Monicelli e Patroni Griffi.

Alberto Pincherle, nato a Roma il 28 settembre 1907 da una famiglia borghese, già da ragazzo si dedica con passione alla letteratura europea formandosi culturalmente negli anni del fascismo. Ben presto deluso dalla borghesia italiana che si è venduta al regime di Mussolini, Alberto scrive nel 1927 il suo primo romanzo “Gli indifferenti” incentrato su personaggi infelici dal punto di vista esistenziale ed ossessionati dall’erotismo. All’inizio degli anni Trenta Moravia, lo pseudonimo che si è dato, lavora come sceneggiatore cinematografico sotto falso nome entrando nella cosiddetta “legione straniera degli intellettuali” invisi al regime che operano semiclandestinamente, firmando il copione di due film di Renato Castellani, “Un colpo di pistola”, 1942 e “Zazà”, 1944. Nel 1943 fa parte del team di autori che portano a compimento il copione di “Ossessione”, il capolavoro di Luchino Visconti e a guerra finita lavora ancora alla sceneggiatura di La freccia nel fianco, 1945 diretto da Alberto Lattuada.

“La Ciociara”

Alternando la sua attività giornalista su alcuni quotidiani, firma romanzi quali “La romana”, 1947, “La disubbidienza”, 1948, “L’amore coniugale”, “Il conformista”, 1951 e numerosi racconti, drammi, novelle, commedie. Non cessa però di dedicarsi al cinema scrivendo due pellicole di Gianni Franciolini, “Monastero a Santa Chiara”, 1949 e “Ultimo incontro”, 1951. La sua attività letteraria non conosce limiti e dal 1945 inizia anche la “carriera” di critico cinematografico prima a La Nuova Europa e poi sul quotidiano Libera Stampa, quindi all’Europeo di Arrigo Benedetti e infine all’Espresso dove arriva dopo che Angelo Rizzoli ha licenziato Benedetti.  Il suo modo di recensire i film è del tutto inconsueto (in un’intervista dichiara che “io sono oggettivo, molto oggettivo. La mia è sempre una critica a distanza”). Con infallibile intuito sceglie ogni settimana una pellicola da segnalare ai suoi lettori usando di fatto il cinema per scrutare e tentare di capire il mondo che lo circonda.  Sull’attività di critico di cinema Alberto Pezzotta e Anna Girardelli hanno dedicato il libro Alberto Moravia Cinema Italiano –recensioni e interventi 1933 1990 Bompiani Editore. Dal 1953 i suoi romanzi vengono regolarmente traspostati sul grande schermo. Il primo tratto dal racconto “L’imbroglio” del 1937, è “La provinciale” di Mario Soldati, sceneggiato insieme a Giorgio Bassan, Sandro De Feo, Jean Ferry e interpretato da una straordinaria Gina Lollobrigida nei panni di Gemma, una donna che ha avuto una relazione con il giovane Paolo Sertori (Franco Interlenghi), ma che poi sposa il professor Franco Vagnuzzi (Gabriele Ferzetti). Sul loro rapporto coniugale si insinua però Elvira Coceanu (Alda Mangini), una contessa stabilitasi nella loro casa che costringe Gemma a diventare l’amante di un uomo di nome Tittoni. Grazie alla sensibilità del marito la coppia ritrova equilibrio e serenità, mentre la perfida nobildonna sarà cacciata di casa da Franco. Nel ’54 è

“La romana”, 1954

la volta di “La romana” di Luigi Zampa, ancora con la Lollobrigida nel ruolo di Adriana, una bella ragazza che in seguito a una delusione d’amore finisce a fare la prostituta. Sarà salvata da Mino (Daniel Gélin), un giovane antifascista entrato in crisi per aver tradito i suoi compagni di lotta. Il rimorso lo porterà però al suicidio lasciando sola la donna che aspetta da lui in bambino. In Racconti romani del ’55 di Gianni Franciolini su sceneggiatura di Age, Scarpelli, Risi Moravia e Amidei, storia di tre borgatari alla ricerca della fortuna, si nota già nel contesto neorealista i primi segnali di quella che sarà chiamata la commedia all’italiana. Nel 1960, caso unico, il romanziere firma la sceneggiatura con Francesco Maselli per “I delfini”, amaro ritratto di provincia non tratto da una sua opera e interpretato da Claudia Cardinale, Betty Blair, Antonella Lualdi e Anna Maria Ferrero. Nello stesso anno esce nelle sale un film di grandissimo successo, “La ciociara”, una coproduzione con capitali internazionali voluta da Carlo Ponti che farà vincere l’Oscar e la Palma d’oro come migliore interprete a Sophia Loren. Nel 1963 tocca a Jean-Luc Godard firmare “Il disprezzo”, protagonista uno scrittore francese di gialli, Paolo Javal (Michel Piccoli) chiamato dal produttore americano Jerry Prokosch (Jack Palance) a scrivere la sceneggiatura di un film sull’Odissea diretto dal famoso regista tedesco Fritz Lang. Il corteggiamento di Prokosch nei confronti di Emilia (Brigitte Bardot) moglie di Paolo, metterà in crisi il loro matrimonio. La produzione sarà oggetto di uno scontro violento tra Ponti e Godard dopo che il produttore italiano ha rimontato il film riducendolo da 105 a 84 minuti per renderlo più appetibile commercialmente. Nello stesso anno un grande successo lo ottiene una pellicola tratta da uno dei suoi più celebri romanzi, “La noia” diretta da Damiamo Damiani e ambientata nell’alta borghesia italiana durante la fine di un’epoca, quella miracolo economico, il Boom. È la storia del pittore Dino (Horts Bucholz), ricco e annoiato e della sua modella Cecilia (Catherine Spaak), che si fa letteralmente comprare da lui. In una celebre sequenza vediamo Cecilia sul letto nuda farsi ricoprire di denaro dall’artista. L’anno dopo è di nuovo Francesco Maselli a firmare Gli indifferenti, protagonisti Michele Ardengo (Tomas Milian) e Carla Ardengo (Claudia Cardinale), fratello e sorella di una famiglia borghese romana degli anni ’20 in disfacimento su cui ha messo le mani Leo Merumeci (Rod Steiger), uno speculatore senza scrupoli amante di Maria Grazia Ardengo (Paulette Goddard), madre dei due giovani. Ancora una volta il tema della decadenza della classe borghese ritorna prepotentemente al centro della scena letteraria di Moravia.

“Gli indifferenti”

Il film benchè non apprezzato da tutti i critici, rimane uno dei più amati dallo scrittore insieme a “Il conformista” del 1970 diretto da Bernardo Bertolucci. Il conformista si svolge a Parigi nel 1938 dove arriva in viaggio di nozze da Roma l’intellettuale democratico Maurizio Clerici (Jean-Luis Trintignant), docente di filosofia accompagnato dalla bella moglie Giulia (Stefania Sandrelli), ma in realtà inviato dall’Ovra, la polizia politica di Mussolini, per uccidere Luca Quadri (Enzo Tarascio), uno stimato professore inviso al fascismo. La sua conversione al regime è dettata dal desiderio di conquistare una normalità di vita, un modo conformista per sopravvivere. Splendidamente fotografato da Vittorio Storaro, il film rappresenta il momento più alto della collaborazione artistica tra il regista di Parma e lo scrittore romano.  Impossibile dimenticare ancora tra le opere di Moravia portate su grande schermo, “Agostino”, 1962, diretto da Mauro Bolognini dal romanzo uscito nel ’45, subito premiato e letto in tutto il mondo. Il tredicenne Agostino (l’intenso Paolo Colombo), un ragazzo veneziano legatissimo alla madre (Ingrid Thulin), giovane e avvenente vedova, è turbato della corte del playboy Renzo (John Saxon) alla donna, che suscita in lui sentimenti di gelosia. Per reazione l’adolescente si unisce ad una banda di ragazzini di strada dando così il via alla sua iniziazione sessuale.  Negli anni Settanta e Ottanta il “saccheggio” delle opere di Moravia continuerà senza sosta soprattutto con i romanzi ritenuti più morbosi e trasformati in commedie leggere e commerciali come “Io e lei” per la regia di Luciano Salce (avrà un remake tedesco diretto da Doris Dörrie) e poi Desideria di Gianni Barcelloni, La disubbidienza di Aldo Lado, L’attenzione di Giovanni Soldati, tutti e tre interpretati da Stefania Sandrelli e ancora La cintura di Giuliana Gamba.  Alberto Moravia saggio e distaccato, tranne in occasione del film di Luciano Salce Io e lui, dove mi permise di dissentire, concederà i diritti dei suoi libri  senza problemi, standosene in disparte riguardo alla loro trasposizione filmica convinto “che il rapporto tra l’opera letteraria e il film è simile a quello che corre tra la materia e l’opera d’arte. Un cineasta nell’ispirarsi ad un romanzo può capire o non capire; riuscire o non riuscire a far capire agli altri quello che si vuole esprimere”.

“Il conformista”

 

Pierfranco Bianchetti:
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