In Ritratto della giovane in fiamme Marianne racconta la genesi di un suo quadro e l’esperienza sentimentale da lei vissuta con la giovane ritratta sulla tela
Sembrano Lezioni di piano (Jane Campion, 1993) e invece sono lezioni di pittura. Quelle che già sui titoli di testa la giovane Marianne impartisce ad alcune adolescenti a cui fa anche da modella. Perché siamo nella Francia dell’Ancien Régime e dunque alle donne non è consentito un accesso pieno alle belle arti, come a moltissime altre attività intellettuali. Eppure Marianne è una che ce l’ha fatta, nel senso che è una ritrattista di fama sia pur nella scia del babbo pittore. Un po’ come, due secoli prima, in Italia, Orazio e Artemisia Gentileschi. Una delle allieve, però, dai ripostigli dell’atelier riesuma un quadro (vagamente romanticheggiante) di mano della stessa Marianne in cui compare una giovane con il lembo della lunga gonna preda di una lingua di fuoco. Richiesta di spiegazioni, Marianne racconta, in un lungo flash back che copre il resto del film Ritratto della giovane in fiamme appunto, la genesi dell’opera e, attraverso questa, l’esperienza sentimentale da lei vissuta non molto tempo prima in casa della giovane ritratta sulla tela.
La storia raccontata da Ritratto della giovane in fiamme
E qui si può rispolverare il film della Campion citato all’inizio che sicuramente ha fatto da guida, anche estetica, all’opera della Sciamma. Che ci porta in un paesino (o isola) sperduta della Bretagna dove Marianne è chiamata dipingere il ritratto di Héloïse, una giovane nobile destinata a un matrimonio combinato, il cui futuro marito potrà vederla “in anteprima” grazie appunto al ritratto. In assenza di internet, social, selfie e whatsapp pare che si usasse così. Che tempi! Ma siccome la ragazza da ritrarre è restia a posare (se non peggio) la madre di costei escogita uno stratagemma: Marianne le farà da dama di compagnia e dipingerà in segreto. Facciamo volentieri grazia al lettore del resto della trama per concentrarci su quanto traspare dalle immagini, tra le pieghe del racconto. Che è anche la parte migliore del film al di là e al di fuori del narrato. Per esempio lo scambio di osservazioni e la reciproca indagine psicologica tra le due giovani: prima Marianne su Héloïse, poi, con una certa sorpresa, Héloïse su Marianne. Ben presto il duetto diventa un trio perché a loro si unisce la fantesca Sophie. Sia in innocenti partite a carte sia in occupazioni più impegnative come la lettura delle Metamorfosi di Ovidio (Libro X). Interessanti le considerazioni sul perché Orfeo si sia voltato all’uscita degli Inferi e abbia così perso per sempre Euridice nonostante fosse stato avvertito sul (non) da farsi.
Apice del testo narrativo è la cerimonia notturna delle donne. Una sorta di sabba laico senza streghe, una festa della femminilità (forse fertilità), un rito pagano sulle note di una suggestiva musica a cappella dove tutte le presenti sembrano poter finalmente estrinsecare i propri sentimenti più profondi. Il momento in cui a Héloïse prende fuoco il lembo del vestito. E il giorno dopo, nella grotta sul mare, il compimento di quanto premesso in una metafora di elementi naturali: il fuoco, appunto, del falò, la terra (la grotta), l’acqua (il mare) e il respiro delle due donne (l’aria) che si trasforma in passione. Interessante, dopo tutto ciò, il fatto che la regista non indulga più di tanto nel dolciastro, ma ponga, quasi a pendente dell’attimo di felicità, la terribile prova di Sophie che ha scelto di abortire. L’amore (per forza sterile) tra le due donne e l’amore (fecondo) della domestica che non arriva al compimento. L’aborto avviene su un letto, evidentemente l’unico della povera casa di una contadina, dove gattona un bambino di pochi mesi. Atto sublimato nell’arte quando, su iniziativa di Héloïse, la scena dell’aborto diventa un quadro di Marianne. Da non dimenticare neppure, al proposito, la precedente discussione sul fatto che le pittrici (donne) debbano eseguire prevalentemente ritratti perché, come afferma Marianne, non possono avere modelli maschili che consentirebbero loro di dipingere quei soggetti aulici in voga nel secolo dei lumi.
Scelte stilistiche di Ritratto della giovane in fiamme
Altre scelte narrative, come, per esempio, la corrispondenza tra il vaso di fiori e il ricamo di Sophie sono un po’ più scontate così come, in una percentuale peraltro minima, la regista non riesce a evitarsi alcune leziosità formali come lo specchio tra le gambe di Héloïse con riflessa Marianne o l’apparizione di Héloïse in bianco nel vano buio della porta sulle scale o, ancora, l’insistente inquadratura in verticale (plan plongée alla francese) sul marmocchio accanto a Sophie sul lettone dell’aborto. Siamo comunque non oltre il 10% mentre il restante 90% è asciutto e rigoroso. Compresa la partenza di Marianne con la spiegazione dell’abito bianco di Héloïse. Sin troppo lezioso è invece il solito doppiaggio con gli inutili e fastidiosi squittii delle italiche ladre di voci, ma qui spariamo sulla Croce Rossa.
Finito il flash bach si torna all’atelier di Marianne che osserva i disegni delle sue allieve e a una breve coda narrativa che ci mostra i successivi, unici due incontri con Héloïse successivi alla loro breve stagione bretone.
Ritratto della giovane in fiamme, film femminile e al femminile, ma non per il gineceo delle interpreti dove gli uomini fanno solo le comparse. Gli unici maschi in scena sono quelli che portano Marianne in barca e che non muovono un dito quando il suo bagaglio finisce in mare e deve essere lei a tuffarsi per recuperarlo. Poi, nel finale, il facchino che si porta via il quadro e, al termine del flash back, i gentiluomini nella galleria d’arte. Anche qui interessante ciò che gli spettatori in sala sanno e gli spettatori della mostra no. Quando un esperto elogia il quadro di Marianne (firmato a nome del babbo per le note ragioni) con Orfeo ed Euridice mentre lei “rivede” Héloïse in un ritratto con accanto un bambino, ma con il dito a pag 28 delle Metamorfosi dove sappiamo esserci l’autoritratto della pittrice. Idem per la scena a teatro con la musica di Vivaldi (Le Quattro Stagioni, Estate, III movimento-presto) che avevamo sentito accennare da Marianne alla spinetta nella casa di Héloïse.
Come da titoli di coda, la regista ci informa che il suo film è vagamente ispirato ai Souvenirs de M.me Vigée-Lebrun scritti tra il 1835 e il ‘37. Louise Elisabeth Vigée Le Brun (1755-1842) è stata una pittrice dal talento riconosciuto fin dall’età di quindici anni, diventata ritrattista della regina Maria Antonietta. Al culmine di una carriera che l’ha portata a frequentare i vertici del potere prima della Rivoluzione Francese e ad attraversarla indenne. Detto ciò siamo pur sempre di fronte a una sorta di Éducation sentimental d’Héloïse in chiave postmoderna che è evidentemente la cosa che sta più a cuore alla regista e alle sue battaglie a favore dell’emancipazione femminile in senso pieno. Obiettivo centrato fatta la tara di quel 10% di cui abbiamo detto e di due attrici, per i ruoli principali, pur brave e volonterose, ma non convincenti fino in fondo proprio per quel porsi nella recitazione in modo troppo postmoderno.
Meritata comunque per Ritratto della giovane in fiamme la Palma di Cannes alla sceneggiatura e location da segnare nell’agenda del prossimo viaggio in Francia: Saint-Pierre-Quiberon, comune di poco più di duemila anime nel dipartimento del Morbihan, in Bretagna.
E allora perché vedere Ritratto della giovane in fiamme?
Perché al cinema non si dice mai di no a una bella storia di sentimenti tormentati.
Dettagli del film Ritratto della giovane in fiamme
titolo orig. Portrait de la jeune fille en feu sceneggiatura Céline Sciamma cast Noémie Merlant (Marianne) Adèle Haenel (Héloïse) Valeria Golino (madre di Héloïse) Luàna Bajrami (Sophie) genere drammatico lingua orig. francese prod. Francia 2019 durata 117 min.
DVD selezionati da Riccardo E. Zanzi, recensione di Auro Bernardi