A chi pensa che il Medioevo sia stato un periodo storico oscuro e retrogrado basterebbe ribattere con il semplice elenco delle “invenzioni” realizzate dagli uomini dell’età di mezzo volte a migliorare le condizioni di vita rispetto all’antichità.
Dalla carriola allo sterzo dei carri, dalle staffe per cavalcare allo spallaccio per le bestie da soma, per non parlare di altre istituzioni senza le quali la vita odierna sarebbe impensabile: le banche e l’università, per esempio
E poi i numeri cosiddetti “arabi”, introdotti al posto di quelli romani. Pensiamo al numero 88: due cifre, due segni uguali, le unità e le decine. E pensiamo all’88 romano: LXXXVIII, otto lettere di quattro tipi diversi. Chiedete a un ragioniere come si troverebbe con una partita doppia in cifre romane o al bilancio miliardario di una multinazionale. Se poi non bastassero queste innovazioni potremmo aggiungere il fatto che nel Medioevo vi furono centinaia se non migliaia di donne ai vertici delle arti e delle scienze, a capo di governi, di stati e territori. Cosa che nell’età moderna, ossia dal ‘500 in poi, è avvenuta in maniera molto più sporadica, occasionale e in numero infinitamente minore.
Tra le “invenzioni” medievali ci sono poi alcune perle metafisiche tanto ben congegnate da essere prese per buone fino ai giorni nostri. Due su tutte: il Limbo e il Purgatorio. Ebbene: mentre sul secondo, all’interno della Chiesa Cattolica c’è ancora chi continua a insistere, sul primo ci abbiamo messo finalmente una pietra sopra. Un po’ tardino perché si è dovuti arrivare al 19 gennaio 2007, quando papa Ratzinger, in un ponderosissimo trattato, esortò a “Lasciar cadere l’ipotesi teologica del Limbo”.
In altre parole a levarcelo finalmente di torno. In attesa che avvenga lo stesso anche per il Purgatorio, pensiamo soltanto per un istante a quanti disastri ha seminato nei secoli la fola medievale del Limbo, nata per dare una risposta positiva a un un problema apparentemente senza soluzione (la sorte degli “innocenti” privi del battesimo), e trasformata in età moderna (ossia dal Concilio di Trento al Vaticano II e oltre) in un sadico strumento di coercizione delle masse. Del resto lo stesso bizantinismo di Benedetto XVI che lo liquida come “ipotesi teologica” sta a significare, in buona sostanza, che le Scritture non dicono nulla al proposito. Come del Purgatorio.
Ma veniamo finalmente al film della Samani. Ambientato nei primi del ‘900 in una comunità rurale di contadini e pescatori delle lagune di Caorle, narra il viaggio di una giovane sposa, Agata, verso le montagne della Carnia in cerca di un luogo mitico e mistico, una specie di santuario più pagano che cristiano, in cui, a quanto dice la leggenda, i bimbi nati morti (e dunque destinati al Limbo) possono ritrovare per pochi attimi il respiro in modo da poter essere battezzati e accedere così all’eterno gaudio del Paradiso.
Viaggio iniziatico, dunque, quello di Agata come ci ha insegnato molta letteratura e anche molto cinema “on the road” anche se a caratterizzare l’itinerario di questa contadina analfabeta è proprio la totale ignoranza della meta da raggiungere.
Molti e ben determinati sono invece i sacrifici, fisici e non solo, cui la giovane si deve sottoporre lungo il percorso. Affiancata ben presto da uno strano, ambiguo personaggio, detto Lince, che le fa, a seconda dei casi, da guida, da aiuto e da rimpiazzo. Per non parlare dei briganti che assaltano il carro su cui viaggia e di uno strano Caronte che la traghetta in barca su un lago tra montagne innevate in un richiamo iconografico all’Isola dei morti del pittore simbolista Arnold Boecklin (1827-1901). Film atipico, decisamente fuori dagli schemi eppure interessante, tanto più che si tratta di un’opera prima. Film tutto al femminile, con pochi personaggi maschili relegati a ruoli marginali, e che dell’anima femminile tratta. Di un mondo dove la maternità ha valore non ai fini sociali, ma come cosa in sé. Unica, esclusiva e totalizzante esperienza nella vita di una donna.
La regista sceglie inoltre attori non professionisti, ossia gente vera del posto in cui gira e che interpreta sostanzialmente se stessa. E che si esprime, ovviamente, nel proprio dialetto. Pardon! Nella propria lingua: veneto, friulano e sloveno. Come è giusto che sia. Da cui la necessità di sottotitolare in italiano per chi non proviene da quelle parti. Lingue capaci di dolcezze sublimi e di aspre bellezze. Aspre bellezze come gli ecosistemi della laguna e delle montagne. Film ricco anche di simboli dalle radici ancestrali, come l’uccello nella gabbietta di Lince e quell’acqua-liquido amniotico finale che unisce madre e figlia in un tenero, eterno abbraccio.
sogg e sceneggiatura Laura Samani, Marco Borromei, Elisa Dondi cast Celeste Cescutti (Agata) Ondina Quadri (Lince) Marco Geromin (Ignac) Giacomina Dereani (Lia) Anna Pia Bernardis (donna eremita) Angelo Mattiussi (operaio) Luca Sera (parroco) Teresa Cappellari (Marla) Maria Corinna Mainardis (Corinna) Federica Moliner (perpetua) genere drammatico lingua orig veneto, friulano, sloveno prod Italia, Francia, Slovenia 2021 durata 85 min.
E allora perché vederlo?
Perché ogni tanto bisogna pur uscire dal seminato.
DVD selezionati da Riccardo E. Zanzi, recensione di Auro Bernardi