sceneggiatura Claudio Ripalti cast Camillo Marcello Ciorciaro (Terenzio Grossi) Leonardo Ventura (Olinto Venturi) Rosario Di Giovanna (Sante Frontini) Simone Baldassari (brig. Francesco Cardinale) Roberto Marinelli (pref. M.E. Catalano) Federico Vigorito (pubblico ministero) Francesco Cotroneo (Marco Grossi) Roberto Adriani (don Antonio) Cecilia Bertozzi (Marietta) Manuel D’Amario (Biagio Olmeda) Paolo Gattini (Settimio Grossi) Camilla Bianchini (Franceschina) Ivan Gambertone (cap. Disciacca) genere drammatico prod Italia 2018 durata 117 min.
Questo film dell’esordiente Claudio Ripalti (direttore della fotografia, oltre che regista) dimostra almeno due cose: 1- che il Risorgimento italiano è una fonte inesauribile di soggetti molto meglio della ben più celebre e celebrata epopea del West americano. Con opere non solo “Made in Usa”. 2- che per fare un buon film non servono necessariamente tanti quattrini, ma occorrono soprattutto buone idee. Se i meriti della Banda Grossi fossero solo questi, saremmo già a buon punto. Ma il film ha anche una drammaturgia solida e robusta, bravi attori, sia pur semisconosciuti, e un’ambientazione sontuosa che coincide, tra l’altro, con i luoghi reali delle vicende narrate. Perché, come specifica il sottotitolo, si tratta di una storia vera, sia pur quasi dimenticata. Siamo infatti nelle Marche, attuale provincia di Pesaro-Urbino, nel biennio che segue la proclamazione del Regno d’Italia (1861-62).
Nell’ex Stato Pontificio, come spiega un prete di campagna al protagonista, se sotto il Papa la povera gente era affamata, adesso, sotto i Savoia, è famelica. Nuove imposte e leva obbligatoria hanno ridotto i contadini allo stremo. A vantaggio dei proprietari terrieri. Sembra essere dalle parti del Gattopardo (1963) di Visconti o in quelle di Tiburzi (1996) sconosciuto film del semisconosciuto Paolo Benvenuti (n. 1946), allievo di Rossellini e Jean-Marie Straub, insegnante per necessità e regista per vocazione. E Domenico Tiburzi era un brigante, come lo è Terenzio Grossi. Che a capo di una banda di fuorilegge terrorizza le campagne dell’alto marchigiano per rubare ai ricchi e alleviare un poco le sofferenze dei poveri. Fino all’inevitabile resa dei conti. I manuali di storia ci dicono che le imprese del Grossi rappresentano l’episodio più settentrionale del cosiddetto Banditismo ossia di quella ribellione tra spontanea e di massa al nuovo regime seguita alla “piemontesizzazione” dello Stato Unitario. E a riprova del fatto che il banditismo non è relegato alle regioni meridionali, Tiburzi era maremmano. Dunque Visconti, Rossellini, Benvenuti e un’occhiata al western all’italiana (Sergio Leone) perché così il prodotto si vende meglio anche all’estero, ed ecco un piccolo-grande film, capace di avvincere, ma anche di spiegare. Realista, ma non didascalico, evocativo senza essere inutilmente visionario. Con la sola pecca di una musica (Enrico Ripalti) debordante, fastidiosa e incongrua.
E allora perché vederlo?
Perché dal nostro Risorgimento non si ha mai finito d’imparare.