Da vedere in DVD: “Downton Abbey-il film” di Michael Engler

Sogg e sceneggiatura Julian Fellowes cast Hugh Bonneville (Robert Crawley) Maggie Smith
(Violet Crawley) Michelle Dockery (Mary Talbot) Matthew Goode (Henry Talbot) Allen Leech
(Tom Branson) Elizabeth McGovern (Cora Crawley) Laura Carmichael (Edith Pelham) Jim Carter
(Charles Carson) Tuppence Middleton (Lucy Smith) Simon Jones (Giorgio V) Imelda Staunton
(Maud Bagshow) genere commedia prod GB 2019 lingua orig. inglese durata 115 min.

Da tempo i travasi dalle altre arti al cinema non avvengono quasi più a partire dalla letteratura o dal teatro, ma dai fumetti e dalla televisione. Qui siamo di fronte a quest’ultimo caso, ossia a una “costola” della fortunata serie britannica di successo planetario andata in onda a partire dal 2010 in patria e dal 2011 nel resto del mondo. Con svariate e ripetute repliche su diverse reti che proseguono ancora. Diciamo questo per il fatto che se un ipotetico spettatore venisse da Marte o si risvegliasse da un coma lungo dieci anni e vedesse il film senza un’adeguata infarinatura della serie televisiva non capirebbe molto. La serie tv mostra i piani alti e i “bassifondi” (ossia le cucine e i locali popolati dai domestici) della sontuosa magione inglese di Downton, dimora dell’immaginaria famiglia Crawley, ovvero i conti di Grantham, che troneggia nelle campagne dello Yorkshire. La serie tv è ambientata tra il 1912 e il 1926 ossia nel corso del regno di Giorgio V, nipote e secondo successore della regina Vittoria, mentre il film si colloca nel 1927, quando una missiva da Buckinbgham Palace annuncia una prossima visita reale. Che scatena immediate reazioni, a cominciare dal riacutizzarsi dell’atavica ruggine per questioni di eredità tra Violet, l’inflessibile matriarca dei Grantham, e la cugina Maud.

Il resto è un ameno balletto very british tra la servitù di Downton e i valletti reali che dovrebbero prenderne il posto nel corso della visita, tra l’integrato irredentista irlandese Branson e un conterraneo aspirante regicida, nonché le baruffe chiozzotte tra la figlia del re e il becero consorte a significare che di principesse tristi alla maniera di Lady D è pieno il mondo e, in particolare, casa Windsor. Ed ecco il punto: anche a sorvolare sull’ultra conservatorismo intrinseco alla storia, la debolezza del film, persino rispetto alla serie televisiva, è la velleità di emulare modelli inarrivabili, come il ballo del viscontiano Gattopardo malamente scimmiottato nel ridondante e inutile galop finale in cui tutte le caselline narrative vanno al loro prevedibile giusto posto. O nella storia gay perché nel XXI secolo occorre essere ecumenici e politicamente corretti. A prescindere dal Ddl Zan. Cosa resta, dunque, alla fine? Come per la serie tv, scenografia e costumi. Ma sotto i costumi, niente. In attesa del secondo film (“Downton Abbey: una nuova era”) in uscita il prossimo marzo. Detto questo, la proposta cinematografica sarebbe ghiotta almeno per vedere il film cdc (come dio comanda) ossia in versione originale con i sottotitoli. E sentire il doppio Oscar per la recitazione Maggie Smith recitare con la voce di Maggie Smith anziché con quella della sua doppiatrice Paola Mannoni. Al contrario della televisione che ci propina a forza, volenti o nolenti, l’obbrobrio delle voci rubate e delle interruzioni pubblicitarie. Ma ci sarà sicuramente qualcuno che vuole continuare a farsi del male.

E allora perché vederlo?

Per rimpiangere i crimini e i misfatti di un’altra magione della campagna inglese: l’inquietante, barocca Compton House di Peter Greenaway.

 

Egidio Zanzi:
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