sceneggiatura Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Valia Santella dall’omonimo romanzo di Eshkol Nevo (Neri Pozza) cast Nanni Moretti (Vittorio) Margherita Buy (Dora) Alessandro Sperduti (Andrea) Riccardo Scamarcio (Lucio) Elena Lietti (Sara) Chiara Abalsamo (Francesca a 7 anni) Giulia Coppari (Francesca a 12 anni) Gea Dall’Orto (Francesca a 17 anni) Paolo Graziosi (Renato) Anna Bonaiuto (Giovanna) Denise Tantucci (Charlotte) Alba Rohrwacher (Monica) Adriano Giannini (Giorgio) Stefano Dionisi (Roberto) Tommaso Ragno (Luigi) Teco Celio (Saverio) genere drammatico prod Ita 2021 durata 119 min.
Tre piani ossia tre appartamenti nella stessa palazzina, tre famiglie di condòmini, tre diverse storie che si intersecano e si intrecciano con l’aggiunta di una quarta “gamba” ossia di una quarta unità immobiliar-familiare che fa peraltro da appendice a una delle tre principali. Vediamo di conoscerli: Vittorio, Dora e Andrea, genitori e figlio universitario. Lucio, Sara e la loro figlia Francesca, scolara delle elementari, affidata spesso agli anziani vicini di casa Renato e Giovanna. Costoro hanno una nipote, Charlotte, che vive in Francia ma che ogni tanto torna a Roma. Infine Monica il cui marito Giorgio è sempre lontano per lavoro e che sta per partorire Beatrice, la sua primogenita. Giorgio ha un fratello, Roberto, con cui è ai ferri corti da tempo immemorabile. L’intreccio si sviluppa lungo l’arco di dieci anni con focus ogni cinque.
In altre parole, dopo i fatti enumerati nell’esordio, la vicenda si sposta in avanti di un lustro e sviluppa un altro nucleo narrativo per concludersi dopo altri 5 anni con l’ultima anta del trittico. Non raccontiamo nulla dei fatti perché proprio la trama degli eventi è tra le cose migliori del film. Merito certamente del romanzo di partenza, ma merito anche del regista (e delle sue co-sceneggiatrici) che ne hanno ricavato buon materiale cinematografico. Tuttavia alla fine il risultato non è esaltante. Il pur apprezzabile racconto in immagini accusa più di una volta cedimenti di tono, eccessi che si potevano evitare, inutile retorica. Non necessariamente nell’ordine ecco, per esempio, che la figura dell’integerrimo e inflessibile giudice interpretato dallo stesso Moretti, diventa una delle maschere più sbagliate della sua lunga galleria di personaggi, al di là del Michele Apicella degli autarchici esordi. Nessun padre si comporterebbe così, neppure tra i più destrorsi paladini di un’educazione rigida e marziale. Ecco, per contrappasso, l’altra macchietta rappresentata dal figlio, monolitico e monocorde come può esserlo un burattino, non una persona. Ecco la prevedibile e “telefonata” storia d’amore tra Charlotte e Lucio per non parlare di quest’altro padre che antepone una seduta collettiva in palestra alla cura della propria prole. E si potrebbe continuare a lungo facendo le pulci a una sceneggiatura efficace sì nell’insieme, ma lacunosa o ridondante o bolsa in troppi dettagli. Infine, incredibile a dirsi, con questo film succede che un autore come Moretti, paladino della sinistra di lotta e di governo, finisca con il farci morire tutti democristiani. Tanto consolatorio, ossia lontano anni luce dall’estetica gramsciana, è l’epilogo. Parabola lunga, ma costante, arrivata (forse) a compimento dopo essere partita dal ben più valido La stanza del figlio (2001) per passare attraverso l’imbarazzante Mia madre (2015). Duole ammetterlo, ma, ahimè, ancora una volta si rivela fondato il proverbio che dice: «Chi nasce incendiario, muore pompiere».
E allora perché vederlo?
Per recitare, davanti allo schermo e adattato al bisogno, il famoso monologo di Aprile (1998): «Moretti reagisci… Reagisci… E dai! Moretti: rispondi! Di’ qualcosa! Rispondi! Moretti: di’ una cosa di sinistra… Di’ una cosa, anche non di sinistra… Moretti: di’ qualcosa…».