In Bhutan il tempo sembra essersi fermato, Tv e internet arrivano solo nel XXI secolo inoltrato. E’ tempo di elezioni e anche di prove per l’elettorato…
Dopo averci deliziato con quel piccolo capolavoro da libro Cuore che è Lunana, il villaggio alla fine del mondo (2019) il De Amicis dagli occhi a mandorla e con la macchina da presa al posto della penna rossa ci riprova con questo secondo apologo sulla Felicità Interna Lorda del suo paese. In Bhutan, minuscolo staterello himalayano, incastrato tra Tibet (Cina) e India, il tempo sembra essersi fermato e quelle autentiche diavolerie dell’età moderna come la Tv e internet arrivano solo nel XXI secolo inoltrato. Al pari della democrazia (etimologicamente: potere del popolo) e della sua figlia più stupida: la matematica dei numeri usciti dalle urne delle elezioni.
Ma, in un sistema all’anglosassone, prima di votare, gli aventi diritto devono prendersi la briga di iscriversi alle liste elettorali. Da qui la necessità, ci spiega il film, di una sorta di prova generale delle elezioni in un remoto paesino di campagna di nome Ura. Siamo nel 2008, a pochi giorni dalle prime consultazioni e una commissione elettorale arriva in paese per “insegnare” alla gente che cos’è il voto e come si fa a esercitarlo correttamente. Mediante elezioni simulate con finti simboli e finti partiti. Ma la posta in gioco è altra perché c’è già chi manovra dietro le quinte per essere eletto con relativa macchina del consenso che divide persino famiglie unite e felici fino al giorno prima. È la democrazia, bellezza. Hai voluto la scheda? Adesso mettigli una croce sopra! E pensare che in Bhutan, prima che il potere passasse al popolo, vigeva il miglior sistema di governo che sia mai esistito: il dispotismo illuminato. Massima concentrazione della decisionalità in una sola persona, rapidità nell’esecuzione delle norme (governo snello) e il bene collettivo al di sopra di qualsiasi interesse personale. Alcuni casi concreti nel corso della storia: la Atene di Pericle, per esempio, la Roma di Ottaviano Augusto, la Firenze del Magnifico… Peccato solo che di tali despoti illuminati ne nasca uno ogni 500 anni quando va bene. Ma, tant’è: non si può avere tutto.
Ma torniamo al nostro libro Cuore in salsa himalayana. La partenza è intrigante: con quel vecchio lama meditabondo circondato da fumi s’incenso che chiede al suo giovane accolito di procurargli due fucili entro pochi giorni. Entro la successiva Luna piena. E qui la domanda serpeggia spontanea tra le file della platea: ma che se ne fa un monaco buddhista, ovvero la personificazione stessa della non violenza, della pace universale e della tolleranza, di due armi da fuoco? Il resto della storia si incarica di rivelarci il perché seguendo, con un pedinamento quasi zavattiniano, le storie parallele di alcuni personaggi le cui vite sono totalmente estranee tra loro, ma che convergono tutte, alla fine, verso Ura e il suo saggio, vecchio lama. I membri della commissione elettorale, poi la piccola famigliola composta da mamma, babbo e bambina che sono appunto travolti in varia misura dal terremoto delle urne, un americano a caccia di antiche armi da collezione e la sua guida, un giovane bhutanese ammaliato dalle sirene della modernità, e, su tutti, il giovane monaco discepolo del lama che deve portare a termine il suo arduo compito.
Come nel precedente film, anche in questo più della storia in sé colpiscono i particolari e i siparietti cui l’apparente ingenuità del popolo danno vita nel dipanarsi degli eventi. Come l’”acqua nera” (la Coca Cola) chiesta dal monaco nell’unico bar del paese dove, come da noi negli anni ‘50, la gente è riunita attorno a un totem su cui è issato un vecchio televisore che trasmette film commerciali americani (nello specifico Quantum of Solace, della serie 007, che ha pure un ruolo nella vicenda delle armi) veicolo privilegiato dei nuovi stili di vita. Garbato il siparietto di chi va a iscriversi alle liste senza sapere esattamente quando è nato. Cosa normale in un realtà agreste dove non c’è bisogno di questo dato per guidare al pascolo un gregge di capre o di yak. E via discorrendo con altri momenti analoghi tra cui la compravendita di un vecchio fucile posseduto da un contadino e conteso tra l’americano e il monaco. Poco altro da dire se non concludere con il paragone, anch’esso sbocciato spontaneamente dai ricordi cinematografici, con un classico della comicità di casa nostra: Gli onorevoli (1963) con il Principe della risata “Votantonio… Votantonio… Votantonio”.
Dettagli del film C’era una volta in Bhutan
tit orig The Monk and the Gun sceneggiatura Pawo Choyning Dorji cast Tanding Wangchuk (Tashi) Kelsang Choejey (il lama) Deki Lhamo (Tshomo) Pema Zengpo Sherpa (Tshering Yangden) Tandin Sonam (Benji) Harry Einhorn (Ron Coleman) genere commedia lingua orig bhutanese e inglese prod Bhutan, Taiwan, Hong Kong, Usa, Fr 2023 durata 107 min.
DVD selezionati da Riccardo E. Zanzi, recensione di Auro Bernardi