regia James Marsh sceneggiatura Anthony McCarten dal libro biografico di Jane Wilde Hawking cast Eddie Redmayne (Stephen Hawking), Felicity Jones (Jane Wilde), Emily Watson (Isobel Hawking), Charlie Cox (Jonathan Hellyer Jones), David Thewils (Dennis William Sciama), Harry Lloyd (Brian), Maxine Peake (Elaine Mason), Simon McBurney (Frank Hawking) durata 123′
Sicuramente la notorietà mediatica dell’astrofisico inglese Stephen Hawking è dovuta in buona parte alla terribile malattia degenerativa che l’ha colpito in gioventù e che l’ha costretto su una sedia a rotelle dotata di un monitor attraverso cui riesce a esprimersi e a lavorare. Altrettanto sicura è la notorietà che avrebbe avuto tra gli addetti ai lavori per le sue rivoluzionarie scoperte scientifiche. Adesso questo biopic dovrebbe consacrarlo al pari di un Galileo, di un Newton o di un Einstein con questa sostanziale differenza: Hawking è ancora vivo. Impegnativo erigere un monumento a chi ha ancora qualcosa di dire ed ecco perché la fonte del film diventa il libro di memorie dell’ex moglie Jane Wilde, compagna della prima ora e madre dei tre figli dello scienziato. Dunque Hawking è visto dalla parte di lei, testimone e partecipe del dramma che l’ha colpito ancora studente, avviato a una brillante carriera accademica. E in effetti la dimensione domestica, intima del personaggio è preponderante, persino per quanto riguarda la genesi delle sue teorie più audaci, nate davanti al caminetto, e non in senso metaforico. Più travagli interiori che problemi scientifici, con familiari, amici, parenti e colleghi a fare da sfondo a un intenso rapporto a due che poi, fatalmente, si trasforma in triangolo per sdoppiarsi alla fine in una “partita a quattro” tra vecchi e nuovi legami. Le due ore del film filano via abbastanza tranquillamente con qualche melensaggine di troppo proprio nella descrizione del privato e qualche battutina dal sapore eccessivamente british nelle scene in cui Hawking si confronta con il mondo scientifico. Eccellente tutto il cast, con Redmayne chiamato a fare gli straordinari per calarsi nelle deformità del suo personaggio. Assolutamente di routine la regia per un prodotto finale che sembra pensato più per il piccolo che per il grande schermo.
CINETECA
Il mestiere dello scienziato non è tra i più rappresentati al cinema. Non certo come quello di giornalista, poliziotto o militare, battuto, quanto a numero, persino dai preti. Forse perché il lavoro di ricerca in asettici laboratori o in austere aule universitarie riesce poco appetibile al cinema commerciale sempre alla ricerca di emozioni forti. Fanno eccezione appunto alcuni personaggi eccentrici (per non dire i classici “scienziati pazzi”) la cui vita si presta a elaborazioni mediatiche.