sceneggiatura Lars Von Trier cast Matt Dillon (Jack) Bruno Ganz (Verge) Uma Thurman (Donna 1) Siobhan Fallon Hogan (Donna 2) Sofie Gråbøl (Donna 3) Riley Keough (Simple) Jeremy Davies (Al) genere drammatico prod Dk, Fr, Germ, Swe 2018 durata 145 min.
A ogni nuovo film di Lars Von Trier non dovremmo mai dimenticare da dove parte il regista danese. Quel manifesto estetico chiamato Dogma95 che, se anche poi accantonato di fatto in molte parti, si prefiggeva di «Togliere dal cinema tutto il “cosmetico” che vi si era accumulato nel tempo e smetterla di “ingannare il pubblico” con il “romanticismo borghese”». Di Von Trier si potrà dire di tutto, ma non che manchi di coerenza artistica. Una coerenza che rasenta la caparbietà. La violenza delle sue immagini è, in primo luogo, lo “struccante” di tale cosmetico, la salutare insulina contro la glicemia di Hollywood. Detto ciò, bisogna subito aggiungere che Von Trier ama le Discese agli Inferi. Anzi, possiamo dire che praticamente tutti i suoi film non sono che altrettante Variazioni sul Tema della Discesa agli Inferi. E ben più di Cinque (Le Cinque variazioni, 2003). Le onde del destino (1996) erano la Discesa agli Inferi di Bess, Dancer in the Dark (2000) lo era di Selma, Antichrist (2009) della donna senza nome interpretata da Charlotte Gainsbourg, ma anche il Medea televisivo del 1988 lo era, sia pur per interposta mitologia greca. Ma, a ben vedere, elementi del genere erano già evidenti nell’Elemento del crimine (1984, film d’esordio del regista) e nel successivo Europa (1991), sia pure in contesti narrativi molto diversi. In Antichrist, in particolare, la donna era catalizzatore di tutto il male dell’umanità, donna-demonio, eterno femminino che genera e rigenera la terra e che alla terra ritorna con il rogo finale della “strega”. Terra che, nell’epilogo, sulle note del Lascia ch’io pianga dal Rinaldo di Händel, si ripopola di donne (dal viso cancellato) come nuovi frutti. Streghe che risalgono il pendio della montagna verso Eden (Paradiso), la casa in mezzo al bosco dove si è consumato il dramma. Se, come sembra suggerire Von Trier, il diavolo è donna, la Natura (femmina) è la “chiesa di Satana”. Ma anche la redenzione può avvenire solo attraverso le sofferenze e la morte di una (di tante) donne: i gynocidi di cui è piena la storia e di cui la protagonista raccoglieva la testimonianza con maniacale meticolosità.
Tra Antichrist e La casa di Jack l’unica differenza è che qui il diavolo è uomo e la Discesa agli Inferi si concretizza in una dantesca Discesa all’Inferno in compagnia di Virgilio (Verge). Ma se il poeta latino ha l’aspetto un po’ sornione di Bruno Ganz, alla sua ultima interpretazione prima della recente scomparsa, il robone rosso dantesco si trasforma in una specie di accappatoio da boxeur e copre le robuste spalle di un certo Jack che non ha solo il nome in comune con il ben noto Squartatore. «Nato maschio, nato colpevole», dice il protagonista e la sua guida rincara la dose: «Gli uomini sono sempre i criminali». Von Trier non esce mai dalla metafora letteraria anche se il suo cinema della crudeltà (per rubare il titolo a un celebre libro di André Bazin, il fondatore dei Cahiers du Cinéma) fa superficialmente pensare al pulp. Invece siamo in ben altri campi: in questo film si discetta di arte e letteratura. L’assassinio come una delle belle arti è un libro dello scrittore inglese Thomas de Quincey (1785-1859), inserito da André Breton nella sua Antologia dell’humor nero mentre per quanto riguarda l’arte figurativa i rimandi più frequenti vanno alle opere del visionario pittore e poeta inglese William Blake (1757-1827) grande illustratore, tra l’altro, della Commedia dantesca. E di un trattato sull’arte si tratta. Non solo per il contenuto dei dialoghi tra Vergil e Jack che contrappuntano e fanno da filo conduttore della vicenda, ma per l’uso di materiale “spurio” come gli spezzoni di documentari, le immagini e le riproduzioni di quadri, le animazioni (tradizionali, non digitali), la musica interpretata da un giovanissimo Glenn Gloud fino ad alcune brevi autocitazioni: da Melancholia (2011) e, guarda caso, Antichrist. Dell’armamentario estetico di questo trattato sul crimine, che è una Discesa all’Inferno dantesco, fanno naturalmente anche parte le opere di Albert Speer, l’architetto del diavolo, ossia il progettista favorito di Hitler, e lo stesso Zio Adolfo in persona, con Nonno Benito, Baffone Stalin e via tiranneggiando. Ma perché definire il nazismo (o qualsiasi altra dittatura) “male assoluto”? C’è forse un male “relativo”, più accettabile e tollerabile?
Per quanto valgano le autocitazioni, non dimentichiamo infine che Von Trier ha paragonato il processo creativo di un film a una “traversata dell’Inferno”. E dagli Inferi non si esce, questo lo sappiamo, ma gli Inferi (o meglio: l’Inferno) è esattamente qui, su questa terra, opera totalmente e interamente umana. È il silenzio (di Dio, ma anche degli altri uomini) sul male e sulla violenza. Personificata qui da un serial killer, ovvero da un pazzo psicopatico che incarne e riunisce in sé tutte le follie e le violenze del mondo.
Un ruolo essenziale nella Discesa di Jack è rappresentato dall’acqua. L’acqua in Von Trier ha sempre una connotazione negativa, di morte. Nell’Elemento del crimine è una presenza ossessiva in cui i personaggi annaspano nell’inutile ricerca di una verità e di una via d’uscita. Così come la sorte di Leopold, protagonista di Europa, si compie nell’acqua. Ma, prima di lui, anche suo suocero Hartman muore suicida nella vasca da bagno e in Antichrist il ruscello che “scorre senza emettere un suono” segna l’ingresso a Eden, il luogo dove la coppia si ritira nel vano tentativo di esorcizzare la morte del loro figlioletto e dove si
Delle avanguardie pittoriche del ‘900 (dall’Impressionismo in poi) Alberto Savinio (1891-1952) scrisse che avevano salvato la pittura dalla morte per pompierismo. I pittori pompier erano quelli che, a fine ottocento, riempivano le tele con figure grondanti retorica e in pose altisonanti, spesso con elmi e cimieri simili a quelli dei vigili del fuoco (da cui il nome). Ebbene, da tempo diciamo che Lars Von Trier è uno dei pochi registi che stanno salvando il cinema dalla morte per pompierismo da computergrafica ed effetti speciali, dal rischio di trasformarsi in fumetto, videogame o romanzo Harmony. E non è cosa da poco.
E allora perché vederlo?
Appunto «per togliere dal cinema tutto il cosmetico che vi si è accumulato nel tempo e smetterla di ingannare il pubblico con il romanticismo borghese».
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