Da vedere al cinema: “Licorice Pizza” di Paul Thomas Anderson

tit orig idem sogg sceneggiatura Paul Thomas Anderson cast Alana Haim (Alana Kane) Cooper Hoffman (Gary Valentine) Sean Penn (Jack Holden) Tom Waits (Sam Harpoon) Bradley Cooper (Jon Peters) Benny Safdie (Joel Wachs) Maya Rudolph (Gale) Skyler Gisondo (Lance) Mary Elizabeth Ellis (Anita) Joseph Cross (Matthew) John C. Reilly (Fred Gwinne) Emma Dumont (Brenda) genere commedia lingua orig inglese prod Usa 2021 durata 133 min.

 

A scanso di equivoci e per chiarezza, diciamo subito che Paul Thomas Anderson non è Orson Welles e i suoi film, a cominciare dai sopravvalutati Magnolia (1999) e The Master (2012) di cui, per fortuna, non si ricorda più nessuno, non sono capisaldi della storia del cinema. Se non nell’opinione di qualche anima candida della cosiddetta “critica” italiana (tipo il titolare de “Il Fatto quotidiano”) formata con ogni probabilità sui sacri testi di qualche “maestro” da strapazzo come l’attuale rettore dello Iulm di Milano. Se diciamo tutto ciò è perché, con molto anticipo sull’uscita, dalle colonne dei giornali cartacei e dai byte di quelli online si sono già levati alti peana di giubilo inneggianti l’ultimo “gioiello” del “sommo” Anderson (testuale!). Invece Licorice Pizza (titolo quantomai strampalato che sarebbe desunto da un omonimo negozio di dischi caro all’autore) non è che una stantia commedia Made in Usa con tutti gli ingredienti del più inveterato sciovinismo stelle-e-strisce. Dalla realizzazione del “sogno americano” (basta intraprendenza e fiuto per gli affari) alle sdilinquaggini di adolescenti in amore. Cose già viste e riviste fino alla nausea a cominciare proprio dai “favolosi anni ‘70” nei quali la storia si colloca.

 

Con questa differenza: che nei film di mezzo secolo fa, ogni tanto, un briciolo di valenza sovversiva si poteva trovare perché c’era in corso qualcosa che si chiamava Guerra del Vietnam, mentre oggi si tratta di una pura e semplice operazione-nostalgia furbescamente pianificata a tavolino. Men che meno un amarcord personale del regista dato che nel 1973, anno della storia raccontata nel film, Anderson non andava ancora all’asilo. Dunque un film dedicato ai senior per l’ambientazione (ormai fare un film sui ‘70 equivale a fare un film “storico”) e dedicato invece per l’intreccio ai teenager che tengono in piedi la baracca cinematografica con la loro presenza nelle sale superstiti armati di coca-cola e pop corn d’ordinanza. Perché di una storia di teenager si tratta, a dispetto dei dichiarati 25 anni della protagonista, oggetto non troppo oscuro del desiderio dell’eroe che, nel film, di anni ne ha 15 (in realtà al momento delle riprese Cooper Hoffman ne aveva 18). A questo proposito va dato atto che il cast è ottimo, centrato sugli esordienti Alana Haim e, appunto, Cooper Hoffman. Esordienti per modo di dire, essendo la prima già popolare come musicista del gruppo rock Haim (formato con le sorelle Este e Danielle) ed essendo il secondo rampollo di quel Philip Seymour Hoffman, attore-feticcio di Anderson che lo volle in cinque dei suoi sei film (tra cui i già citati Magnolia e  The Master) girati prima della scomparsa dell’attore. Completano la locandina alcune comparsate di lusso come quelle di Bradley Cooper, Sean Penn e Tom Waits artefici, questi ultimi due, di un ameno e spumeggiante siparietto che ha peraltro poca attinenza con il resto della storia. Come dire: ho due star al prezzo di una, aspetta che gli faccio fare un po’ i gigioni così i famosi critici vanno ancor più in solluchero. Da sballo, invece, la colonna sonora con non pochi brani d’epoca (tra cui McCarthy, The Doors, Donovan, Bowie e via gorgheggiando) ben calibrati con la successione delle immagini. Già disponibile da tempo nei digital store e nei formati cd e doppio lp. Morale? Se si valutassero le cose per quello che sono, questa “pizza alla liquirizia” (ma non vi viene il voltastomaco solo all’idea?) passerebbe in giudicato come una commediola senza pretese a tratti persino divertente. Ben costruita e curata come può e deve esserlo un prodotto di sartoria hollywoodiana, ma niente più che un piccolo divertissement per chi ancora ha voglia di svagarsi davanti a uno schermo cinematografico. Proprio niente di più.

 

E allora perché vederlo?

Non perché, ma per chi. Per quelli che oggi hanno 70 anni (o giù di lì) e negli anni ‘70 andavano in giro conciati proprio in quel modo: capelli a polpetta, pantaloni a zampa di elefante e camicie strette a righe colorate.

Ecco la Tracklist dei brani eseguiti nel film:

  1. July Tree – Nina Simone
  2. Stumblin’ In – Chris Norman & Suzi Quatro
  3. Sometimes I’m Happy– Johnny Guarnieri
  4. Ac–Cent–Tchuate The Positive(Single Version) [feat. Vic Schoen & His Orchestra] – Bing Crosby & The Andrew Sisters
  5. Blue Sands[feat. Buddy Collette] – Chico Hamilton Quintet
  6. But You’re Mine– Sonny & Cher
  7. My Ding-A-Ling(Live At Fillmore Auditorium, San Francisco, CA/1967) [feat. Steve Miller Band] – Chuck Berry
  8. Peace Frog– The Doors
  9. Let Me Roll It– Paul McCartney And Wings
  10. Life On Mars?– David Bowie
  11. Slip Away– Clarence Carter
  12. Diamond Girl(Album Version) – Seals and Crofts
  13. Greensleeves– Mason Williams
  14. Barabajagal– Donovan
  15. Softly Whispering I Love You– The Congregation
  16. Licorice Pizza– Jonny Greenwood
  17. If You Could Read My Mind– Gordon Lightfoot
  18. Walk Away– The James Gang
  19. Lisa, Listen To Me– Blood, Sweat & Tears
  20. Tomorrow May Not Be Your Day– Taj Mahal

 

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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