Da vedere al cinema: “La misura del dubbio” di Daniel Auteuil

La misura del dubbio, sesta prova dietro la macchina da presa per l’attore, ricalca tutti gli schemi del genere legal thriller, ma lo fa in modo personale e creativo arrivando alla costruzione di una storia senza sbavature, ricca di colpi di scena, mai banale e con un ritmo serrato

 

Evidentemente Anatomia di una caduta (Justin Triet, 2023) ha fatto scuola. E non solo al botteghino. D’altra parte quello che i francesi chiamano film-procès e noi, scimmiottando gli anglosassoni, legal thriller (o autarchicamente giallo giudiziario), è un sotto-genere del poliziesco assai praticato (anche in tv) e generalmente molto apprezzato dal pubblico. Film ambientato per gran parte in un’aula di tribunale dove pubblici ministeri, avvocati e giudici concorrono a definire una verità (processuale, appunto) al merito di storie per lo più di sangue o culminate in fatti di sangue. Dietro le schermaglie in punta di commi e codicilli sta peraltro il racconto di una o più esistenze con il loro carico di drammaticità, di speranze, di delusioni, di incertezze e (quasi sempre) di morte.

La misura del dubbio, il film (incomprensibile il titolo italiano) di Auteuil, sesta prova dietro la macchina da presa per l’attore, ricalca tutti gli schemi del genere, ma lo fa in modo personale e creativo arrivando alla costruzione di una storia senza sbavature, ricca di colpi di scena, mai banale e con un ritmo serrato, ma privo di enfasi, che tiene incollato lo spettatore allo schermo minuto dopo minuto. Senza nemmeno che il protagonista si prenda la scena più di quanto non serva a tratteggiare il ritratto di un avvocato in crisi che accetta una difesa d’ufficio perché si convince intimamente dell’innocenza del proprio assistito, accusato di uxoricidio. A sostenere Auteuil in maniera impagabile è il comprimario Grégory Gadebois nel ruolo dell’accusato.

La storia di La misura del dubbio

Un buon padre di famiglia, con cinque figli piccoli e una moglie alcolizzata e assente. La partenza è col botto e il seguito della storia svela, con perfetto dosaggio, i retroscena del delitto che avviene in una Provenza invernale, senza turisti, fredda, piovosa e ventosa come le coscienze dei testimoni e dei familiari della vittima. E di svelamento in svelamento, si arriva a una verità, che coincide solo casualmente con quella stabilita dalla corte d’assise, ma che sovverte a una a una le certezze maturate dal difensore (e dallo spettatore). Comprese causa scatenante e movente del delitto, giustamente rivelate solo alla fine ovvero a sentenza abbondantemente passata in giudicato. L’ottima e non invadente musica di Gaspar Claus aiuta a mantenere la concentrazione sul dramma in corso. Il fatto poi che il soggetto del film sia stato desunto da un caso realmente accaduto, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha affatto agevolato la messa in scena. I tempi della vita vera e quelli della vita sullo schermo sono incompatibili. Doppio merito quindi ad Auteuil che in fase di sceneggiatura ha saputo allestire una drammaturgia a prova di bomba. Cosa purtroppo sempre più rara nell’ambito cinematografico su scala planetaria dove domina e imperversa invece un pericolosissimo analfabetismo di ritorno. Nove film su dieci sembrano scritti da dei bambini nemmeno troppo dotati, non da professionisti della penna o della tastiera.

I dettagli del film La misura del dubbio

titolo orig. Le fil sceneggiatura Steven Mitz, Daniel Auteuil cast Daniel Auteuil (Jean Monier) Grégory Gadebois (Nicolas Miliki) Sidse Babett Knudsen (Annie Debret) Alice Belaïdi (Adèle Houri) Suliane Brahim (Judith Goma) Gaëtan Roussel (Roger Marton) Isabelle Candelier (Violette Mangin) Florence Janas (Laure Marton) genere legal thriller prod Francia, 2024 durata 105 min.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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