Lo spirito di sacrificio della cultura giapponese, portato all’estremo nel film “Plan75” di Chie Hayakawa. Ricordando che, anche nelle forme più discrete e indolori, la morte è sempre una lacerazione
Nel libro In Asia, Tiziano Terzani apre il suo racconto con un episodio di vita giapponese di cui era stato testimone e che connota perfettamente la mentalità collettiva di quel popolo. In una famiglia, improvvisamente uno dei figli più piccoli manifesta sintomi gravissimi di una malattia sconosciuta. I genitori chiamano l’ambulanza, ma all’arrivo dei soccorsi il bimbo è già morto. Ebbene: i genitori, benché sconvolti dall’accaduto, trovano la forza di “scusarsi” con medici e infermieri “per averli disturbati inutilmente”. Ecco: così ragionano nel Paese del Sol Levante. Aggiungiamo un altro fatto storico: quando, dopo Hiroshima e Nagasaki, l’imperatore firmò la resa incondizionata agli americani, l’intera popolazione era incollata alla radio per seguire l’avvenimento con una mano sulla manopola e con l’altra stretta attorno a una lama per un harakiri collettivo qualora dal palazzo imperiale fosse arrivato l’ordine di farlo. Per fortuna l’ordine non arrivò.
Spirito di sacrificio
Ma veniamo al film. Nelle primissime inquadrature si fa riferimento proprio a quello spirito di sacrificio collettivo che i due episodi citati riassumono egregiamente. Aggiornato (lo spirito) ai tempi attuali. Anzi, a un futuro appena immediato rispetto al presente. Perché già oggi in Giappone si assiste a un progressivo, inesorabile invecchiamento della popolazione essendo il Paese in testa alle classifiche mondiali quanto a durata della vita media. Esattamente come in Italia dove, per giunta, aggraviamo il già pesante “sbilancio” demografico con un desolante panorama di culle vuote. Ebbene, cosa configura al proposito il film della Hayakawa? Appunto l’approvazione governativa di Plan 75 ossia un programma pubblico di assistenza e sostegno, psicologico ed economico, a coloro che, dai 75 anni in su, accettano di porre volontariamente fine ai propri giorni.
Swift nel Sol Levante
Detta così parrebbe quasi una versione riveduta e corretta al XXI secolo e con gli occhi a mandorla della paradossale Modesta proposta di Jonathan Swift, pamphlet in cui lo scrittore e presbitero anglicano proponeva una soluzione radicale al problema del sovrappopolamento e della miseria delle masse contadine nell’Irlanda del primo ‘700. I bambini poveri (e cattolici), malnutriti e vessati sin dalla culla, sarebbero stati amorevolmente “allevati”, accuditi e sfamati per un anno al fine di una loro destinazione al mercato alimentare per gli appartenenti alle classi ricche (e protestanti). Ironico, provocatorio, grottesco (incluse le “ricette” culinarie), lo scritto di Swift era chiaramente volto a suscitare indignazione, non certo consenso, mettendo sotto la lente un drammatico problema sociale dei suoi tempi. Oggi, nei Paesi ricchi e tecnologicamente avanzati, si assiste a qualcosa di simile rapportato però alla terza età anziché all’infanzia.
Tre storie, tre destini
Ed ecco, appunto, il serissimo e dettagliato piano di eliminazione volontaria degli over 75 rappresentato nel film da tre storie con altrettanti protagonisti. L’anziana Michi, con qualche amica, ma senza familiari e una casa in affitto in via di demolizione, e i giovani Hiromu e Maria. Il primo è un promoter (rappresentante/venditore) del “piano”, la seconda un’immigrata filippina con una bimba malata in patria che si occupa di anziani. In un primo momento nell’equivalente di una nostra Rsa e poi a sua volta nelle strutture del Plan tra le corsie dell’ultimo viaggio. Tre storie e tre destini che si intersecano descritti in maniera il più realistica possibile, senza enfasi né intento paradossale, visto l’argomento. Film discreto, di atmosfere, che ricorda a tratti le opere di Ozu con i loro silenzi ovattati, più espliciti di mille discorsi. A volte, specialmente in casa di Michi, sembriamo persino sul set di Umberto D, con i “pedinamenti” del personaggio nella banalità più minuta della sua scialba vita quotidiana. Atmosfere e rarefazioni registiche ben supportate dalla smagliante fotografia di Hideo Urata e dalla discretissima (nel senso di poco appariscente), ma efficace colonna sonora del compositore francese Rémi Boubal.
Specchio di fragilità
Ma, alla fine, cosa ci dice la regista a proposito del suo “piano”? Il punto è uno solo: anche nelle forme più discrete e indolori, la morte è sempre una lacerazione, un trauma. Principalmente per chi rimane. La morte degli altri, anche di un parente che non vediamo da 20 anni (come lo zio di Hiromu), anche di un perfetto estraneo, non è che lo specchio della nostra mortalità, della nostra fragilità di esseri umani. È la maniera più diretta e, per dirla con Alberto Savinio, più “impudica” di essere messi di fronte alla nostra propria morte. Non solo. A monte di tutto ciò sta un discorso più generale sull’essenza della vita a fronte del dilagare, proprio nelle società più avanzate e prospere, grazie ai progressi della medicina, di malattie degenerative e invalidanti, patologie croniche e dalla prognosi infausta: alzheimer, parkinson, huntington, sla, atrofia muscolare spinale, demenze di varia natura… Ebbene, è “vita” restare, magari per anni, in una Rsa a vegetare su una sedia a rotelle (se non peggio) in attesa che “una morte pietosa” (per dirla con De Andrè) ponga fine allo strazio di figli e nipoti? Il film non fornisce, giustamente, una risposta. Si chiude, con un lirismo un pochino edulcorato, su una Michi rediviva (o forse trapassata?), immersa nel bagliore di un tramonto infuocato che canta (in off) una struggente canzone: “Sotto i rami di quel vecchio melo / noi ci incontreremo ancora / quando il sole, vestito di rosso al tramonto, / sembra fondersi in un abbraccio con l’orizzonte”. Così il film si chiude, ma il dibattito è aperto.
E allora perché vederlo?
Perché sarebbe ora e sarebbe bene che anche da noi si cominciasse a ragionare di certi argomenti senza pregiudizi, steccati ideologici o religiosi, ma in maniera seria e approfondita.
Dettagli del film “Plan75” di Chie Hayakawa
tit. orig. idem sceneggiatura Chie Hayakawa da una storia di Chie Hayakawa e Jason Gray cast Chieko Baisho (Michi Kautamu) Hayato Isomura (Hiromu Okabe) Stefanie Arianne (Maria) Yuumi Kawai (Yoko) Taka Takao (Yukio) genere drammatico lingua orig giapponese con qualche frase in inglese e filippino prod Giappone, Francia, Filippine 2022 durata 113 min.
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Riceviamo da una lettrice e pubblichiamo per stimolare il dibattito.
"Leggo l’articolo sul film giapponese Plan 75 e rimango sconcertata: perché mettere in prima pagina un argomento così duro e spietato per i vecchi? Sarà che io sono sensibile sul tema del “ vivere “ e “morire" da vecchi, ma è un argomento che fa solo male…
Un lettore, che preferisce rimanere anonimo, risponde:
"Il film è sicuramente spietato ma viene da un Paese che ha grande attenzione ai vecchi e ai servizi che si possono assicurare a loro. Tra i servizi c’è anche Plan 75, ma come si legge, nella storia dell’umanità non mancano esempi clamorosi. Non è nascondendoci dietro a un pregiudizio per evitare i conflitti. Del resto, quando si è trattato della pandemia, molti medici hanno dovuto scegliere chi potevano assistere e abbiamo saputo dai media che alcuni grandi vecchi hanno volontariamente lasciato le uniche cure ai più giovani.
Dobbiamo solo augurarci di guadagnare l’uscita senza altri problemi".