Da vedere al cinema: La stanza accanto di Pedro Almodóvar

L’Almodóvar che ci piace di più è proprio quello di questo film: sobrio, raccolto, intimistico. Un Almodóvar che ha raggiunto l’apice qualitativo della sua arte spalleggiato da un gruppo di interpreti, Swinton e Moore su tutti

Quando Almodóvar non fa l’Almodóvar i risultati arrivano. Vediamo di spiegare. Se chiedete a un qualsiasi cinefilo di citare tre-quattro film di Almodóvar, al 90% vi sentirete rispondere Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988), Tacchi a spillo (1991), La mala educación (2004) e Tutto su mia madre (1999). O qualche altro titolo della serie colori-eccessi-gay-baraonda-olè. Difficilmente vi sentirete rispondere, per esempio, Julieta (2016) che è invece tutto il contrario: sobrio, raccolto, intimistico. Vero che stiamo andando per categorie generali e che in ciascuno dei film citati, anche i più caciaroni, c’è sempre una vena di malinconica tristezza e che in quelli minimal ogni tanto parte lo sberleffo, ma Almodóvar è esattamente questo.

Che piaccia o meno come autore, nei suoi film c’è sempre una certa densità, un’idea particolare, un’intenzione che ci porta su strade sconosciute. A ogni buon conto l’Almodóvar che ci piace di più è proprio quello di Julieta e di questa Stanza accanto. Due film che hanno molto in comune anche se il primo è totalmente e interamente spagnolo mentre qui il contesto è la Grande Mela, la storia è tratta da un romanzo americano, il film è girato in inglese e con protagonisti anglosassoni. Anche se “lavorato” quasi interamente in Spagna con una troupe spagnola. Ma veniamo al dunque ossia vediamo di cosa si tratta.

Ingrid è una scrittrice di successo che ritrova una vecchia amica del college, Martha, con cui si era persa di vista, quando viene a sapere che costei è ricoverata in ospedale con una grave malattia. L’incontro riallaccia i ricordi, riannoda sentimenti e legami a lungo sopiti. Le due donne entrano così, senza quasi rendersene conto, in un’intimità e in un’osmosi sconosciute fino a quel momento. Tra gli alti e bassi della malattia di Martha e l’irresistibile tentazione di Ingrid di mettere l’amica sotto la lente d’osservazione della scrittrice. Fino al punto che le due donne prendono in affitto un cottage di campagna in attesa che la malata arrivi al capolinea della vita. Detta così, la trama risulta quantomeno anodina. Vero che il tema di fondo è di quelli tosti: il diritto di porre fine alla propria esistenza quando questa non ha altri sbocchi, ma, come sempre al cinema, più che nelle altre forme di espressione artistica, non è tanto il “cosa” viene portato sullo schermo bensì il “come” lo si fa. E qui Almodóvar dimostra davvero tutto il suo talento.

Tra citazioni dotte e una fotografia superlativa (di Eduard Grau ottimamente spalleggiato dalla scenografa Carlota Casado) tale da fare concorrenza alla pittura di Edward Hopper, il film sviluppa l’intera gamma dei sentimenti che si possono provare di fronte a una morte annunciata. E non per nulla vengono tirati in ballo con azzeccate citazioni The Dead di Joyce e la singolare relazione della pittrice Dora Carrington (1893-1932) con lo scrittore Lytton Strachey (1880-1932) guarda caso imperniati tutti (testo letterario e biografia dei due stravaganti coniugi inglesi) sul tema dell’amore e dell’assenza ovvero sulla perdita dell’amore. Ma c’è posto anche per il Buster Keaton di Seven Chances (Le sette probabilità, 1925). Insomma, un Almodóvar che ha raggiunto l’apice qualitativo della sua arte spalleggiato da un piccolo gruppo di interpreti capaci di dare il meglio nei rispettivi personaggi. Swinton e Moore su tutti, ovviamente. Combinazione proprio due coetanee, nate a meno di un mese di distanza (5 novembre Tilda, 3 dicembre Julianne, 1960) sia pure con un oceano di mezzo. Finiamo col dire che la parte migliore del film è quella ambientata nel cottage, abitazione da archistar che richiama la Casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright, ma che in realtà si trova in Spagna, a San Lorenzo de El Escorial, pochi km da Madrid: Szoke House costuita nel 2018-2020 dallo studio di architetti Aranguren+Gallegos. Cornice perfetta per una storia a due voci che ha pochi uguali nella storia del cinema. Tra i plus anche i costumi di Bina Daigeler e le filippiche di Damian contro il neoliberismo e l’estremismo di destra che, uniti, stanno portando il pianeta alla catastrofe tra guerre dei signori delle armi e cambiamenti climatici negati dai neocon.

A consuntivo non possiamo tuttavia evitare di sottolineare alcune cadute, soprattutto nella parte iniziale. Per esempio i flash back da analfabeti di ritorno che appesantiscono il fluire del racconto con il “riassunto delle puntate precedenti” sulla vita di Martha e il difficile rapporto con la figlia Michelle. E, ancora, l’irritante, insistente, monotona e ripetitiva colonna sonora di Alberto Iglesias. In ogni caso, meritato il Leone d’Oro Venezia ‘24.

Dettagli del film di Almodóvar

titolo orig The Room Next Door sceneggiatura Pedro Almodóvar dal romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez (Garzanti) cast Tilda Swinton (Martha/Michelle) Julianne Moore (Ingrid) John Turturro (Damian) Alessandro Nivola (personal trainer) genere drammatico lingua orig inglese prod Spagna, Usa 2024 durata 107 min.

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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