“Appuntamento al parco”, di Joel Hopkins

Appuntamento al parco di Joel Hopkins

sceneggiatura Robert Festinger cast Diane Keaton (Emily Walters) Brendan Gleeson (Donald Horner) James Norton (Philip Walters) Lesley Manville (Fiona) Jason Watkins (James Smithe) Simon Callow (giudice Adams) Alistair Petrie (Steve Crowley) Peter Singh (Xavier) Rosalind Ayres (Susan) genere commedia durata 102 min

Adesso al cinema va di moda il grigio. Anzi tira tantissimo. E la sua incarnazione si chiama Diane Keaton, ormai abbonata al ruolo di “nonna di cuori” con relativo codazzo di spasimanti a loro volta avanti negli anni. Da “Mai così vicini” (1914) in poi per l’ex musa di Woody Allen è un susseguirsi di conquiste sulla soglia dell’ospizio. Che sia il coetaneo Michael Douglas o il giovincello (si fa per dire) Jason Watkins che comunque di anni ne ha venti meno di lei.

Ma andiamo con ordine e partiamo da Hampstead, che è il titolo originale del film nonché un quartiere “upper” di Londra. Un Parioli all’inglese, insomma. Posto per gente ricca, immerso nel verde di un parco con vista sulla City. Qui vive Emily, fresca vedova alle prese con i debiti lasciati dal marito per una serie di speculazioni sbagliate nonché moglie tradita. A due passi dalla smagliante dimora vittoriana in cui abita Emily, nel cuore del parco, vive Donald, vecchio orso che si è costruito da sé una baracca e sbarca il lunario coltivando ortaggi e pescando pesci negli stagni. Fatale il loro incontro, così come fatale è il rischio che Donald perda catapecchia e orticelli per i soliti immobiliaristi speculatori e cattivoni. Non raccontiamo oltre anche perché non ce n’è bisogno, tanto la storia si snoda su binari collaudati e prevedibili. Le “sorprese” vanno casomai cercate nei dettagli. Dalle romantiche passeggiate – con relativo pic nic – nel cimitero di Highgate, quello con la tomba di Carletto Marx, allo stuolo di coinquiline dalla lingua lunga con relative battute al vetriolo. Storia semplice per anime semplici o che vogliano, semplicemente, passare due ore al cinema senza pensieri.

 

Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”. Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.
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