In uscita al cinema “Anatomia del Miracolo” di Alessandra Celesia
sceneggiatura Alessandra Celesia da un’idea di Riccardo Piaggio cast Giusy Orbinato, Fabiana Matarese, Claudia Matarese, Francesco Matarese, Sue Song, Grace Song, Antonino D’Emilio, Martina Calise, Carmine Calise, Francesco Pio Calise, Pino Santoro, Maria Santoro, Elisabetta Moro, suor Laura Ruggiero, suor Paola De Biase, suor Evelina Grucci, fra’ Danilo Milelli, bambini Associazione Casa Efraim Quartieri Spagnoli (Napoli) genere documentario prod Italia, Francia, 2017 durata 83 min.
Tra i numerosi santuari mariani del circondario di Napoli c’è la Madonna dell’Arco, in comune di Sant’Anastasia, il cui nome deriverebbe dai vicini resti, oggi scomparsi, di un acquedotto romano. Particolarità specifica del santuario è l’immagine stessa della Vergine, che presenta un livido sul volto. Leggenda vuole che il livido fosse prodotto nel XVI secolo dall’ira di un giovane giocatore di pallamaglio (sorta di antenato dell’odierno croquet) che avrebbe scagliato contro l’immagine una palla in segno di stizza per una partita persa. Il punto colpito avrebbe iniziato a sanguinare e avrebbe poi portato per sempre il livido. L’episodio avrebbe accresciuto enormemente la devozione locale per quell’immagine tanto che al posto della semplice edicoletta che ospitava l’icona sarebbe sorto in breve il grande santuario che vediamo ancora oggi e sarebbe anche cominciata la tradizione dei pellegrinaggi nonché la Confraternita dei Battenti che più volte l’anno celebra lunghe ed elaborate liturgie con processioni, stendardi e tammurriate (musiche di percussioni). Di tutto questo, ossia del contesto storico e antropologico entro cui si colloca il film, nel film non c’è traccia. Si parla sì del livido, ma come metafora dei lividi che vulnerano l’anima (anziché il volto) di tre donne su cui si concentra l’attenzione della regista e dunque l’azione del film. Tre donne o, per meglio dire, due donne e un femminiello, bellissima parola del dialetto napoletano al posto della quale oggi si è soliti ricorrere ad obbrobriosi inglesismi tipo transgender. Giusy, Sue e Fabiana sono i loro nomi e le storie le raccontano principalmente i loro volti. Per una scelta stilistica piuttosto incomprensibile la regista si concentra infatti con insistenza sui primi piani delle tre protagoniste, se così si può dire trattandosi di un documentario, ma al cinema l’uso del primo piano finisce con il decontestualizzare il soggetto, collocandolo in una dimensione quasi astratta, fuori dalla storia e dal vissuto, mentre qui è proprio il contesto a creare il personaggio e un contesto non generico, ma denso, ingrommato di umori, di fisicità, di terreità. Ecco allora Giusy sulla sua sedia a rotelle cui è costretta dalla nascita. Giusy vive a pochi metri dal santuario, dalla sua finestra può vederne l’interno al punto da percepire la Madonna miracolosa come “una vicina di casa”. Una vicina, però, che non si è mai ricordata di lei, che continua a lasciarla su una sedia a rotelle mentre dispensa miracoli a mille altri fedeli. E Giusy per la sua tesi di laurea ha deciso di studiare i culti mariani, di analizzarli con lucida razionalità benché sappia che non può esserci nulla di razionale né nella fede né, tanto meno, nei miracoli. Sue Song è una pianista coreana che nel grumo di Napoli e del suo coacervo umano, spirituale e musicale ha trovato quella pace e quell’ispirazione artistica cercata inutilmente in molte altre metropoli del mondo. Infine Fabiana, che di notte aspetta i clienti e di giorno organizza processioni e partecipa a tutte le feste in onore di Maria. Senza avvertire contraddizioni, senza provare sensi di colpa, anzi: sperando e confidando a sua volta nel miracolo quotidiano del vivere. Tre, donne, tre donne che non si incontrano mai, tre storie e un rivolo pressoché infinito di altre storie narrate o appena accennate dai comprimari: i ragazzini dei Quartieri Spagnoli o i nipotini di Fabiana. Il musicista vicino di casa o le suore che catturano con lo smartphone gli stridi degli uccelli in cielo e li ascoltano poi con devozione nel silenzio della clausura. Come fossero la voce di Dio. Perché i miracoli non sono quelli che avvengono alla luce del sole, con gli eclatanti sconvolgimenti narrati, per esempio, negli ex voto che Giusy analizza in compagnia di un frate, ma, come dice Inger al vecchio Borgen all’inizio del film Ordet (1955) di Carl Theodor Dreyer, sono quei piccoli, quasi impercettibili segni «che accadono dovunque, in segreto». Anche senza l’intercessione di una Madonna con il volto sfigurato da un livido. Molto interessante la colonna sonora con le sue audacissime contaminazioni che vanno dai classici alla musica leggera a quella popolare napoletana. Da Sta passanne ‘a Maronna (testo e musica di Pino Santoro) che apre il film a Vivere di Vasco Rossi che lo chiude passando per Winter Ballade di Sue Song.
E allora perché vederlo?
Perché, come ha detto il teologo Bruno Forte, il credente non è un che povero ateo che ogni mattina si sforza di cominciare a credere. Al pari dell’ateo: un credente che ogni mattina si sforza di trovare motivi per non credere.
Il film esce con appuntamenti differenziati in varie città in quanto la regista Alessandra Celesia è presente in sala per confrontarsi con il pubblico. Ecco il calendario delle uscite di novembre:
martedì 13 Milano, Cinema Beltrade ore 21,40
mercoledì 14 Roma, Nuovo Cinema Aquila
giovedì 15 Urbino, Nuova Luce
lunedì 19 Genova, Cinema Don Bosco
lunedì 19 Bari, Cineporto (senza la regista)
martedì 20 Torino, Cinema Massimo ore 21
martedì 20 Matera, Cinema Il Piccolo ore 20 (senza la regista)
martedì 20 Lecce, Cineporto (senza la regista)
mercoledì 21 Candelo(Biella), Cinema Verdi ore 21,30
mercoledì 21 Foggia, Cineporto
giovedì 22 Brescia, Cinema Sereno
giovedì 22 Padova, Associazione Tralaltro (senza la regista)
venerdì 23 Napoli, Arci Movie
giovedì e venerdì 6 e 7 dicembre Bologna, Cinema Teatro Orione
Auro Bernardi: Nel 1969, quando ero al liceo, il film La Via Lattea di Luis Buñuel mi ha fatto capire cosa può essere il cinema nelle mani di un poeta. Da allora mi occupo della “decima musa”. Ho avuto la fortuna di frequentare maestri della critica come Adelio Ferrero e Guido Aristarco che non mi hanno insegnato solo a capire un film, ma molto altro. Ho scritto alcuni libri e non so quanti articoli su registi, autori, generi e film. E continuo a farlo perché, nonostante tutto, il cinema non è, come disse Louis Lumiére, “un'invenzione senza futuro”.
Tra i miei interessei, come potrete leggere, ci sono anche i viaggi. Lo scrittore premio Nobel portoghese José Saramago ha scritto: “La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro. Bisogna ricominciare a viaggiare. Sempre”. Ovviamente sono d'accordo con lui e posso solo aggiungere che viaggiare non può mai essere fine a se stesso. Si viaggia per conoscere posti nuovi, incontrare altra gente, confrontarsi con altri modi di pensare, di affrontare la vita. Perciò il viaggio è, in primo luogo, un moto dell'anima e per questo è sempre fonte di ispirazione.