Nella tarda primavera del 1952 Vittorio De Sica appena terminato il suo film Umberto D. sta già lavorando a un nuovo progetto intitolato Italia mia, composto da una serie di cinquanta o sessanta episodi che costituiscono un ritratto umano del nostro Paese. Una grande casa di produzione americana aveva offerto al regista di finanziare la pellicola garantendo per lui carta bianca. De Sica, ovviamente entusiasta della cosa, parte per Los Angeles, ma senza avere al suo fianco Cesare Zavattini, lo sceneggiatore dei suoi capolavori Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano e Umberto D. A Zavattini (evidentemente considerato un pericoloso sinistrorso) le autorità americane non hanno concesso il visto.
Per tre mesi De Sica, ospitato in una grande villa con piscina e con tanto di autista a disposizione, inizia le trattative con i dirigenti della Major. Durante il suo soggiorno americano gli viene comunicato che Charlie Chaplin vorrebbe incontrarlo e vedere il celebre Umberto D. Felicissimo il nostro regista si reca in una saletta di Hollywood nella quale è stata organizzata la proiezione. Al termine del film Vittorio con il cuore in gola dall’emozione si avvicina al grande Charlot e lo trova in lacrime commosso dalla storia del povero pensionato italiano costretto a vivere nell’indigenza e nella solitudine. Poi Charlie Chaplin dopo averlo abbracciato gli dice: “Lei non è solo un regista, lei è un poeta, ma le dò un consiglio, se ne torni in Europa a fare i suoi film. L’America non fa per lei”.
Vittorio De Sica, uno dei giganti del cinema italiano, nasce a Sora in provincia di Frosinone, il 7 luglio 1901, figlio di Umberto De Sica e di Teresa Manfredi. Dopo aver trascorso l’infanzia in questa piccola città della Ciociaria si trasferisce con i suoi genitori e le due sorelle, prima a Napoli, poi a Firenze e infine a Roma. Sono anni non facili per la famiglia De Sica che non naviga nell’oro e Vittorio diplomatosi in Ragioneria, è destinato per volere del padre ad un posto sicuro presso la banca d’Italia, ma il suo destino sarà ben diverso. Già all’età di sedici anni si è guadagnato una particina nel film L’affare Clemenceau diretto da Alberto De Antoni e interpretato da Francesca Bertini e Gustavo Serena e anche una partecipazione all’operetta San Tarcisio, un classico spettacolo che nel circuito parrocchiale ha un grande successo.
Qualche anno più tardi il ragioniere De Sica conosce casualmente una domenica pomeriggio l’attrice Tatiana Pavlova, protagonista a teatro nella commedia Sogno d’amore che gli offre un ruolo da generico. La paga è di ventotto lire al giorno, più del suo stipendio da contabile. Così nei panni di un cameriere Vittorio esordisce nel mondo del teatro e in breve tempo si impone grazie alla sua figura alta e slanciata. La sua carriera artistica sui palcoscenici italiani è fulminante e il giovane attore è presto ammirato e amato dal pubblico femminile.
Del 1928 è il suo debutto davanti alla macchina da presa nel film La compagnia dei matti diretto da Amleto Palermi. Non tutti però credono in lui come attore cinematografico. Il produttore Stefano Pittaluga ad esempio non vede per lui un grande futuro sul set. “Con quel naso come vuole che possa reggere sullo schermo? ripeteva a chiunque gli proponesse di scritturare l’idolo nazionale” come racconta Andrè Bazin nel suo libro “Vittorio De Sica”, Guada Editore 1952. Il regista Palermi però non demorde e lo vuole come protagonista della pellicola La segretaria di tutti, 1931, una commedia che ottiene un grande successo. Poi è la volta di Mario Camerini che gli offre il ruolo principale in Gli uomini che mascalzoni, uscito nelle sale nel 1932. Il critico cinematografico Filippo Sacchi sul Corriere della sera, recensendo il film scrive: “In questo bravo attore il parlato italiano ha trovato quello che gli mancava: un favorito del pubblico che non ha nulla del bello professionale”. Ormai il giovanotto di Sora è incoronato come il più popolare attore del cinema italiano.
Dal 1931 al 1940 De Sica recita in 23 film e sul palcoscenico, ma la sola recitazione non è per lui sufficiente e le sue aspirazioni artistiche sono ben più ambiziose. Nel 1935 conosce lo scrittore e giornalista Cesare Zavattini a Verona, mentre sta girando Darò un milione. I due si intendono subito sul piano culturale e anche umano, formando così un sodalizio tra i più straordinari nella storia del nostro cinema. Quattro anni più tardi De Sica legge un soggetto di Zavattini, Diamo a tutti un cavallo a domicilio e decide di debuttare come regista. Il soggetto non diventerà mai un film, ma i due artisti sono ormai in sintonia.
Nel 1940 Vittorio gira Rose scarlatte, che non è apprezzato dalla critica e dal pubblico, ma per nulla scoraggiato realizza in poco tempo tre pellicole di grande spessore come regista, sceneggiatore e attore: Maddalena zero in condotta, Teresa venerdì, Un garibaldino al convento. Nel ’42 la coppia Zavattini-De Sica porta a termine uno dei film più intelligenti e coraggiosi di quegli anni, I bambini ci guardano, dal romanzo Pricò di Cesare Giulio Viola, un’opera che affronta il tema scottante, per l’epoca, della fine di un matrimonio. Benchè criticato dal regime fascista, ma non vietato, il film scuote lo stagnante cinema italiano e le sue commedie leggere che non sanno affrontare la vera realtà della vita sconvolta anche dalla guerra in corso. Nel ’44 De Sica come altri colleghi rifiuta di trasferirsi negli studi cinematografici della Giudecca a Venezia, sorto dopo la nascita della Repubblica Sociale di Salò e decide di girare La porta del cielo, una pellicola voluta e finanziata dal Centro Cattolico Cinematografico, incentrata sul viaggio di un gruppo di ammalati verso Loreto dove sperano in un miracolo che li porti verso la guarigione.
Le riprese della pellicola terminano nel giugno ’44, proprio quando le truppe alleate entrano nella Roma liberata, ma la sua uscita nelle sale passa quasi inosservata. Nel 1946 il regista e lo sceneggiatore sono pronti ad affrontare un nuovo progetto, il film Sciuscià, un commovente omaggio ai bambini più sfortunati costretti a una vita di stenti nell’ Italia devastata dalla guerra appena terminata. L’opera è apprezzata in tutto il mondo e vince l’Oscar nel ’48 come miglior film straniero.
Il cinema italiano sta vivendo una delle sue stagioni più fertili, il neorealismo, il movimento culturale che racconta la vita delle classi sociali più umili, scegliendo di girare in esterni con attori presi dalla strada nelle povere periferie anziché negli studi cinematografici. De Sica, che è uno dei protagonisti insieme a Roberto Rossellini, l’autore di Roma città aperta, non ama dirigere film interpretati da attori poco convincenti, chiusi nei loro camerini, lontani dalla vita vera e dalla gente comune. Nel dicembre 1949 De Sica e Zavattini si recano a visitare dei prati deserti della periferia milanese a Lambrate- Città Studi, dove si è deciso che sorgerà il set del film Miracolo a Milano, una favola surreale che parla di poveri emarginati, tratta dal romanzo dello stesso Zavattini Totò il buono edito da Bompiani e uscito a puntate sul settimanale Tempo. È in quest’area che si decide di costruire il villaggio immaginario dei barboni dove si svolgerà buona parte della lavorazione che inizia nel febbraio del 1950. Le riprese del film saranno seguite con affetto e partecipazione dai milanesi incuriositi e felici per la presenza in città del grande Vittorio. Miracolo a Milano costato centottanta milioni di lire (il regista impiegherà anni per saldare il debito contratto) non otterrà incassi soddisfacenti, aggiudicandosi invece la Palma d’Oro al Festival di Cannes 1951 e il premio per il miglior film straniero dei critici di New York.
Nonostante questi importanti riconoscimenti internazionali, nel ’51 il nuovo progetto cinematografico della coppia De Sica e Zavattini, Ladri di biciclette, trova le porte chiuse perché i produttori non si fidano di soggetti ritenuti poco commerciali. Il regista andrà perfino in America a battere cassa e a Hollywood ha la fortuna di suscitare l’interesse del produttore David O. Selznick a cui piace molto la storia di un imbianchino disperato per il furto della sua bicicletta, strumento indispensabile di lavoro. Però il tycoon vorrebbe imporre per il ruolo principale il divo Cary Grant e come seconda possibilità Henry Fonda. Dopo faticose riunioni e a causa dei costi esorbitanti, De Sica è costretto ad abbandonare il progetto. Tornato in Italia riesce finalmente a realizzare il film che sarà un trionfo di pubblico e di critica, nonché vincitore di diversi internazionali. La sua permanenza ad Hollywood non è stata del tutto priva di risultati. La mattina del 27 agosto 1952 aveva telefonato a Zavattini da Los Angeles per annunciargli una buona notizia: Selznick produrrà Stazione Termini, una pellicola incentrata su di un soggetto e una sceneggiatura scritta dallo stesso Zavattini che nel ’53 sarà girata a Roma, protagonisti Montgomery Clift e Jennifer Jones.
La parabola creativa di Vittorio è destinata a conseguire nuovi e importanti: i film L’oro di Napoli, Il giudizio universale, La ciociara, Ieri, oggi e domani, Matrimonio all’italiana, Il giardino dei Finzi Contini sono amati dal pubblico e dalla critica. Anche come attore anche se non reciterà mai nei suoi film, a differenza di altri suo colleghi, lascerà un segno interpretando tante commedie, prima tra tutte Pane, amore e fantasia, nel ruolo del celebre maresciallo. De Sica si conferma, come lui stesso ama definirsi, un maestro di recitazione. Il 13 novembre 1973 il grande regista muore a settantatré anni in Francia a Neuilly-sur-Seine. Nonostante cento quarantacinque film da attore e trenta da regista, questo gigante del cinema italiano non ha avuto in patria il riconoscimento che meritava, ma la sua figura di illuminato artista rimarrà indelebile nella storia della nostra cinematografia.
Manuel De Sica, nato a Roma il 24 febbraio 1949, figlio di Vittorio De Sica e di Maria Mercader, fratello maggiore di Christian, si diploma al Conservatorio di Santa Cecilia e già a vent’anni si afferma come compositore firmando oltre 70 colonne sonore di film. Esordisce nel 1968 componendo le musiche del film Amanti diretto dal padre. Segue poi Il giardino dei Finzi Contini, sempre per la regia di suo padre che ottiene una nomination all’Oscar. Ancora per il cinema realizza le musiche di Lo chiameremo Andrea e Il viaggio. Si dedica inoltre a composizioni di musica classica, alternate ad altre colonne sonore di film quali Ladri di saponette di Maurizio Nichetti che vince il Globo d’oro; Al lupo, al lupo di Carlo Verdone, premiato con il Nastro d’argento; Celluloide di Carlo Lizzani, vincitore del David di Donatello. Il 5 dicembre 2014 a Roma si spegne per un infarto a 65 anni. Suo figlio Andrea De Sica, nato il 30 dicembre 1981, è regista e autore dei film I figli della notte (2017) e Non uccidere (2021) e della serie tv Baby.
Christian De Sica, nato a Roma il 5 gennaio 1951, è un noto attore, cantante, showman, nonchè regista e sceneggiatore di successo. Dopo il liceo frequentato insieme all’amico Carlo Verdone, si trasferisce in Venezuela a 18 anni dove si mantiene come cameriere. Rientrato in Italia frequenta la facoltà di lettere per breve tempo, prima di esibirsi come cantante e poi come comico nel cabaret. Nel cinema ottiene piccoli ruoli alternando anche diverse partecipazioni come presentatore e intrattenitore in televisione. Nel 1983 è protagonista di Sapore di mare, una commedia diretta da Carlo Vanzina che gli regala molto popolarità. Diventa così uno dei protagonisti dei cine-panettoni quali Vacanze di Natale, Vacanze in America, Anni 90, A spasso nel tempo e di altre famosissime commedie di costume come Yuppies – I giovani di successo 1 e 2.
Brando De Sica, figlio di Christian, nato a Roma il 10 marzo 1983, seguendo le tradizioni di famiglia, è attore e regista. A lui insieme al cugino Andrea, spetta il non facile compito di mantenere alto il nome di una famiglia che tanto ha dato al cinema italiano.