Luigi Comencini, il regista “con le pizze sotto il letto”
Milano 1934. Il diciottenne Luigi Comencini appena rientrato dalla Francia, dopo aver conseguito la maturità classica, s’iscrive alla facoltà di architettura del Politecnico laureandosi in realtà più per compiacere al padre che per convinzione. Nell’austero complesso universitario di piazza Leonardo da Vinci conosce Alberto Lattuada, come lui patito per la settima arte, che diviene suo grande amico. Nato a Salò (Brescia) l’8 giugno 1916, a nove anni, Luigi, con la famiglia, il padre Cesare ingegnere, la madre Maria Magdalena detta Mimì e il fratello minore Gianni, si era trasferito nel sud della Francia a Agen, dove il papà dirigeva un’azienda agricola (poi rovinata da una forte alluvione del canale Garonna), ma fin da piccolo la passione per il cinema lo aveva colpito. Sotto l’occhio vigile della mamma, preoccupata per la sua animosa passione per le immagini sul grande schermo, già frequentava con assiduità i cinema locali.
Nel ’35 Comencini e Lattuada si uniscono a Dino Risi, Luciano Emmer, Giulio Macchi, Renato Castellani, Luchino Visconti (all’epoca già una star), all’editore Ulrico Hoepli e al musicologo Luigi Rognoni, per formare una sorta di scuola milanese cinematografica.
Le prime riunioni dei “carbonari” si tengono nell’abitazione di Rognoni e della moglie Eva Randi al numero 12 di corso Plebisciti e poi nella casa di Luigi Comencini e del fratello Gianni in viale Romagna, 76 e nell’appartamento in via Porpora di Mario Ferrari, la vera anima del gruppo, un giovane colto e intelligente di professione rappresentante della Sperling & Kupfger, scomparso prematuramente a soli ventotto anni nel ‘38, che per primo ha avuto la felice intuizione di impedire la distruzione del patrimonio filmico, una pratica barbara in vigore in quegli anni. Questa pattuglia di eroi inizia così a raccogliere vecchie pellicole salvate dalla mannaia del boia incaricato di distruggere gli spezzoni delle opere dai diritti d’autore scaduti.
“L’amore per il cinema – ricorda Comencini – ci rendeva anche irresponsabili. Me ne resi conto dopo, ma il pericolo corso da me e fatto correre ai miei e a tutti gli inquilini del palazzo milanese in cui abitavo fu enorme. Vivevo tenendo in casa decine e decine di pellicole: sotto il letto, sopra gli armadi, tra le sedie, in cantina, dappertutto. Materiale altamente infiammabile; per fortuna non fumavo”. Un’incoscienza ripagata dai risultati perché nel 1945 il bottino accumulato sarà di circa trenta lungometraggi e ottanta cortometraggi, piccolo patrimonio della loro cineteca privata, l’unica in Italia dopo la distruzione dell’Archivio del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e il relativo saccheggio operato dai tedeschi l’8 settembre 1943.
“I ragazzi della Cineteca” sono ormai maturi per organizzare eventi di più alto livello. Comencini nel frattempo è in contatto con Henri Langlois, il leggendario fondatore e direttore della Cinématheque di Parigi che spesso ospita a Milano. Viaggiando in terza classe con una valigia logora piena di pellicole d’autore, questo intraprendente e coraggioso intellettuale contribuirà con la sua presenza a sprovincializzare la cultura cittadina soffocata dal conservatorismo di regime.
Le proiezioni delle pellicole (L’Atalante di Jean Vigo, diversi film di Méliès e di René Clair), avvengono semiclandestinamente presso le sale cinematografiche di oratori, in un ex macelleria di via Farini e nei locali in via Mascagni della sede dell’Opera Balilla che diventerà poi un noto locale d’essai, il cinema Arti. Con l’entrata in guerra dell’Italia, Comencini è distaccato a Udine con il suo reggimento, ma grazie all’intervento del produttore Carlo Ponti, è trasferito a Roma per assolvere “incarichi cinematografici”. Qui dopo l’armistizio di Badoglio dell’8 settembre ’43, il futuro regista vestito con abiti borghesi, fugge insieme all’amico Guglielmo Usellini fortunosamente liberato da Regina Coeli, verso la Svizzera con Lelio Basso e diversi esponenti del partito socialista.
Dopo essere rientrato a Milano clandestinamente, Luigi collabora al quotidiano socialista aspettando la caduta del regime fascista. Nel dopoguerra lavora come redattore e fotoreporter per diversi periodici, recensendo i film appena usciti nella nuova e libera Italia, tra i quali Sciuscia che lo colpisce enormemente, tanto che la sua recensione non sfugge al regista Vittorio de Sica, in quei giorni impegnato a Milano in uno spettacolo teatrale. De Sica, commosso, scrive un biglietto di ringraziamento a Comencini e lo invita a teatro nel suo camerino. La professione di giornalista però non lo soddisfa pienamente, intuendo dentro di lui la voglia di raccontare la realtà utilizzando la cinepresa. In particolare il mondo dei bambini e il tema dell’infanzia lo attraggono. Nasce così il documentario Bambini in città, incentrato sulle misere condizioni dei piccoli milanesi nella periferia metropolitana, che si aggiudica l’anno dopo il Nastro d’Argento.
Grazie a Carlo Ponti si trasferisce poi a Roma, assunto dalla Lux Film. La sua carriera di cineasta sta per iniziare. Realizza i primi lungometraggi Proibito rubare (’48), L’imperatore di Capri (’49), Persiane chiuse (’51), La tratta delle bianche (’52) e nella primavera del ’53 in memoria di Mario Ferrari, il pioniere della cinefilia milanese, gira La valigia dei sogni, una pellicola ispirata a un altro documentario realizzato da Luigi nel ’49, Il museo dei sogni, passato quasi inosservato, che mostra l’impressionante sequenza della distruzione con la scure delle bobine, seguita poi dai bagni del macero con i quali le pellicole vengono ridotte a una nera poltiglia. Dopo Pane, amore e fantasia (’53), Comencini è ormai un cineasta affermato. Il suo cinema popolare suscita nel pubblico lacrime e risate, ma scatena anche molte salutari polemiche.
Nei suoi film, Tutti a casa (‘60) con un Alberto Sordi insuperabile, A cavallo della tigre (’61), La ragazza di Bube (’63), Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (’69), Lo scopone scientifico (’72), La donna della domenica (’75) e L’ingorgo – Una storia impossibile (’79), i pregi e i difetti degli italiani sono raccontati con il sorriso dal regista “con le pizze sotto il letto”. Dopo le ultime pellicole, Voltati Eugenio (1980), Cercasi Gesù (1982), Un ragazzo di Calabria (1987), Buon Natale..buon anno (1989) e Marcellino pane e vino (1992), Luigi Comencini è costretto da una grave malattia ad abbandonare il cinema. Muore a Roma il 6 aprile 2017 all’età di 90 anni, ma lasciando la sua straordinaria eredità in dote alle figlie Francesca, Cristina e Paola.
Le sorelle Comencini e il cinema
Laureata in economia e commercio, Cristina Comencini nata a Roma l’8 maggio 1956,figlia del celebre regista Luigi, sorella di Paola e di Francesca, è al fianco di suo padre, prima tra gli interpreti del lungometraggio Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano, poi negli anni Ottanta come co-sceneggiatrice in diversi film per il cinema e per la tv. Il suo esordio dietro la macchina da presa è del 1988 con Zoo, cui seguono I divertimenti della vita privata, 1992; La fine è nota, 1993; Va’ dove ti porta il cuore, 1996 dal best seller di Susanna Tamaro e ancora Il più bel giorno della mia vita, 2002; La bestia nel cuore (nomination all’Oscar 2006). È anche un’affermata scrittrice di romanzi (Le paginestrappate; Passione difamiglia; L’illusione del bene) e di testi teatrali. Noto è il suo impegno nella battaglia per i diritti civili e per la dignità delle donne.
Francesca Comencini, nata a Roma il 19 agosto 1961, lascia gli studi universitari di filosofia e si trasferisce a Parigi, per seguire le orme di famiglia. Nella capitale francese gira il suo primo film Pianoforte nel 1983, primo premio nella sezione De Sica a Venezia. In seguito insieme a suo padre lavora alla stesura della sceneggiatura di Un ragazzo di Calabria.
La sua carriera di regista prosegue ancora con La luce del lago, 1988; Le parole di mio padre, 2001, Mi piace lavorare(Mobbing), 2003; Lo spazio bianco, 2009, realizzati con uno stile personale e incentrati su temi sociali di grande spessore. Nel 1997 firma anche il documentario Elsa Morante.
Paola Comencini, la primogenita di Luigi, nata a Roma l’8 giugno 1951, lavora sempre nel mondo cinematografico, ma perseguendo una strada diversa: è architetto, costumista e scenografa in moltissime pellicole e vincitrice di Nastri d’argento e di David di Donatello.
Gianni Comencini, fratello minore di Luigi e la Cineteca Italiana di Milano
Dallo stile di educato gentiluomo di taglio anglosassone, Gianni Comencini ha operato per oltre quarant’anni tenacemente consolidando l’immagine della Cineteca Italiana, (oggi Fondazione e polo cinematografico di alto livello), come organizzatore culturale e curatore di rassegne e di manifestazioni filmiche. Nato a Salò l’11 agosto 1921 e trasferitosi a Milano nel 1934, é tra i fondatori della Cineteca Italiana nel 1947, insieme a suo fratello Luigi.
Gianni é tra i primi in Italia a curare il restauro delle pellicole come l’importante recupero del film La via senza gloria, 1952 di Pabst, interpretato da Greta Garbo. Autore di saggi, di programmi televisivi, di numerosi articoli per periodici italiani e stranieri, Comencini, che ha saputo coinvolgere nelle attività della Cineteca Italiana, studiosi e istituzioni come la regione Lombardia, la Provincia e il Comune di Milano, nonché l’Università Cattolica di Milano, è stato Vice Presidente della Cineteca Italiana e poi Presidente della Fondazione Cineteca Italiana, nonché Vice Presidente della FIAF, Fédération Internationale des Archives du Film.
Nel 2002 l’Amministrazione Comunale lo ha premiato con la benemerenza civica per il contributo culturale dato alla città di Milano. Ha passato il “testimone” alla figlia Luisa, che per molti anni è stata dirigente della Fondazione Cineteca Italiana di Milano (Segretario Generale) e curatrice di diverse pubblicazioni, quali “Restauro, conservazione e distruzione dei film” – Editrice Il Castoro, realizzata in collaborazione con Matteo Pavesi.