Il colpo di fulmine tra Yves Montand e Simone Signoret colpisce entrambi sotto il sole di Provenza, ma la faccenda è un po’ complicata. La vicenda sentimentale e artistica li vedrà protagonisti di una grande storia d’amore e di cinema
Andando al cimitero parigino di Père Lachaise, dove riposano i più illustri personaggi dello spettacolo, dell’arte, della scienza, della letteratura, non si può dimenticare di passare davanti alle tombe di Yves Montand e Simone Signoret, collocata vicino a quelle di Gilbert Bécaud e Marie Trintignant, la sfortunata figlia di Jean-Louis. Il loro incontro nell’estate del 1949 è raccontato dalla stessa Simone nel suo libro di memorie “La nostalgia non è più quella d’ un tempo” uscito nel ‘76.
“Era una calda serata di agosto, a St. Paul-de-Vence, al ristorante della ‘Colombe d’Or’, con le pareti decorate da tele di Picasso. Yves stava facendo un tour nel Midi; era il suo giorno di riposo e capita lì con il pianista Bob Castella, ch’è rimasto il suo pianista. Torna la sera dopo; ci guardiamo, scambiamo qualche parola e io decido di andare a Nizza per sentirlo cantare; l’indomani lui torna a St. Paul e io…”.
Il colpo di fulmine sotto il sole di Provenza colpisce entrambi, ma la faccenda è un po’ complicata. Lo chansonnier dalla voce morbida e vellutata il cui vero nome è Ivo Livi (“Ivo monta!” lo chiamava dalla finestra la madre per avvisarlo del pranzo), nato il 13 ottobre 1921 a Monsummano Terme in provincia di Pistoia, emigrato a Marsiglia a soli due anni con i suoi genitori socialisti perseguitati dal fascismo, è sentimentalmente libero, mentre lei, già famosa sul grande schermo, è invece sposata con il regista Yves Allegret ed è madre di Catherine.
Simone decide di dire tutto al marito sapendo di ferirlo e di mettere a rischio anche l‘amicizia con Jacques Prevert e Marcel Carnè che l’hanno aiutata nella sua folgorante carriera iniziata alla fine degli anni Trenta. Schiaffi e insulti non le impediscono di andare a vivere con Yves che sposerà il 21 dicembre 1951. Attorno alla tavola imbandita Jacques Prevert, Marcel Pagnol, Paul Roux.
Simone Signoret, l’antidiva
La bella Simone dagli occhi di gatta e dal corpo sensuale, è nata il 21 marzo 1921 a Wiesbaden in Germania, figlia di un ebreo polacco, il suo vero nome è Simone Henriette Charlotte Kaminker e a scuola è compagna di classe di Corinne Luchaire, futura protagonista del film “Prigione senza sbarre “(1938) e del ragazzo Alain Resnais appassionato di cinema e di fumetti. Dal ’40 al ’45 per sbarcare il lunario fa la comparsa e la figurante in una decina di film e si ritaglia un piccolissimo ruolo in “L’amore e il diavolo” di Marcel Carné (1942). E’ però costretta a lavorare clandestinamente non avendo la carta di lavoro obbligatorio, all’epoca necessaria anche nel cinema che a lei è stata negata in quanto mezza ebrea.
Poi incontra Yves Allegret, il suo pigmalione, suo marito dal ’44 che la dirige in “Les demons de l’aube” (1945). Il suo cognome d’arte, un omaggio all’attore teatrale Gabriel Signoret (1878-1937), compare nei titoli di testa di “L’albero della malavita” (1946) di Marcel Blistére con Paul Meurisse. Lei nel personaggio di una proprietaria di un hotel dal passato misterioso, mette in mostra tutto il suo lato ambiguo e passionale. Questo ruolo le fa guadagnare il premio Suzanne Bianchetti assegnato in Francia alle attrici emergenti. Nel ’47 Allegret le affida la parte di una giovane prostituta in “Dédée d’ Anvers”, donna segnata dal destino e alla ricerca di una redenzione. La pellicola, mai distribuita in Italia, nel ’48 è presentata alla Mostra di Venezia.
All’inizio degli anni Cinquanta Simone si conferma interprete di razza ancora nei panni di una prostituta in due film d’antologia, “La ronde” (1950) di Max Ophüls, splendido ritratto della Vienna dei primi del Novecento e “Casco d’ oro” (1952) di Jacques Becker, affresco della belle époque. La sua stagione d’oro prosegue con “Teresa Raquin” (1953) di Marcel Carnè, melodramma girato al fianco di Raf Vallone e “I diabolici” (1954) di Henry–Georges Clouzot, che la vede amante crudele e spietata.
Nel ’58 a Londra sotto la direzione di Jack Clayton in “La strada dei quartieri alti”, storia di un arrampicatore sociale (Laurence Harvey) nella ricca società britannica, vince l’Oscar. In Italia nel ’60 è la protagonista di “Adua e le compagne” di Antonio Pietrangeli, una riflessione amara sugli effetti della chiusura delle case chiuse dopo l’entrata in vigore della legge Merlin.
”Ogni attore lascia, nella scia dei nostri ricordi – scrive Maurizio Porro sul Corriere della Sera il 1 ottobre 1985 – qualcosa che lo definisce e in cui si identifica completamente: per Simone Signoret, che vanta nella sua carriera una cinquantina di film e alcune applaudite apparizione in teatro, questo qualcosa fu Casco d’oro di Jacques Becker, in cui, nella Parigi degli inizi del secolo, tra apaches e gigolò, fa perdere la testa (non solo metaforicamente) a un onesto falegname, Serge Reggiani, che per lei uccide e si fa uccidere. È lei che, giovane e bella, dà luce al film; è lei il motore della passione, senza mai far affiorare il dubbio della volgarità e dell’artificio. ‘Un uomo piccolo e una donna grande’, così scrisse François Truffaut, ‘un gattino randagio tutto nervi e una bella pianta carnivora che non disdegna il formaggio.”
L’impegno politico dei coniugi Montand
Simone con il marito Yves Montand forma in quel periodo una delle coppie più chiacchierate per l’impegno politico a sinistra che si concretizza in tante battaglie combattute durante il periodo della guerra fredda anche se questo attivismo rischia di nuocere alla loro carriera cinematografica. I due artisti però non esitano a schierarsi contro il maccartismo (Hollywood come ritorsione tarderà a chiamare la Signoret a lavorare nei suoi studios), contro la guerra d’Algeria e sempre dalla parte degli oppressi in Vietnam, Grecia, Cecoslovacchia, Polonia e Afghanistan.
Nella loro casa in Normandia ricevono colleghi e amici, tra i quali Jean-Paul Sartre, Serge Reggiani, Simone de Beauvoir, Louis Buñuel e tanti altri. Dopo l’invasione della Cecoslovacchia entrano in crisi politicamente e si distaccano dalla sinistra francese. Nel ’70 sono entrambi sul set di “La confessione” di Costa–Gavras, un atto di denuncia nei confronti del socialismo reale.
La complicata vita sentimentale di Montand e Signoret
Benché rimarranno insieme fino alla morte di lei, Simone e Yves avranno un’esistenza sentimentale complicata. Lui seduttore irresistibile, la tradirà molte volte e lei avrà una storia con Jean Gabin. Nel ’60 Montand, ormai un divo del cinema francese con la sua capacità espressiva naturale e convincente sia nel genere drammatico sia in quello della commedia brillante (Clouzot lo ha lanciato nel ’52 nel bellissimo “Vite perdute”), va a Hollywood dove sotto la direzione di George Cukor in “Facciamo l’amore” interpreta un miliardario eccentrico che studia canto con Bing Crosby e danza con Gene Kelly. Sua partner nel film è Marilyn Monroe, all’epoca signora Miller. Tra i due quasi inevitabilmente nasce un amore raccontato in ogni dettaglio dalla stampa specializzata nel gossip.
Montand all’inizio è spaventato dall’aggressività della diva. Al telefono dall’America chiede consigli alla moglie. “Non mi dà tregua, che devo fare?” e lei tollerante e aperta le risponde “E allora portatela a letto, così dopo ti lascerà tranquillo”. La Signoret durante la lavorazione del film “The chat “nel 1971 avrà invece una breve relazione sentimentale con Jean Gabin, ma poi il legame con il marito prevarrà per tutta la sua vita.
Il declino di Simone
Nel ’69 l’attrice è bravissima nei panni di una partigiana durante l’occupazione nazista in “L’armata egli eroi” di Jean- Pierre Melville, forse uno dei più bei film sulla Resistenza francese e nel ’71, come abbiamo ricordato, è al fianco di Gabin in “Le chat – L’implacabile uomo di Saint Germain”; con Alain Delon è in “L’evaso” di Pierre Granier-Deferire e “La mia legge2 (1973) di Jean Chapot e nel ’76 insieme al marito è nel poliziesco “Police Python 357” di Alain Corneau.
Con il passare degli anni purtroppo la Signoret si lascia andare fisicamente. Beve e fuma molto sfiorendo rapidamente. Ingrassata, sfatta, palpebre pesanti e viso rugoso è costretta a interpretare solo ruoli di donna anziana. Nel 1977 vince il premio César per l’interpretazione di “La vita davanti a sé” di Moshe Mizrahi e senza remore si concede alla stampa parlando in pubblico delle sue rughe come “il suo alibi e le sue alleate”. Scrive anche un romanzo “Addio Volodja” e la già citata autobiografia “La nostalgia non è più quella di un tempo”.
Il critico Morando Morandini scrive dell’antidiva Signoret: “É curioso, ma non strano, che sia rimasta fuori dal cinema della cosiddetta ‘nouvelle vague’. I registi dei suoi film più famosi appartengono tutti alle generazioni precedenti: Allégret, Becker, Clouzot, Carné, Clément, per non dire degli stranieri, da Ophüls a Pietrangeli, da Lumet a Clayton. Soltanto negli anni Settanta, quando ormai le spettano caratteri forti di donne anziane, viene cercata dai registi giovani che si chiamano René Allio, Alain Corneau, Costa-Gavras, che la dirige al fianco di Yves Montand, in La confessione. Non sono nemmeno sicuro se sia stata una grande attrice. Era, però, una donna di carattere e di cervello: Una vera donna: Simone Signoret”.
Nel 1980 l’attrice mentre sta per girare un film, si sente male e viene ricoverata in ospedale. Purtroppo una grave malattia l’ha colpita e per quattro anni continuerà a lottare. Ai primi di agosto del 1985, dopo aver finito di girare una serie televisiva in quattro episodi nella parte di una direttrice di teatro di varietà parigino degli anni Trenta, non partecipa al tradizionale party di fine lavorazione e si ritira nella sua villa di campagna di Auteuil-Authouillet, a 90 chilometri da Parigi insieme dalla figlia Catherine, mentre suo marito è lontano nel Sud della Francia impegnato in un film diretto da Claude Berri. Signoret si spegne il 30 settembre 1985 lasciando la Francia tutta commossa e addolorata.
Yves Montand, attore e chansonier
Cresciuto a Marsiglia in un quartiere popolare, Ivo Livi, fin da ragazzo è dotato di una voce inconfondibile e un corpo snello. A soli 16 anni debutta nei locali di Marsiglia e poi si trasferisce a Parigi dove ottiene grande successo sul palcoscenico. É l’inizio della sua carriera artistica di cantante-intrattenitore che gli darà tante soddisfazioni. Nel cinema dopo “Mentre Parigi dorme” (canta nella colonna sonora la canzone “Les feuilles mortes”, scritta da Joseph Kosma), nel ’53 gira uno dei suoi film più celebri, “Vite vendute” di Henri-Georges Clouzot, incentrato sul tema del destino beffardo e poi affronta per la prima volta il teatro di prosa nel quale interpreta, diretto da Raymond Rouyleau, la tragedia americana “Le vergini di Salem” di Miller, un’antica vicenda di superstizione, razzismo e furore collettivo che per molti è impossibile non accostare in quegli anni al processo svoltosi in America nei confronti dei coniugi Rosenberg.
Nel 1966 l’attore gira il capolavoro di Alain Resnais, “La guerra è finita”, dove interpreta un fuoriuscito della guerra civile spagnola che “si commisura – scrive il critico Tino Ranieri – con la mentalità della nuova generazione antifranchista vivente a Parigi, traendone volta a volta, motivi di frustrazione e di speranza, ma soprattutto la certezza che la guerra non è finita. Perciò continua, con i capelli grigi, la trafila delle sue missioni clandestine oltre frontiera, rischiando la vita su quelle strade che ormai vedono solo carovane di spensierati turisti in vacanza”.
Di produzione belga è “Una sera…un treno” (1968), di André Delvauxè, una vicenda gotico-fiamminga che partendo da disastro ferroviario, fa scomparire i propri personaggi in un susseguirsi di rapporti tra la vita e la morte. L’anno successivo tocca a “Z, l’orgia del potere” di Costa-Gavras, pellicola di grande successo incentrata sul vero assassinio del deputato Lambrakis eliminato dei militari greci che stanno per prendere il potere con un colpo di stato. Nel ’70 è nel cast di “I senza nome” diretto da Jean-Pierre Melville, un noir strepitoso interpretato anche da Alain Delon, Gian Maria Volontè, Bourvil e nel ’72 è diretto da Jean-Luc Godard in “Crepa padrone, tutto va bene”.
Nello stesso anno Montand è strepitoso nella commedia di Claude Sautet, “É simpatico, ma gli romperei il muso”, al fianco della deliziosa Romy Schneider. Nel ’74 è ancora Sautet a volerlo per “Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre”, storie di tre amici (Montand, Piccoli, Serge Reggiani) che, insoddisfatti della loro vita, guardano malinconicamente al quarto e più giovane di loro (Depardieu). Nel ’91 è la volta di “Codice d’onore” di Alain Corneau con Depardieu nei panni di un fuggitivo che irrompe nella vita di un pensionato causando la morte di sua moglie (Deneuve).
La scomparsa di Yves Montand
Rimasto vedovo il cantante-attore, benché provato dalla scomparsa della sua compagna di una vita, trova presto conforto nella giovane Carole Amiel che sposa e dalla quale ha finalmente il suo primo e unico figlio naturale Valentin, erede del suo patrimonio insieme a Catherine Allegret da lui adottata due anni dopo la morte della moglie. Nel 1986 gira “Manon delle sorgenti”, il seguito di “Jean de Florette” di Claude Berri e chiude con un ultimo concerto la sua attività di chansonier. Nel 1988 qualcuno pensa di proporgli di candidarsi all’Eliseo (come Donald Reagan alla Casa Bianca), ma sarà lui a smentire una volta per tutte questo progetto di fatto molto fantasioso.
Il 9 novembre 1991, a settanta anni appena compiuti, mentre gira a nord di Parigi nella foresta di Villers–Saint Frambourg il film “IP5–L’isola dei pachidermi” di Jean Jacques Beinex, è colpito da un infarto, causato probabilmente da alcune scene d’azione in notturna particolarmente faticose (perfino il bagno in un torrente), e ricoverato nell’ospedale di Senlis. All’inizio le sue condizioni non sembrano particolarmente gravi. Al medico che gli presta le prime cure dirà “Se mi succedesse qualcosa alla mia età ho vissuto abbastanza da non avere rimpianti. Non avvertite mia moglie e mio figlio”. Dodici ore dopo si spegne assistito da Carol e Catherine. Verrà sepolto accanto a Simone.
Così si conclude la vicenda sentimentale e artistica di Yves Montand e Simone Signoret, protagonisti di una grande storia d’ amore, di una grande storia di cinema.